“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Andrea Laffranchi per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Ti amo»: il luogo più frequentato dalla canzone. Umberto Tozzi lo ripete, cori compresi, per 72 volte nella canzone che esplose nel 1977 e ne fece una star da esportazione.
Fu voluto questo schiaffo in faccia alla tradizione cantautorale del testo poetico?
«Ci voleva coraggio... Con Giancarlo Bigazzi, che scriveva le canzoni con me, ci eravamo posti il problema. Quella struttura era qualcosa fuori dalla moda che andava a fine anni Settanta, ma la mia cultura musicale nasce dai Beatles: la parola deve suonare».
È vero che «Ti amo» ha rischiato di non diventare un singolo?
«Il grande Alfredo Cerruti, allora direttore artistico della mia casa discografica, era innamorato di “Se tu mi aiuterai”. Spinsi con Bigazzi per avere “Ti amo” come singolo: “non esiste che si faccia quell’altra” dissi. Passato un mese dall’uscita andai in vacanza a trovare i miei sul Gargano, mio papà era di lì. Chiamai Cerruti da un telefono a gettone, me lo passarono. “Come va?”. E lui “Umbe’... e come vuoi che vada? Ti avevo consigliato Se tu mi aiuterai...”. Mi prese un infarto, pensai di aver toppato. Lui si mise a ridere: “Vendiamo 40 mila copie al giorno!”».
umberto tozzi the kolors quarta serata sanremo 2024
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Nella scaletta di «L’ultima notte rosa - The final tour», la serie concerti in 4 continenti che dal 10 marzo torna in Italia e con cui lei dà l’addio alle scene, non vedo «Se tu mi aiuterai»...
«Non la faccio, e in passato l’ho fatta raramente. C’è stato un rigetto».
Come nacque «Ti amo»?
«Sulle colline di Firenze, a casa di Bigazzi con la mia chitarra: mi resi subito conto che quel giro armonico era originale, specialmente a livello ritmico e metrico. Fin dal primo accordo suonato dalla mia Gibson nella versione originale del ’77, mi emoziona ancora oggi e quando la suono in ogni live... è immensa!».
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E invece divenne una star anche in Francia... La chiamavano «Monsieur Ti amo»...
«I deejay della Costa Azzurra avevano iniziato a passare il brano nelle discoteche e piaceva. Il capo del reparto promozione della Cbs francese, uno spagnolo trapiantato a Parigi che si chiamava Manolo Diaz, mi fece vedere un telegramma dell’allora presidente: “Tozzi non venderà mai una copia in Francia”. Se ne andò di lì a poco e quel telegramma finì incorniciato negli uffici parigini della Cbs. “Ti amo” arrivò a un milione e mezzo di copie».
La vita mondana di una star internazionale?
«Due aerei al giorno... Non facevo concerti sia perché credevo che prima bisognasse avere un repertorio e ho aspettato fino al 1980 con “Stella stai”, sia perché ero sempre in giro a fare interviste. Incontravo spesso Julio Iglesias, eravamo nella stessa etichetta.
Mi faceva sempre ridere. A me che sono pallido di carnagione e non stavo mai al sole spiegò che per sembrare sempre abbronzato prenotava i servizi fotografici per quando rientrava dalle vacanze al mare».
Groupie?
«Sotto la porta della mia camera in hotel trovavo sempre i bigliettini con i numeri di telefono...».
«Fammi abbracciare una donna che stira cantando»: le femministe non apprezzarono quelle parole...
«Mi distrussero, dicevano che era un atteggiamento maschilista. E invece quell’immagine mi era venuta pensando a mia mamma che abbracciavo quando tornando a casa la trovavo a stirare».
«Nel letto comando io ma tremo davanti al tuo seno» però è poco machista... I rapper di oggi sono più espliciti...
«In effetti oggi si dice ben altro, noi eravamo dei santi in confronto... Non ascolto il rap: è giusto che ci sia, ma non mi emoziona, non mi trasmette nulla. Il problema della musica di oggi è che mancano le canzoni, forse perché non le sanno scrivere.
Non credo si possa diventare come Michael Jackson con quello che sento in giro: lui invece emoziona ancora».
Chi era il «guerriero di carta igienica»?
«Era per dire che ero stato un pezzo di m... Ma all’epoca non si poteva certo usare quell’espressione».
Ha sofferto per non essere stato apprezzato dalla critica?
«Dicevano che facevo canzoni per l’estate. Quando hai successo in molti ti vogliono distruggere. Ero preso di mira».
Pesava il disimpegno politico delle sue canzoni?
«Mi sentivo in imbarazzo, ero visto fuori luogo, non gradito. Facevo quello che mi piaceva fare, e il risvolto sociale e politico lo tenevo per me. Da quando la mia musica ha iniziato a uscire dall’Italia ho pensato “ma chissene”. Non era snobismo, avevo anche poco tempo per seguire cosa dicevano questi geni...Ho avuto un orientamento verso un altro pensiero e non mi sentivo appartenere a quei movimenti politici. Ero anarchico, non coinvolto da quelle esperienze».
Nelle interviste dell’epoca diceva: «Per vivere mi basta poco: un letto in cui dormire, un maglione da mettermi addosso, qualcosa da mangiare senza tante ricercatezze»...
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Con «Gloria» replicò il successo e la versione in inglese di Laura Branigan arrivò al numero due della classica americana...
«Ricordo che quella canzone nacque intorno alle 16 di un pomeriggio triste e freddo suonando un pianoforte a muro che avevo affittato quando abitavo con i miei genitori in una casa in Via Frejus a Torino».
È esistita una vera Gloria? Si chiamava così?
«Non è mai esistita una vera Gloria, era semplicemente una parola che suonava fantasticamente bene su quel riff musicale».
umberto tozzial bano carrisi con la mamma jolanda, umberto tozzi e toto cutugnoumberto tozzi raf umberto tozzi raf umberto tozzi umberto tozzi UMBERTO TOZZIUMBERTO TOZZIumberto tozzi
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