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SERIE DA PRENDERE SUL SERIO – IL DOCUMENTARIO SU “GAME OF THRONES” È MEJO DI “GAME OF THRONES” – “THE LAST WATCH” NON HA NIENTE A CHE VEDERE CON DRAGHI, MAGIA E NON MORTI, RACCONTA GLI EXTRA, LE CONTROFIGURE, I REGISTI: TUTTA L’UMANITÀ CHE HA CONTRIBUITO A COSTRUIRE LO SHOW PIÙ GRANDE DI SEMPRE– GLI ATTORI CI SONO E NON CI SONO: LA REAZIONE ALL’ULTIMA LETTURA DEL COPIONE E I SALUTI FINALI – VIDEO

 

Gianmaria Tammaro per Dagospia

 

Non ci poteva essere finale migliore per “Game of Thrones” di “The Last Watch”, il documentario di quasi due ore diretto da Jeanie Finlay. Non ha niente a che fare con draghi, magia e non-morti; non c’entrano le famiglie più potenti di Westeros e non c’entra nemmeno Westeros.

 

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“The Last Watch”, in onda il 3 giugno su Sky Atlantic, racconta le persone che hanno permesso a “Game of Thrones” di diventare quello che è diventato, e cioè lo show più costoso, più grande e più famoso di sempre. Racconta gli extra, le controfigure, i truccatori, i responsabili delle location, della neve, i produttori; racconta i registi, quello che hanno dovuto fare per prepararsi, e racconta le loro storie.

 

Insomma, in “The Last Watch” c’è tutta l’umanità che ha contribuito a costruire Grande Inverno e Approdo del Re; ci sono tutti i professionisti che hanno lavorato per mesi e mesi, al freddo e di notte, per mettere in scena quella che è la battaglia più spettacolare di sempre per il piccolo schermo. Ci sono mamme e papà, ci sono ragazzi che hanno trovato nella recitazione il loro futuro.

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La Finlay, che praticamente non compare mai in camera, segue con attenzione solo alcune delle persone che hanno lavorato a “Game of Thrones”, e le segue in silenzio, ponendo poche domande. E poi le ascolta. La prima volta che sono arrivati sul set, quello che lo show di Hbo ha significato per loro; i sacrifici che hanno dovuto fare, come si sentono a sapere che tutto, con l’ottava stagione, sia finito.

 

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Bernadette Caulfield, la donna che ha permesso ogni cosa, la produttrice che il New York Times ha celebrato e a cui tutti gli attori sono grati, è una delle voci più importanti di tutto il film, perché è dal suo punto di vista, da quello di chi sta dietro le quinte e fa in modo che ogni cosa funzioni e sia al suo posto, che “Game of Thrones” viene mostrata. Da lei, si passa alle comparse, ad Andrew McClay, che è sempre stato un soldato, uno degli Stark, che è un appassionato dello show fin dalla prima puntata. In una delle scene più belle, proprio alla fine di “The Last Watch”, c’è lui che si sveste, che mette via le spade, l’elmo, che si toglie per l’ultima volta l’armatura.

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Gli attori di “Game of Thrones” ci sono e non ci sono; si vedono durante l’ultima lettura del copione, e la loro reazione è stata una delle clip più condivise online. E si vedono durante i saluti, Emilia Clarke e Kit Harington in testa. Nient’altro. Questo, in un certo senso, non è il “loro” documentario. Ma è di quelli che li hanno seguiti, che hanno messo loro parrucche, che li hanno truccati, che li hanno allenati. Che hanno tenuto loro l’ombrello mentre pioveva, e che hanno aspettato pazientemente che dicessero bene le loro battute.

 

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Una cosa che, in “The Last Watch”, ripetono tutti è: lavorare con voi è stato un piacere, siete come una famiglia per me. L’intimità che si respira sul set, nelle immagini, e l’affetto sincero che le persone dimostrano di avere le une per le altre, e per quello che fanno, sono i pilastri di questo documentario. E poi le battute, le risate, le parolacce. C’è tutto. Ogni momento. Si avverte la stessa atmosfera, la stessa complicità, che probabilmente s’avvertivano sul set, quasi due anni fa.

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Vladimir Furdik, responsabile degli stunt e poi scelto per interpretare il ruolo del Night King, è un altro dei protagonisti di “The Last Watch”: racconta la sua storia, di quando era giovane in Cecoslovacchia e di quando ha deciso di lavorare nel cinema e di non diventare un criminale. E poi c’è David Nutter, uno dei registi dell’ultima stagione, che dice: “Game of Thrones” mi ha salvato la vita. Sono le persone, queste. Non gli artisti, non i creativi; non gli attori. Sono solo le persone. Quelle vere. Quelle che hanno tenuto ad ogni singolo frame, che hanno dato tutto sé stesse. E che ci hanno tenuto come se fosse la cosa più importante del mondo; come se, oltre a “Game of Thrones”, non ci fosse altro.

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Davvero, una conclusione migliore, per una delle saghe più famose e viste di sempre, non poteva esserci. E c’entra poco che vi siano piaciuti o meno gli ultimi episodi. Questa è la storia delle persone che sono sempre state dietro la telecamera e che non hanno mai avuto il loro momento, mai (“forse gli attori non sanno nemmeno chi sono io”, dice una delle responsabili delle location). Ed è la storia più bella, anche più di draghi sputafuoco e di guerre contro esseri glaciali. Perché, banalmente, è una storia vera.

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