DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Candida Morvillo per il “Corriere della Sera”
«Nessuno ha lavorato con Carlo Vanzina quanto me, abbiamo fatto dieci film che hanno incassato quanto mai prima, e una fiction andata avanti per quattro anni, e ora già mi manca. Siamo stati giovani insieme e non posso fare a meno di pensare che è toccata a lui morire e non a me. Mi fa effetto, perché tante volte è stato Carlo a darmi forza e coraggio», Massimo Boldi ricorda Carlo Vanzina come «un grande. Un grande regista e amico».
Il primo incontro?
«Eravamo ragazzi. Carlo è stato il primo a darmi un ruolo importante, in Luna di miele in tre, anno 1976, il suo primo film. Ero appena arrivato a Roma con Renato Pozzetto, che era già un numero uno e io ero il suo pupillo, mi faceva fare piccole parti. Carlo ebbe l' intuizione di darmi spazio e fu solo la prima: furono lui e il fratello Enrico a inventare la coppia Boldi - De Sica».
Come successe?
«Fu per Yuppies, nel 1986, sui rampanti degli anni 80 e la Milano da bere. Videro in me e Christian la coppia improbabile del romano e del milanese, gli amici che ridono di stupidaggini. Videro giusto, il film ebbe un successo abissale. Nacque una coppia durata vent'anni e che, ora, si ricomporrà a Natale. Ci sarebbe piaciuto Carlo come regista per le reunion, ma».
Ma Perché si commuove?
«Mesi fa, Carlo aveva proposto un film a Christian e Christian si era accorto che stava già molto male. Stava male, ma non aveva smesso di lottare per fare il cinema, che era la sua vita, come la moglie Lisa e le due figlie. Anche per loro continuava a lottare. Tutti noi che abbiamo guadagnato tanto negli anni d' oro e abbiamo avuto una vita dispendiosa, dopo il 2011, con la crisi, abbiamo faticato il doppio, abbiamo subito delusioni. So come doveva sentirsi e quanto ci teneva a non mollare. Amici come prima esce a Natale, poteva essere il suo ultimo film, ma non avrebbe fatto in tempo a finirlo».
Che hanno dato i suoi film al nostro cinema?
«Lui era la commedia all' italiana, aveva imparato da Mario Monicelli e da suo padre Steno, che aveva diretto Totò e Alberto Sordi. La sua comicità era la più elementare e semplice che si possa fare, perciò era la più difficile da fare. I suoi cinepanettoni disprezzati dalla critica hanno fatto un pezzo di storia del cinema e hanno raccontato l'Italia».
Com'era sul set?
«Così concentrato che riusciva a girare un film anche in poche settimane. E per quanto il copione fosse scritto bene dal fratello Enrico, riusciva sempre a farci improvvisare battute di successo. Era un comico nato: ti spiegava come fare una scena e faceva ridere più di noi. Eravamo io, Diego Abatantuono, Teo Teocoli, Pozzetto, Ezio Greggio, Jerry Calà, tutti giovani, e Carlo era un ragazzo come noi. Sapeva cosa funzionava, cosa sarebbe diventato un tormentone».
Ha un episodio che racconta chi era Carlo Vanzina?
«Nel 2004, quando mia moglie morì, Carlo spostò di un mese le riprese della fiction Un ciclone in famiglia. Quando iniziammo, di giorno dovevo far ridere, ma la sera in hotel piangevo come un matto e lui c' era. Carlo sapeva quando esserci».
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