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Tratto dal libro "Lucio Battisti" di Ernesto Assante
Emozioni: ecco attorno a cosa si muove, in fondo, tutta l'opera di Battisti. Ed ecco cosa trasmette a Mogol con la musica che gli fa ascoltare. E Mogol capisce e traduce il tutto in un testo a dir poco magnifico, che non narra nulla, che non racconta una storia. È una sequenza di immagini, di situazioni, di momenti, evocati dalla musica e a essa strettamente connessi, ma allo stesso tempo separati gli uni dagli altri.
Attimi di assoluto realismo interiore, come l'uscire la mattina, nel silenzio della brughiera, per ritrovare se stessi; il parlare del più e del meno con qualcuno solo per coprire il senso di vuoto che ci avvolge; l'aggressività sfogata senza senso, fisicamente, nei confronti di chi non lo meritava; lo scoprire che la tristezza non fa rumore, o che l'erba può condividere con noi un sottile dispiacere; o, ancora, nella frase più celebre di tutta la canzone, il guidare come un pazzo a tutta velocità e con i fari spenti per mettere alla prova assurdamente la nostra voglia di autodistruggerci, cercando di morire "facilmente".
ernesto assante cover libro lucio battisti
No, non è un pezzo qualsiasi. Chissà cosa avrà provato Mogol la prima volta che ha ascoltato la musica che Battisti aveva scritto, e chissà come è riuscito a condensare tutto in una canzone così emotivamente potente. E così libera, perché quel "se vuoi" lascia a noi la possibilità di condividere quelle emozioni, o addirittura di non considerarle tali, ma di riconoscerle, di sapere che sono indubbie verità, alle quali potremmo con facilità aggiungere le nostre: i nostri momenti di abbandono, di perdizione, di disperazione, di libertà, di sogno. Di emozione.
È vero che Battisti non è un cantautore, ma è altrettanto vero che, insieme, lui e Mogol sono meglio di un cantautore solo. Perché, oltre a questo memorabile testo (in rima, con frasi particolarmente lunghe, fuori dai canoni metrici abituali della canzone italiana), c'è una musica bellissima, sottile e inafferrabile, e al tempo stesso maestosa e profonda. E c'è un'interpretazione che, possiamo dirlo con certezza, nessun cantante italiano ha mai eguagliato. Battisti vola, soffre, si inabissa, si solleva, piange; e per chi ascolta è tutto reale.
Per l'arrangiamento la scelta era caduta su Gian Piero Reverberi, che non solo aveva già collaborato con Battisti, ma anche con Mina, Paoli, Tenco, De André, Dalla, Vanoni... Reverberi ha una sensibilità sopraffina, e non lavora a "canzonette", ma a opere d'arte musicali. E fa lo stesso per Emozioni, usando l'orchestra come se fosse un intreccio di veli, lieve, sottile, sognante. E poi, come accade in alcuni casi specialissimi, ecco il colpo di genio e di fortuna.
Lucio entra in studio con Mussida al fianco e l'orchestra alle spalle, chiede che la luce venga spenta e dà il via: tutti insieme accompagnano e lui canta. È l'unica versione a essere registrata, Emozioni non ne avrà un'altra. Quello che viene suonato e cantato è ciò che ancora oggi ascoltiamo. Magia pura. Emozioni.
Il 45 giri, che esce il 15 ottobre 1970, ha un altro capolavoro sul lato B, Anna, decisamente più complicato, teso, oscuro, disperato. Un pezzo completamente rock, che potrebbe tenere testa, senza sfigurare minimamente, ai capolavori inglesi o americani dell'epoca. Innanzitutto per l'arrangiamento, firmato ancora da Reverberi, vagamente progressive, dove la chitarra acustica dialoga con l'orchestra (in Inghilterra si sarebbero accontentati di un mellotron, Battisti no) e lascia aperte praterie emotive in cui la voce di Battisti risuona, riempiendo lo spazio, su due accordi soltanto, ripetuti costantemente, come a sottolineare l'ossessione di cui è vittima il protagonista.
Un'ossessione interpretata da Battisti con una forza espressiva che nessun cantante italiano (e francamente pochissimi all'estero) era in grado di offrire. L'uomo in questione ha una vita ordinaria, tranquilla: casa, lavoro, famiglia. Ma tutto questo è nulla senza Anna, la donna di cui è follemente innamorato. Lo confessa a una terza persona, a cui racconta la sua miserrima condizione, davanti alla quale arriva a piangere, completamente distrutto.
Mogol si limita a poche, pochissime frasi: il testo è ridotto all'osso. Tutta la "narrazione" è concentrata nell'interpretazione di Battisti, che è disperato, piangente, ha la voce rotta, roca; si esalta solo quando ricorda il tempo passato con Anna. E qui il brano cambia: trova improvvisamente, con accordi maggiori, uno squarcio di luce, di vita, e la rock band alle spalle di Battisti si anima, prima di ricadere nel buio, nella ripetizione ossessiva di quel "voglio Anna" in cui è concentrato tutto il significato della canzone. Un lunghissimo break di batteria porta al finale, dove Battisti e la band si lasciano andare, i musicisti suonano e lui urla.
"Lucio mi diceva "fai un break che non finisce più"" ricorda Franz Di Cioccio, "e io glielo feci, ma lui continuava: "Più lungo, più lungo, deve essere un break alcione, bello lungo". Disse proprio così e alla fine era quasi un'esagerazione, però aveva visto giusto perché quel break doveva essere anche una sorta di liberazione, di esplosione da parte del personaggio della canzone che vuole a tutti i costi questa ragazza, e infatti lui poi ne venne fuori con un grido da disperato. La suonammo come al solito in diretta, con lui e Mussida alle chitarre, e Baldan Bembo all'Hammond.10".
Emozioni e Anna segnano un cambiamento radicale nella canzone italiana. Non si era mai sentito niente di simile in Italia, mai nessun cantante era arrivato a tanto, mai due autori erano riusciti a mettere insieme musica, testo e interpretazione in questa maniera. Era la fine di ogni equivoco: la "canzonetta" era definitivamente morta e sepolta; era solo un oggetto destinato al commercio, però decisamente lontano dalla vita, dall'arte.
Tratto dal libro "Lucio Battisti" di Ernesto Assante
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