FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Clarida Salvatori per corriere.it
Antonello Venditti ha ragione. La Rai ha violato il suo diritto all’oblio. A pronunciare la sentenza (ordinanza numero 6919 del 20 marzo 2018) è stata la prima sezione civile della Corte di Cassazione, presieduta da Francesco Tirelli, relatore Antonio Valitutti.
I fatti
Ma ecco come è andata. Era il 12 dicembre del 2000 quando, all’uscita di un ristorante dove era andato a cena con alcuni amici, Antonello Venditti veniva fermato da una troupe della trasmissione «La vita in diretta» di Rai1, per un’intervista. Il cantautore romano, infastidito, rispondeva in modo secco e perentorio, rifiutandosi di rilasciare dichiarazioni. Il girato viene comunque mandato in onda dalla trasmissione della rete ammiraglia della tv pubblica, con un commento sarcastico del giornalista: «Chissà perché è così nervoso?
Ma a Natale non si dovrebbe essere più buoni?». Il punto però è un altro. A distanza di cinque anni, il 27 aprile del 2005, il servizio viene riproposto agli spettatori all’interno di una «classifica dei personaggi più antipatici e scorbutici del mondo dello spettacolo». Classifica in cui a Venditti veniva assegnato il secondo posto. Stavolta poi il commento era ancora più ficcante: «E chissà, forse Antonello Venditti non è più abituato alle luci della ribalta. Del resto, ormai è molto tempo che non lo illuminano più».
Il processo
Ecco perché Venditti ha deciso di far valere le sue ragioni nelle aule di tribunale, perché ritiene che la Rai abbia violato il suo «diritto all’oblio conseguente alla messa in onda di immagini registrate cinque anni prima», chiedendo anche un risarcimento dei danni subiti. La Cassazione, intervenendo nel merito della battaglia giudiziaria tra Venditti e la Rai, ha nettamente indicato i limiti del diritto all’oblio rispetto al diritto di cronaca. Il primo può infatti subire una «compressione» solo se ci sono determinati presupposti: contributo ad un dibattito di effettivo interesse pubblico; elevato grado di notorietà del soggetto; informazione scevra da insinuazioni e considerazioni personali; la messa al corrente del diretto interessato in modo da consentirgli il diritto di replica.
Appello da rifare
La Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, dovrà dunque riesaminare adesso l’intera vicenda, applicando i principi fissati dalla Cassazione. In prima istanza infatti la sentenza 124 del 2014 della stessa Corte d’appello aveva stabilito che la messa in onda del servizio era lecita poiché rispettava tra l’altro «l’essenzialità della notizia e la sussistenza del diritto di satira».
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