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Gianmaria Tammaro per Dagospia
“Tuca & Bertie”, la nuova serie animata di Netflix creata da Lisa Hanawalt, non è “BoJack Horseman”. E questo è in parte un bene e in parte un male. Un bene perché c’è molta più dinamicità, ci spostiamo dal drama alla comedy; il colore è eccessivo, avvolgente, carico. È un male, però, perché non c’è la stessa compostezza e la stessa precisione in sceneggiatura. E quindi il racconto fa molta più fatica a trovare il suo ritmo.
I primi due episodi, che fanno da introduzione, sono confusi, un po’ pasticciati, decisamente su di giri, ma poco efficaci. Stordiscono lo spettatore, e gli lasciano troppe cose su cui riflettere. “Tuca & Bertie” ha bisogno di qualche altra puntata per carburare. Ma quando lo fa diventa un’altra cosa. Prende velocità e consistenza, ci mostra due protagoniste interessanti e con cui viene facile relazionarsi.
È una serie al femminile, nel senso che tutto, ogni cosa, gira attorno alle Tuca e Bertie del titolo. È ambientata in un mondo fantastico, dove i treni della metropolitana sono serpenti e lumache gigantesche, dove c’è un editore che si chiama Condé Nest, e dove anche le piante sono persone.
Insomma, il ricercatissimo realismo di “BoJack Horseman” qui non c’è. C’è, però, un’animazione più veloce, fluida e avvolgente. E poi, cosa altrettanto importante, c’è la chiarissima intenzione di sperimentare, di parlare di qualunque cosa, di posti di lavoro machissimi dove le donne hanno poco spazio e poca voce; di sesso e sessualità; di body shaming, di depressione (uno dei marchi di fabbrica di “BoJack Horseman”) e di vita di coppia.
I sacrifici che facciamo per amore, diceva Jaime Lannister all’inizio di “Game of Thrones”. In “Tuca & Bertie” i sacrifici che si fanno sono diversi, più diplomatici, fatti di compromessi. Funzionano straordinariamente bene le due protagoniste, Tuca e Bertie: la prima più estroversa e decisa, la seconda ansiosa, timida, ma ugualmente brillante. È la loro relazione – prima coinquiline, ora vicine, sempre grandissime amiche – il centro di tutta la serie.
Si fiancheggiano, s’aiutano, si confessano qualunque cosa. Rapporti, scappatelle, dubbi, paure. Desideri. Per l’una c’è sempre l’altra, e viceversa. Se “BoJack Horseman” era una metafora riuscitissima dello star system e della solitudine del successo e del potere, “Tuca & Bertie” fa l’opposto, racconta l’importanza dell’amicizia, dello stare insieme e, anche, dell’essere sé stessi. Le due protagoniste affrontano un viaggio durante il quale, giustamente, cambiano. O meglio: diventano più consapevoli di chi sono e di quello che vogliono. Il tutto straordinariamente arricchito con battute, gag, sketch musicali, e un’animazione psichedelica, a tratti assurda, che però si sposa benissimo con il tono della serie.
“Tuca & Bertie” ha, e lo dicevamo anche prima, dei problemi. Il primo e più evidente è di scrittura: tante cose, forse troppe, che difficilmente riescono a stare insieme, e che hanno bisogno di molto tempo per trovare il giusto equilibrio (almeno tre episodi). Alcuni personaggi, poi, sono piuttosto piatti e stereotipati.
Ma questo va bene per l’animazione e va bene anche per la comedy, dove le battute migliori sono quelle che stravolgono e ribaltano il situazionismo quotidiano. E c’è anche un’insistenza fiera, abbastanza ossessiva, su determinati temi. Ma lo stesso si potrebbe dire al contrario: di quello che si mostra e si racconta ogni giorno sul piccolo schermo, dove è tutto insistentemente bianco, eterosessuale e maschio.
Un consiglio: guardate “Tuca & Bertie” in inglese, in lingua originale. Buona parte del lavoro, specie nella caratterizzazione delle due protagoniste, lo fanno le doppiatrici, Tiffany Haddish (Tuca) e Ali Wong (Bertie).
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