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Paolo Mauri per ''la Repubblica''
Stefano Malatesta ci ha lasciato: aveva da poco compiuto gli ottant' anni, segnato da una lunga battaglia contro il Parkinson. Mi aveva ancora telefonato qualche settimana fa per propormi di andare insieme a visitare la casa di Giovanni Pascoli. Poi tutti e due avevamo aggiunto che forse era meglio aspettare che la pandemia si affievolisse un po' di più.
Laureato in Scienze politiche, aveva scoperto presto d' essere nato per fare il giornalista, misurandosi con la cronaca nera e poi con gli scenari della politica internazionale: Panorama lo mandò a seguire il golpe di Pinochet in Cile. Quando approdò a Repubblica continuò per qualche tempo a fare l' inviato di Esteri (Iran e Iraq, tra le altre cose) passando poi al reportage culturale. «Sono il vendicatore! », annunciava ridendo quando entrava in redazione, alto e biondo, spesso con un foulard annodato al collo, e spiegava che lui, lavorando in modo piuttosto piacevole, vendicava, per così dire, i redattori costretti a un lungo orario d' ufficio.
Quando era ancora molto giovane fece un viaggio da Roma alla Sicilia in Lambretta, con una ragazza, se non ricordo male, svedese. Avevano pochi soldi e dunque dormivano in spiaggia. Fu lei ad insegnargli che bisognava, la sera, accendere un fuoco e poi coprire i carboni con la sabbia che diventava così un letto caldo, molto confortevole.
Malatesta aveva girato il mondo e lo aveva raccontato da grande inviato, ma ad un certo punto il centro dei suoi interessi divenne la Sicilia: un mondo pieno di storie e di personaggi. Era diventato molto amico di Camilleri, prima che, grazie a Montalbano, diventasse così popolare. Fu Stefano il primo a parlarmi di Gesualdo Bufalino che Sellerio stava per pubblicare. Era stato alle Eolie e aveva raccolto dalla viva voce dei pescatori mille storie poi raccolte in un libro, Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani . Fu, credo, il barone Borsellino a fargli comprare per poco un vecchio baglio in disarmo dalle parti di Sciacca e precisamente a Borgo Bonsignore, dove sfocia in mare il fiume Platani.
Divenne la sua casa per le vacanze, e, soprattutto, un osservatorio privilegiato. Lo affascinava la Sicilia dei Gattopardi e ne cercava i segreti, magari chiacchierando con Sciascia o con Elvira Sellerio. Scovò a Enna un collezionista di monete antiche che aveva accumulato in casa una serie infinita di "pezzi" rari. E lo attirava il folclore siciliano. Una volta trovò, non so dove, un proverbio che suonava più o meno: futtiri in piedi e camminari dint' a rina conducono l' uomo alla rovina . Interpellato, Camilleri gli disse: «Malatè, certi proverbi li sai soltanto tu!».
Col tempo e, complice la frequentazione del critico d' arte di Repubblica Giuliano Briganti, Stefano si era sempre più appassionato a quel mondo: tra l' altro si era anche messo a dipingere, con risultati niente male, testimoniati da diverse mostre. Faceva dunque volentieri le cronache d' arte, viaggiando non più per deserti o paesi in guerra, ma per gallerie e musei. E anche quel mondo era pieno di personaggi affascinanti.
Uno, per esempio, era il restauratore Pico Cellini, cui Malatesta dedicò più di un pezzo nel quale raccontava le prodezze dei falsari che Cellini, diceva, gli aveva a sua volta narrato con ricchezza di particolari. Da una famiglia romana di falsari era uscita una perfetta biga "antica" che a Londra fu esposta in pompa magna.
Cellini sapeva tutto dei materiali e una volta, in contrasto con Bianchi Bandinelli, dubitando di una stele di marmo che era stata in qualche modo "riscoperta", si era avvicinato durante l' inaugurazione della mostra e sfuggendo ai carabinieri in alta uniforme, aveva letteralmente leccato il marmo. Arrestato e quasi subito rilasciato, era poi stato invitato dal soprintendente Bianchi Bandinelli a casa sua perché spiegasse quel suo gesto inconsueto. E lui, che non aveva una laurea e nemmeno un diploma di scuola media, aveva disquisito davanti agli esperti degli acidi che i falsari usano per trattare il marmo.
Acidi che però hanno il vizio di risalire in superficie: ed ecco il perché della lingua: si trattava proprio di "assaggiare" quel marmo.
La stele, Bianchi Bandinelli si era alla fine convinto, fu accantonata. In realtà credo che quella storia, Stefano l' abbia saputa non da Cellini direttamente ma da altri testimoni, quando Cellini non c' era più, ma era troppo bella per lasciarla nella penna.
Roma, la città in cui era nato e cresciuto, era stata l' altra grande passione di Malatesta e in un libro aveva ricordato una Roma paradiso, non ancora preda del turismo di massa e dei B&B. In questo incrociava volentieri i ricordi con quelli dell' amico poeta Valentino Zeichen, che in qualche modo aveva adottato Roma e, per così dire, pattugliava i luoghi storici come una sorta di sentinella volontaria.
Neri Pozza ha oggi in catalogo diversi libri firmati da Malatesta.
Il titolo di uno di questi, Il cammello battriano , che era dedicato alla Via della Seta sulle orme di Marco Polo, è anche diventato l' insegna di una collana da lui diretta e sempre destinata ai libri di viaggi. E ancora ai viaggi era dedicato un festival da lui diretto. Ma è stato, Stefano, anche un grande esperto di battaglie soprattutto antiche e ne aveva scritto a lungo (c' è un libro che raccoglie quei pezzi, uscito nel 2017).
stefano malatesta quando roma era un paradiso
Diversi anni fa, tornando dal Mali, aveva accusato dei problemi di salute. Mi hanno stregato, diceva tra il serio e il faceto. Comunque fece i conti con un periodo di depressione e più in là pensò che il Parkinson avesse attinenza con quell' episodio. Ma non si è mai arreso alla malattia.
E ha combattuto col sorriso sulle labbra e sempre con un nuovo progetto in mente. Addio, caro Stefano.
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