DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Valerio Palmieri per “Chi”
Dagospia ha cambiato il linguaggio dei giornali, la titolazione, l’uso degli aggettivi, ha unito alto e basso, dal Cafonal alla lectio magistralis a Oxford, dai morti di fama a La grande bellezza, ma soprattutto è stata una fucina di scoop. «Pensavo di fare solo un sito di costume. Ma, dopo una settimana, mi proposero una notizia bomba: lo smascheramento dell’operazione Enel-Telemontecarlo. Il simbolo dell’accordo era l’assunzione di Sonia Raule, moglie di Franco Tatò, come capo dei programmi di Tmc. Titolai: dal materasso alla Rete. L’operazione saltò, ma da quel momento fui sommerso da segnalazioni».
Domanda. Non voleva fare scoop, insomma.
Risposta. «Non volevo che fosse il pilastro del mio sito perché lo scoop lo fai adesso ma domani è un altro giorno, Dagospia muore ogni sera e rinasce la mattina. Lo scoop ti dà visibilità, ma quello che per me è importante è che la realtà bisogna interpretarla, riporto ogni giorno i pezzi più interessanti usciti sui giornali, ma poi ci metto il titolo che chiosa, perciò lo scoop è la ciliegina, non è la torta».
D. Ha fonti insospettabili.
dago con la redazione e gli studenti all'ingresso della dining hall dell'oriel college di oxford
R. «Di solito, come ben sa, se vuoi fare il ritratto di un personaggio devi rivolgerti al suo nemico più intimo e fare una tara di quello che ti dice, serve esperienza e occorre verificare con Google, i social, incrociare i dati. E, comunque, puoi sempre sbagliare, nessuno fa i dieci comandamenti. Ricordo un bellissimo film del 1950, Rashomon, dove cinque persone assistono a un delitto in un bosco ma, quando vengono convocate dagli agenti, raccontano cinque storie diverse. La verità è soggettiva, ognuno racconta la propria versione».
D. Ha mai avuto rimorsi?
R. «A volte gli scoop mettono malinconia, anni fa svelai una scappatella di una donna della tv e mi trovai in tribunale perché il marito voleva toglierle la potestà genitoriale, e mi sono pentito perché non accertai se la signora avesse una famiglia».
D. Un anno fa ha svelato il Pratigate.
R. «Ogni decade Pamela Prati si inventata un matrimonio, quando era in astinenza da copertine partiva con la foto dell’abito bianco accanto a qualche disgraziato, ma oggi, con il web, non funziona. La storia di Mark Caltagirone era talmente appoggiata sulla sabbia che emerse un meccanismo messo in piedi dalle due ex agenti della Prati per dare in pasto storie farlocche ai vari giornali e, quando è arrivata la gallina dalle uova d’oro, hanno tentato il colpaccio. Mi è bastato chiamare l’ex fidanzato della Prati per capire che era una sorta di truffa».
D. Ha scoperto la vera identità della scrittrice di successo Elena Ferrante.
R. «Sì, il grande mistero di questa scrittrice furoreggiava in ogni angolo del mondo e scoprii che era Anita Raja, la moglie di Domenico Starnone, che faceva la traduttrice e si inventò questo nom de plume perché magari sarebbe passata inosservata con il suo».
D. Il suo pezzo forte sono le nomine dei direttori della Rai e dei quotidiani.
R. «Quando scrissi che Carlo Verdelli sarebbe diventato direttore di Repubblica il suo predecessore, Mario Calabresi, allora in carica, stava facendo la sua solita riunione di redazione mentre i giornalisti lo guardavano imbarazzati, perché era l’unico a non saperlo. A volte i direttori sono come i mariti, gli ultimo a sapere le cose».
D. Gli scoop da fare?
R. «Il mistero di Giuseppe Conte che sta con la Paladino, ma non ha ancora divorziato dalla moglie, l’amicizia della Boschi con Giulio Berruti».
D. La sua prima fonte fu Francesco Cossiga.
R. «Mi svelò che Banca Intesa, guidata da Giovanni Bazoli, voleva conquistare le Generali, l’operazione saltò solo perché la svelammo prima che si compisse».
D. Non teme le querele?
R. «La prima me la fecero Al Bano e Romina perché avevo scritto con Renzo Arbore un libro, Il peggio di Novella 2000, in cui raccontavo la storia d’Italia attraverso le loro canzoni, ripercorrendo la favola del contadino di Cellino che salva la diva di Hollywood dalla perdizione, solo che feci una delle mie solite battute stronze su Romina e lei ci querelò per diffamazione. Vincemmo, ma Arbore ci rimase male perché era pugliese come Al Bano, da allora ho chiamato la signora “Rovina Power”».
D. Ha ispirato il film premio Oscar La grande bellezza.
R. «Paolo Sorrentino vide il libro Cafonal e mi disse che voleva fare un film su questa Roma cafona e allora lo portai in giro per i salotti, dicendogli: “Ricorda che i romani sembrano disillusi, ma è solo perché conoscono bene la differenza fra la cronaca e l’eternità, sanno che la gloria passa in fretta e che molti che si atteggiano a eroi finiranno nel cestino della storia. Quindi questi personaggi che sembrano pupazzetti, caricature, in realtà conoscono il mondo meglio di chiunque altro”».
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