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Elisabetta Ambrosi per il “Fatto quotidiano”
Povero vip. Sballottato tra prestazioni sceniche, calcistiche, scrittorie o parlamentari, stressato da comparsate radio e televisive, oggi è anche costretto, per acquisire ulteriore consistenza ontologica, ad apparire su Twitter. Dove, oltre alla scelta della foto, è forzato a raccontarsi, alla pari dei milioni di twittatori anonimi, in 140 caratteri, distillando la sua essenza in poche parole e rispondendo all’unica domanda a cui non avrebbe, forse, mai voluto rispondere: chi sono io?
La scelta più facile tra i forzati celebri del selfie verbale è quella sobria, quasi calvinista: optare per lo scarno ruolo pubblico, magari intrecciato a quello di pater (o mater) familias, come nel caso di Graziano Delrio – “Uomo. Padre. Medico. Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri” – o al volto benefico-umanitario, talvolta furbescamente messo davanti (come per Elisabetta Canalis, anzitutto “Unicef Goodwill ambassador”).
Altrettanto diffusa, e poco impegnativa, è l’autodescrizione soft, in cui l’austerità cede il passo all’autoindulgenza e alle passioni private – è il caso di Bruno Vespa, “giornalista, scrive libri, ama l’arte, la musica, il vino e l’Italia”– oppure al fronzolo barocco, all’aggiuntina ironica o galvanizzante, che segnala un inconscio (e un narcisismo), più liberato: “Vivo a Roma. Lavoro Einaudi stile libero. Inventore dell’hashtag #arala”, scrive l’editor Paolo Repetti, “Ho energia rock nelle vene”, precisa un ruggente Gianluigi Paragone .
fidanzate di mario balotelli tutte le conquiste raffaella fico
L’altra strategia per scampare il panico da autodefinizione twittica è puntare sulla massima poetico-letteraria: ed ecco un Lapo Elkan in versione Steve Jobs – “Siate sereni, siate creativi” o Nina Moric in improbabile veste filosofica – “Because life should be lived and short”, mentre Raffella Fico si descrive citando Oriana Fallaci (“Essere donna è una sfida che non finisce mai”).
Quando invece l’ansia di fronte al vuoto da riempire è troppa, ci si aggrappa al minimalismo verbale variamente declinato: si va dal “Semplicemente... Mich :-)”, di Michelle Hunziker al criptico “….Roma/Milano”, della giornalista sportiva Paola Ferrari; dal tripudio di hashtag decorativi di Valeria Marini – “#attrice, #produttrice, #stilist, #showgirl” – al selfie zodiacale di Elena Santarelli (“Sotto il segno del leone 100881”), mentre l’apoteosi è raggiunta da “Un po’ di tutto” dell’account di Chicco Testa.
ANCHE una volta raggiunta l’autodefinizione, l’angoscia da autoepifania da social non si placa. Perché, anche per l’account Twitter vale la massima eraclitea del panta rei. E se in molti inseguono il cambiamento pubblicizzando l’ultimo libro o film, altri restano in preda a dubbi dilanianti.
Ad esempio quello, nel caso degli ex qualcosa (specie i politici), sul privilegiare o meno ciò che si è – come l’ex premier Enrico Letta, che riporta un sobrio “Deputato della repubblica italiana” – o ciò che si fu, come Casini che si aggrappa a un “Sono stato Presidente della Camera”.
Oppure quello di chi si chiede: “Sarò diventato abbastanza famoso per dire che il mio account lo gestiscono altri?” , dubbio che, quando non c’è, però produce effetti paradossali (come nel caso dell’“international interviewer, novelist and journalist” Alain Elkann, il cui account, si specifica, è curato dal suo “London office”). Oppure consente di osare l’indicibile, come per Tiziano Ferro, “the only italian artist of the new millenium with such a strong international profile”.
Infine, non da ultimo, lo stress da account fake, sempre in agguato, che porta ansiosamente molti vip a specificare l’ufficialità dell’account, anche quando, magari, quello tarocco sarebbe meglio (come il noto @RenzoMattei che “sogna un’Italia Cool, con un nuovo concept e una vision che guardi al future”).
In molti, comunque, alla fine rinunciano ad autodescriversi, taluni per narcisismo – non potete non sapere chi sono io – altri assediati dal nulla cosmico quand’anche si tratti di scrivere poche parole su di sé, altri infine, più rari, perché consapevoli che il riferimento identitario ha in sé, in fondo, qualcosa di tautologico. E quindi, tanto vale esplicitarlo, proprio come fa l’attore Nicola Savino, che scrive direttamente, sotto la foto: “It’s me, embé?”. Oppure, ancora più cinicamente, ma in fondo cos’è Twitter se non un’immensa vetrina commerciale?, come Vittorio Sgarbi: questo è il contatto del mio agente, chiamatemi.
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