FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Ilaria Ravarino per ''Il Messaggero''
«Sono a Roma e sto benissimo». Appoggiato al muro della cucina, alle spalle il frigorifero con le calamite e le foto di famiglia, Stefano Sollima romano, 54 anni, figlio d' arte del regista di Sandokan, Sergio, e padrino della nuova serialità italiana, da Romanzo Criminale a Gomorra fino a Zero Zero Zero - sorride nella finestra di una chat Zoom aperta in un umido pomeriggio romano.
Chi lo pensava a Hollywood, dove nel 2018 ha trovato il successo al box office con il sequel di Sicario, Soldado (costato 35 milioni, ne ha incassati 75) si sbagliava di grosso: il lockdown lo ha trascorso a Roma montando il suo ultimo film Without Remorse, storia di vendetta con Michael B. Jordan tratta da Tom Clancy, e preparando il prossimo Colt, western (in lingua inglese) su tre adolescenti destinati a diventare fuorilegge, da un' idea di Sergio Leone sviluppata con i figli del regista.
A che punto è Without Remorse?
«Usciremo con Amazon ai primi di aprile. Non escludiamo la sala, anche se gli analisti dicono che nel 2021 non ci saranno abbastanza cinema aperti per garantire il rientro dei capitali».
Le dispiace?
«Amazon potrebbe portare davanti allo schermo più persone di quante sarebbero andate a vedere il mio film in sala, e questo è ottimo. Ma le piattaforme non possono sostituire il cinema. Diciamo che lo vivo come una sorta di elegantissimo piano B».
Cosa vedremo in Without Remorse?
«Il film è ambientato in un nuovo universo basato sui romanzi di Tom Clancy, che hanno già ispirato la serie di Jack Ryan prodotta e distribuita da Amazon. È un film d' azione realizzato con molti mezzi, girato tra Washington e Berlino. Non era scontato che chiamassero un italiano a dirigerlo».
Infatti: com' è andata?
«In America funziona così: i produttori hanno deciso di fare il prequel del romanzo di Rainbow Six di Tom Clancy. Poi hanno scelto la star per interpretarlo. Solo dopo hanno cercato il regista. Francamente ho avuto sul set una libertà che non mi aspettavo».
Ma come: il politicamente corretto, l' equilibrio, i paletti americani?
«Dipende dai paletti. Per esempio l' inclusione, per me, non è un limite. Sul set avevamo persone di etnia e religione diverse, ed è stata una ricchezza. Ovviamente devi essere bravo e non permettere a nessuno di esercitare controllo o censura sul contenuto. Ci provano sempre».
E lei?
«Combatto. Fare un film è un' esperienza di vita, ti porta via almeno due anni. E se dedico due anni a un progetto, voglio che abbia un senso. Che sia uno spettacolo, ma intelligente».
Quando si è sentito per la prima volta un uomo di Hollywood?
«Il primo giorno di riprese di Soldado. Stavamo girando, sono andato da Benicio del Toro e gli ho dato una battuta. Tornando al monitor mi sono sentito in un sogno. Per fortuna ho il cinismo del romano».
Cioè?
«Non mi prendo troppo sul serio. Il mio approccio è quello della vacanza. Sono quattro anni che faccio avanti e indietro, prendo una casa negli Stati Uniti per qualche mese, poi smonto tutto e torno a Roma. Non ho un appoggio fisso e non è per caso.
La mia idea non è portare l' Italia da loro, semmai il contrario».
E Colt? Quando gira?
«Inizieremo a giorni la preparazione. Vorremmo andare sul set entro la prima metà del 2021. Saremmo dovuti partire adesso, ma sarebbe stato troppo rischioso: è una produzione italiana, non c' è un grande studio alle spalle».
Gira in Italia? Può dire il cast?
«No, sul cast non voglio ancora dire nulla. Non penso di girare in Italia, certamente farò qualcosa in Europa e in Canada».
Un sequel a Zero Zero Zero: ci pensa?
«Il progetto è nato in un contesto di stagioni antologiche. Bisognerebbe ricominciare da capo, esplorare altri mondi, forse altre ere. Ma ora non riesco a immaginare di girare qualcosa su tre continenti diversi».
Un film sul Covid?
«L' arte deve anticipare la vita: un film sul Covid arriverebbe in ritardo, io stesso non so se andrei a vederlo. Più interessante sarebbe un racconto che esplorasse le conseguenze sugli esseri umani di questa pandemia».
In Italia ora tutti fanno il genere: merito suo?
«Io ho solo ridato dignità a un tipo di produzione che a un certo punto, per ragioni che continuano a sfuggirmi, era stato abbandonato. Ma non mi sento responsabile: ho solo fatto una cosa che non si capiva perché non si facesse prima».
È in sviluppo anche una serie su Sandokan: l' hanno chiamata?
«No. Lo guarderò, perché guardo tutto ed è un progetto che appartiene a mio padre, da cui ho imparato ogni cosa. Ma Sandokan vive nel mio passato, ed è giusto che ci resti».
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