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DAGOREPORT - SERVIZI E SERVIZIETTI: IL CASO ALMASRI E' UN “ATTACCO POLITICO” ALLA TRUMPIANA MELONI?…
1. LO STRUGGIMENTO DELLA DUSE PER IL VATE CHE LA TRADISCE
Lettera di Eleonora Duse a Gabriele D’Annunzio pubblicata da “il Giornale”
Ti vengo incontro domandandoti - niente altro che domandandoti, dolcemente: «che vuoi fare?». Vuoi veramente partire per il mare? O tu stesso, non sai? Bisogna pur sapere - per agire e per vivere. Il domandarti tal cosa, mentre tutto aspetta l'ordine della partenza... è – credi – senza meraviglia nato dentro di me, poiché le cose intorno mi spingono a domandarti: Gabri, che vuoi fare?
Bisogna parlare senza amarezza di fronte alla verità. La vita e la TUA VOLONTÀ, a questo bivio mi hanno condotta: lo guardo e ti domando (di) «aiutarti» nella tua vita e nella tua volontà, niente più. «Non vedere e non soffrire», tu mi dici. Ma tu t'illudi nell'apparente beltà di queste due parole, poiché l'anima mia, per quanto volente, non può, non sa accettarle e ne soffro.
Dopo tanti giorni di turbine, ti ho chiesto, come una sorella (come infantilmente) di mostrarmi un pezzetto di carta scritto, che m'avrebbe tolto da una incertezza. Non hai potuto consentire, mentre tu senti che la mia vita se ne va! Tu senti, TU SAI che la incertezza è come una morte parziale, TU SAI che innestare un amore sull'altro, vuol dire tentare la vita e la morte dell'uno o dell'altro. Lo sai. Tu sai, questo, e anche tante altre cose – che non so dire – mentre io giro smarrita per questa casa e da mattina a sera, guardandoti mi dico, dentro: «non so» \
Ti domando dunque, se ti senti pronto all'idea del Lavoro o se – in questo momento – a stento ti aggrappi a questa corrente, pur viva, ma oggi, frammista a un'altra corrente di vita. Hai tu veramente esaurita la «esperienza» voluta? E se non è esaurita, la lontananza non farà che acuirla. Senza pensare che io ti respiro accanto, tu seguiterai, se partiamo, inoculare in me l'angoscia delle lettere, che arriveranno, e in Lei, quella dell'attenderti. La corrente di muta dolcezza, (come il respiro) come fu fra te e me, sarà inafferrabile, poiché il mio respiro sentirà il suo. È così Gabri perché – fra voi due – fra voi tutte (forse) IO SOLA AMO VERACEMENTE. È così.
Amo tagliare la mia ferita. La mia salute, è così scossa, lo vedi – Ho avuto un tal scrollone che non so rincollarmi \ Che inferiorità eh? d'innanzi alla carne trionfante che tu m'hai rivelato che altre posseggono!! Me lo hai detto! ahimè. Io non posso, e te lo ripeto, riconosco tutta l'attrattiva e attrazione della persona in vista.
Fra tutte le creature femminili – che di diritto tu devi avere – e che fra tutte avrebbero potuto lievemente appannare la nostra intesa, tu ne hai incontrata una che su tutte si eleva – smisuratamente – per fascino personale e d'arte. Non credermi né cieca – né vile – per non vedere, e per non riconoscere! Il suo nome, per la folla che ne guarda e ne spia ed è, e sarà al corrente di tutto – il suo nome vale il mio e io non ho da sperare – che nella sua così detta «volgarità».
Ma, ecco il nodo: IO NON LA CREDO VOLGARE. Troppo la denigrasti in mia presenza! E intuisco – senza tremare – che se pur volgare ti parve, tu hai tentato, e tenterai – tutto farai – per farla uscire di tale scorza. Bisognerebbe non conoscerti, per non comprendere questo. E se Ella ti ama, né uscirà. Io sono dalla sua parte in questo, e la comprendo. La mia vita era d'esserti necessaria anche nella tua vita – ah illusione! Ciò che vedo di possibilità altrui – intorno a me – mi ha tolta, sradicata, tale illusione – e bene sia se sono nel vero.
Per ingannare la mia attesa (poiché attenderò di rivederti, senza questa speranza, non saprei vivere). Per attendere dunque di rivederti il giorno che ti sarò necessaria – io andrò – non so dove – ma con Enrichetta e con Mèche. Le due coraggiose figliole – risveglieranno anche il mio coraggio – Esse volevano – e come teneramente aiutare non conosciute, la piccola malatella \ Tu lavorerai – quest'anno – senza di me – ecco tutto... e ritornerò, quando «necessario sarà» ogni bene.
Eleonora Duse
2. ADDIO, NON SOPPORTO PIÙ LE TUE ASSURDE GELOSIE CHE MI SPENGONO LA VITA
A cura di Giordano Bruno Guerri per “il Giornale”
Mia adorata Eleonora,
gioia e tormento, ormai, della mia vita. Ogni volta che apro una tua lettera, tanto attesa, l'esultanza si annebbia di sconcerto. So che m'attende una lettura faticosa, fra trattini e puntini e sincopi e fratture.
Sempre mi chiedo per quale sortilegio malefico proprio a me - operaio della lingua, e suo artefice - sia toccata la sorte di un amore che ignora le più semplici leggi del ritmo, della sintassi e della punteggiatura. Tante volte te l'ho detto. È come se nel mezzo di una tua recita meravigliosa balbettassi, o parlassi nel più barbarico dei dialetti. Non è servito, e ormai mi adatto al tuo dire, come portando una croce.
La porto con l'amore che ti debbo e che ti voglio dare.
Ma perché, allora, tu mi tormenti anche con le tue gelosie? Il bisogno imperioso della vita violenta - della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell'allegrezza - mi hanno tratto lontano. E tu - che talvolta ti sei commossa fino alle lacrime dinanzi a un mio movimento istintivo come ti commuovi dinanzi alla fame di un animale o dinanzi allo sforzo d'una pianta per superare un muro triste - tu puoi farmi onta di questo bisogno?
Più triste di ciò, è che so già cosa risponderai, perché se la dolcezza dell'amore è nella conoscenza, la sua amarezza è nella ripetizione. «Quale amore potrai tu trovare, degno e profondo, che vive solo di gaudio?» Così dirai, cercando - lo sai - di spegnere ogni mio anelito di vita. Ebbene, cuore, non te lo permetterò, anche se il tuo cuore dovesse cessare di battere per me.
Ricordo, non lo scorderò mai, quando arrivai in gondola al luogo della tua consunzione notturna dell'attesa. Tu, «la nomade» sempre in tournée, fermasti solo per un momento la tua vita per me, e ora vorresti che pietrificassi la mia. È vero, sono circondato da donne attiranti e ostili, nel loro bisogno di potere su di me - ingenue - ma pronte a donarsi. Vuoi, tu, impedire ch'io riceva il dono?
Io ti ho fatto grandi doni, oltre me stesso. Ho soddisfatto l'ansia di ideale e il desiderio di poesia che vibrava nella tua immaginazione sempre viva. E tu, «La vita scorre - afferrala nell'arte - figlio! - Non attardarti più sulla tua strada - non attardarti!», mi scrivevi e mi scrivi, come se l'arte non sgorgasse dalle viscere del mio corpo, con le passioni. Tu sei, e sarai sempre il mio incantesimo solare e hai fatto sboccare nella mia anima fiumi di poesia. Ma io sono un uomo di disordine, e voglio rimanere tale perché il mio stile è di non contrariare mai la mia natura. Che a volte è fatta di salotti, battute di caccia e corteggiamenti alacri di donne disponibili.
LE LETTERE DI GABRIELE DANNUNZIO A LUCILA CHITU
Io ho scritto per te un grande romanzo che traspone in allegoria il mio amore per te, dove eterno i nostri strazii di amanti innamorati, eppure mi tormenti con la gelosia piccina, con l'invidia per le donne più giovani, con l'ira per le forcine bionde che trovi nel mio letto.
Ti amo, ma non posso permettere che tu ponga limiti alla mia unica, fragile, preziosissima vita.
Addio, Eleonora. Tuo per sempre.
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