DAGOREPORT – IN POLITICA IL VUOTO NON ESISTE E QUANDO SI APPALESA, ZAC!, VIENE SUBITO OCCUPATO. E…
Gianluca Veneziani per "Libero quotidiano"
Intervistare Jerry Calà, ammettiamolo, è una libidine. Ed è una doppia libidine per noi nati alla metà degli anni '80 che, crescendo, abbiamo guardato con ammirazione a quell'epoca di spensieratezza incarnata dai film dell'attore. Quell'atmosfera vitale viene ora rievocata, all'interno dell'isola di Cuba, nel libro La lavadora (Bibliotheka, pp. 224, euro 16), scritto da Calà con lo sceneggiatore Gino Capone: un romanzo di viaggio e di amore in grado di far immergere il lettore nello spirito libero dell'isola e di fargli vedere le sue bellezze (comprese quelle femminili) con gli occhi dell'immaginazione.
Calà, lei è attore, regista, comico, cantante. Come si sente nelle vesti di scrittore?
«Be', scrittore è una parola grossa. Mi definirò tale se questo libro andrà bene e potrò scriverne un altro. Al momento le vendite sono confortanti...
L'idea del libro nasce da una permanenza mia e di Capone all'Avana alla metà degli anni '90: eravamo ospiti del Festival del cinema latino americano, dove presentavo il film Ragazzi della notte. In quell'occasione il nostro viaggio ha cambiato prospettiva: i registi e gli artisti là conosciuti ci hanno portato a scoprire l'anima vera di Cuba, ci hanno fatto entrare nelle case, raccontato storie del luogo. Passeggiando per L'Avana, ci siamo imbattuti in un negozio che esponeva elettrodomestici nuovi ma di vecchia fattura. E abbiamo notato una ragazza ferma davanti alla vetrina che guardava con occhi estasiati una lavadora, una lavatrice.
jerry calà sabrina salerno fratelli d'italia
Allora le abbiamo chiesto perché ammirasse con tanto incanto quell'elettrodomestico. E lei ci ha risposto: "La lavadora es el sueño de mi vida". È stata quella frase a ispirarci la storia, che all'inizio doveva essere un progetto cinematografico. Ma in quegli anni era molto difficile girare un film a L'Avana per vari motivi».
Motivi politici? Fare quel film significava raccontare la povertà estrema in cui viveva la gente nella Cuba castrista?
«Sì, la censura ci obiettò che i cubani ce l'avevano tutti la lavatrice. Noi allora siamo andati in 50 case ma abbiamo trovato solo degli strumenti primordiali per strizzare e lavare i vestiti. Il potere negava questo e non voleva venisse raccontato, ma la lavatrice era un oggetto di grande desiderio proprio perché c'era grande miseria».
jerry calà sabrina salerno fratelli d'italia
Perché riprendere quel progetto interrotto 25 anni fa?
«Lo spunto è venuto fuori durante il primo lockdown, quando ho visto decine di medici cubani venire in Italia a portarci assistenza. Ho pensato che fosse un gesto straordinario anche perché lì col Covid sono messi molto peggio di noi. Quella scena mi ha confermato la grande qualità umana del popolo cubano. E allora ho detto a Gino: tiriamo fuori quella vecchia storia, come atto d'amore verso Cuba».
Lei non esita a descrivere l'isola anche come una meta di eros, tra donne «cavallerizze» con fondoschiena divini e uomini a caccia di «gnocca». Le femministe si indigneranno?
«No, perché noi raccontiamo questo fenomeno dalla parte delle donne. E guardando un po' biecamente quelli che andavano a Cuba solo per l'eros».
Nel libro lei usa una volta la parola "negro", e poi ricorre più volte al termine "mulatta". Usate nel giusto contesto, quelle parole non hanno alcunché di razzista?
«Quanto a "negro", nel libro è una parola pronunciata in modo scherzoso da una ragazza mulatta e riferita a un autista di colore. Quando i neri se la dicono tra di loro, quella parola non ha niente di offensivo. Anche nei film di Spike Lee gli afroamericani si prendono in giro, chiamandosi "nigga", negro. Per quanto riguarda "mulatta", è solo la definizione di un'etnia ed è assurdo pensare che sia discriminatoria.
E poi il romanzo è ambientato negli anni '90, quando la sensibilità relativa al linguaggio era un'altra. Se io voglio scrivere un romanzo vero, metterò in bocca ai personaggi il linguaggio usato in quel periodo. Bisogna perciò stare molto attenti al politicamente corretto, che rischia di tagliarci le palle».
Covid a parte, la gente va di meno al cinema perché i film non parlano più la lingua che parla la gente?
«Senz' altro questo gioca a sfavore, specialmente della commedia. Noi negli anni '80 eravamo liberi e facevamo dire agli attori le parole che la gente diceva in giro. Senza quella libertà, film come Vacanze di Natale o Sapore di mare sarebbero stati messi all'indice. Per non parlare di Vacanze in America, in cui io faccio quella scena bellissima della terrazza con tutti gay, usando parole che oggi non si potrebbero più usare...
Sia chiaro, io rispetto la nuova sensibilità, però è oggettivo che queste cose vanno a discapito della risata. Penso anche al mio personaggio in Fratelli d'Italia che fa una scommessa per portarsi a letto la moglie del suo titolare. Oggi sarebbe definito sessista. Ma i film rispecchiano sempre un'epoca, non possono mai essere condannati dopo. La censura retroattiva è una follia».
Un paio di anni fa un'esponente del Pd, Anna Rita Leonardi, la definì in modo offensivo «un cretino senza talento». Come è finita quella vicenda?
«Quella signora aveva voglia di visibilità. Poi, quando la rete le si rivoltò contro, lei chiamò il mio agente per dirgli che io sarei dovuto intervenire per difenderla. Cioè, tu mi offendi e io ti devo difendere?».
Come si trova a vivere al tempo dell'insulto gratuito sui social?
«Ho smesso di esprimermi politicamente. Mi hanno messo addosso l'etichetta di destra, ma io mi definisco un liberale».
Da veneto, mi dice almeno cosa pensa di Zaia?
«Zaia lo conosco. In periodo di lockdown si è comportato bene. Ed è apprezzato al di sopra delle fazioni di partito. Penso che sia un politico che agisce per il bene del suo territorio».
È in corso il Festival del cinema di Roma. Kermesse buona solo per gli attori che appartengono ai salotti buoni?
«Non lo so, non la frequento, non sono un attore che invitano ai festival... Poi non ci vado certo solo per fare il red carpet».
70 anni di età e 50 anni di carriera. Qual è il ricordo più bello e quale il rimpianto più grande?
«Il più bello è il giorno in cui ho visto il mio nome in grande sopra il titolo di un film, Vado a vivere da solo. Allora ho pensato "Ah, forse ce l'ho fatta". Il rimpianto è quello di essere uscito dal gruppo di Vacanze di Natale: lo feci perché avevo voglia di continuare la carriera da solo. Fu uno sbaglio, anche dal punto di vista economico».
Qual è la cosa che le dà oggi più libidine?
«La più grossa libidine l'ho provata lo scorso 20 luglio all'Arena di Verona celebrando i 50 annidi carriera. È stato un trionfo di pubblico e di amicizia».
Il sesso continua a darle libidine?
«No, ormai il sesso è un ricordo del passato... (ride)».
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