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1. SKYPE PER UN GIORNO INTERO FUORI USO IN TUTTO IL MONDO «TEMPESTA PERFETTA» NEI PC
Martina Pennisi per il “Corriere della Sera”
LA VIDEOCONFERENZA SKYPE FACEBOOK
«Non mi capitava da tempo un lunedì mattina così fruttuoso», scherza un utente su Twitter. Si riferisce a Skype, che dalle 10 del mattino del 21 settembre ha smesso di funzionare per un numero ancora imprecisato dei suoi 300 milioni di utenti in tutto il mondo.
Niente videochiamate e videoconferenze con i contatti più o meno lontani. Niente scambi in chat con il vicino di scrivania o con l’amico in vena di sdrammatizzare l’inizio della settimana dalla sua postazione in un’altra azienda. E per molti neanche alcuna possibilità di entrare nel programma con nome e password.
Un’oasi di pace, come ha cinguettato ironicamente qualcuno? Non proprio, perché la soluzione acquistata da Microsoft nel maggio del 2011 è un punto di riferimento per la vita personale e professionale di milioni di persone. E un disservizio di questo genere altro non fa che orientare il traffico verso le alternative, a partire da WhatsApp di Facebook, in grado di veicolare telefonate attraverso la rete dalla scorsa primavera, o Viber, per citare solo una delle tante altre realtà analoghe.
Nelle prime ore successive all’inizio dell’andamento a singhiozzo, battezzato su Twitter dall’hashtag #SkypeDown, la versione web era ancora disponibile. Si poteva, quindi, comunicare attraverso il sito aggirando il problema del programma per computer o Mac e dell’applicazione per smartphone e tablet: non fosse che la mole di utenti che ha provato a farlo ha causato anche il crollo di quest’ultimo fragile baluardo.
Nel tardo pomeriggio le rassicurazioni di Microsoft, secondo cui la non meglio precisata criticità che non ha coinvolto i clienti aziendali (le società che pagano la versione potenziata per effettuare le comunicazioni interne) è stata risolta e il graduale ripristino del servizio.
Rimane una mezza giornata di battute e irritazione che non ha avuto confini geografici: dall’Europa agli Stati Uniti passando per il Giappone ci si interrogava su cosa stesse accadendo. E lo si faceva non solo con chi era, in carne e ossa, a portata di domande e considerazioni ma anche e soprattutto nella pubblica piazza digitale, che persino quando causa problemi di dimensioni planetarie si rivela il contesto ottimale in cui provare a risolverli.
Nel mirino ieri non c’era solo Skype: caso ha voluto che Apple abbia affrontato (e risolto) a cavallo del fine settimana la pubblicazione di applicazioni infette sull’App store da sviluppatori cinesi caduti nel tranello di un hacker. E ancora, domenica un problema di un data center di Amazon ha messo ko il sito di e-commerce ma anche realtà che si affidano alla sua struttura, come Netflix o Tinder. Difficoltà nelle stesse ore per il browser Chrome, vittima di un indirizzo killer che ne blocca le funzioni. Una sorta di, casuale, tempesta perfetta digitale che ci ha ricordato quanto siamo dipendenti da questi strumenti. Anche e soprattutto in un lunedì mattina di settembre.
2. NOI, PRIGIONIERI DEL PANICO DA BLACK OUT DIGITALE
Massimo Sideri per il “Corriere della Sera”
Se Henry Ford si lamentava già dei consumatori di inizio Novecento c’è da domandarsi cosa avrebbe detto di noi: togliete all’uomo moderno (anche per poche ore, come ieri) un servizio quasi gratuito come Skype, Whatsapp o, peggio, Facebook e conoscerete le ansie e, talvolta, anche una ingiustificata rabbia da blackout digitale. Freud ci si sarebbe sbizzarrito. Sembra esserci qualcosa di ancestrale nella nostra incomprensione di fronte a un’applicazione che non ci dà segni di vita, a uno smartphone che non risponde alle nostre richieste in 18 centesimi di secondo come fa Google di fronte a una qualunque domanda per quanto bizzarra sia.
MAGAZZINO AMAZON IN INGHILTERRA
Razionalmente lo sappiamo: può succedere. In molte parti del mondo salta ancora la luce, si fermano i frigoriferi, le tv, le sale operatorie. Ma a giudicare dalle reazioni emotive ormai non c’è più differenza. Un blackout della Rete ci riporta a un mondo che non c’è più e che non diamo segnali di volere rivivere. Anche se a volte un po’ di disintossica-zione ci farebbe bene .
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