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Alberto Dentice per "L'Espresso"
Sono i cowboy e le cowgirl d'Italia: un esercito di appassionati (tra gli otto e i diecimila) distribuiti da nord a sud in ogni regione dello Stivale. Un territorio esistenziale ignorato dalle carte geografiche che però occupa il Web con i siti di decine di ranch per monta western, informazioni sull'abbigliamento, la cura del cavallo e innumerevoli pagine di approfondimenti e riflessioni sul codice deontologico del cowboy.
Per chi li guarda da fuori, niente più che una moda curiosa, l'improbabile "remake" in versione country-western di "Un americano a Roma". Per tutti loro invece, un modo per divertirsi sfuggendo allo stress cittadino e per riscoprire cosa significa il rispetto della natura e il sapore dell'avventura in luoghi dove attorno ci sono sempre cavalli, cani, bestiame e tanto spazio verde.
Per Andrea Fioravanti, così come per la maggior parte dei cowboy cresciuti in Italia negli anni Sessanta, tutto è cominciato dalla passione per i cavalli, i film western con John Wayne e la serie televisiva "Bonanza" trasmessa in bianco e nero da quella che all'epoca si chiamava tv dei ragazzi.
Una passione che ha portato Fioravanti, 47 anni, i modi schietti, il fisico di un toro e una vaga somiglianza con l'attore Franco Nero ("Django") per ben quindici volte al di là dell'Atlantico a fare esperienza diretta nei ranch americani per acquisire il bagaglio di competenze necessario per lavorare a cavallo a contatto con le mandrie.
«Agli inizi è stata abbastanza dura», racconta Fioravanti: «Quello dei cowboy, dal Texas al Wyoming, è un mondo chiuso e molto diffidente nei confronti degli italiani». Forse, che Paolo Conte ci perdoni la citazione, «perché le balle ancora gli girano»: cioè per la nota figuraccia fatta da Buffalo Bill nel 1890, dopo aver perso la sfida nella doma dei puledri contro i butteri nostrani dell'Agro Pontino.
Fatto sta che per conquistare il rispetto dei cowboy Doc, racconta Fioravanti, le prove sul campo sono inevitabili: «Devi dimostrare di saperci fare, stare in sella per ore e ore senza stancarti, catturare il bestiame con il lazo, separare i capi dalla mandria, marchiare fino a trenta vitelli in un giorno senza fermarti un attimo».
Dalle praterie americane ai ranch del Lazio, tanta esperienza e tanta passione hanno dato i loro frutti. Fioravanti, infatti, non è soltanto un noto campione di Team Penning, sport di squadra che consiste nel separare uno o più capi dalla mandria e guidarli entro un tempo stabilito nel recinto ("penside"), ma è anche un infaticabile organizzatore di gare in ambito regionale.
Nella monta western si contano peraltro diverse discipline: si chiamano "stock" le gare con il bestiame che includono quindi il "team penning"; "speed" quelle di velocità , mentre sono denominate "performance" le gare di precisione tipo il "reining", che tradotto significa "lavorare di redini" ed è considerato una forma di dressage.
Eventi di questo genere sono ormai una tradizione non solo in Toscana e nel Lazio e richiamano ogni volta centinaia di appassionati da tutta l'Italia, cavalli e cavalieri sempre più preparati: fino a centosessanta squadre ogni gara all'ultimo Western Show di Anguillara Sabazia (a nord di Roma) disputato lo scorso giugno, con molta competizione.
Al tempo stesso questi eventi diventano occasione per esibire i propri destrieri, l'abbigliamento e i finimenti: molto spesso importati dagli Usa e pagati a caro prezzo. Una buona sella western in cuoio, fondamentale per riuscire a cavalcare ore e ore senza stancarsi ed evitare fiaccature all'animale (le migliori secondo gli esperti hanno l'arcione in pino rosso ricoperto di budello), costa infatti dai duemila euro in su.
Secondo copione, ogni evento si svolge con l'immancabile accompagnamento di musica country, sventolio di bandiere a stelle e strisce e tutto l'apparato folkloristico di un'immaginaria fiera campestre texana: dalla gastronomia alle esposizioni di artigianato in cuoio, dai giochi alle gare di tiro al bersaglio con la Colt 45, la cosiddetta "peace maker", e il Winchester.
Fino alle feste danzanti finali, in stile country line.
L'elemento centrale di tutto è naturalmente il cavallo, protagonista assoluto dell'epopea western e quindi della vita del cowboy. E quando si parla di cavalli, i nostri intendono naturalmente il Quarter Horse, animale atletico, agile, veloce, abituato a lavorare con il bestiame e a rispondere repentinamente ai comandi impartiti dal cavaliere attraverso le redini.
Delle caratteristiche di questo cavallo capace di volare come nessun altro sulla distanza del quarto di miglio (a ciò si deve, infatti, la sua particolare denominazione) sa tutto Tiziana Olivieri, campionessa di "team penning" e organizzatrice con Giampaolo Duranti del Western Show di Anguillara Sabazia.
Attorno al loro ranch, vicino al lago di Bracciano, ci sono i boschi e le vallate che hanno fatto da sfondo a decine di film negli anni d'oro dello spaghetti-western. Spesso ci si domanda come mai questa razza americana derivata da incroci tra purosangue inglesi, mustang e cavalli di razza arabo-andalusa sia la preferita dai mandriani.
Il motivo, spiega Olivieri, è che oltre alle doti di buon carattere, versatilità e disponibilità verso l'addestramento il Quarter Horse ha sviluppato il cosiddetto "cow sense", un istinto simile a quello del cane da pastore, che lo rende particolarmente adatto a destreggiarsi con le mandrie.
Insomma, per questo cavallo lavorare è un gioco e spesso è lui che decide, prima del cavaliere, le mosse giuste per riuscire a guidare il vitello verso il recinto.
«Tra la via Emilia e il West», cantava Francesco Guccini: e sono proprio i boschi e le montagne che circondano Pavullo, sull'appennino tosco-emiliano i luoghi dove il cow boy "Paso" ha stabilito il suo quartier generale.
Siamo in provincia di Modena ma l'atmosfera del ranch "Il Mulino" ricorda davvero il vecchio West: c'è perfino il carro di una carovana vicino alla staccionata, l'immancabile bandiera americana che sventola sul palo e una specie di saloon pieno di cimeli, selle, speroni e finimenti ricavato in quello che un tempo doveva essere il fienile.
Talmente fedele alla tipologia di una fattoria americana che nel 2010 ha ospitato la scenografia del reality, "Horse Factor", dove i concorrenti dovevano cimentarsi, appunto in tutte le tipiche discipline del cowboy.
Qui si organizzano varie attività per gli appassionati: corsi di monta western, di "roping" (ossia la presa del vitello con il lazo) giornate di "barrel racing" (una sorta di rodeo) e galoppate da ranch a ranch.
Ma "Mr. Paso", che anche lui è fin da bambino un appassionato di western e dell'avventura, ha il suo pezzo forte ogni estate nei percorsi di transumanza con vitelli bradi: eventi che, assicura, richiamano ogni anno un numero di partecipanti sempre più alto. Ultimamente, racconta, sono arrivati anche i russi, che a suo dire, tra i fantastici paesaggi dell'Appennino hanno trovato il Far West senza bisogno di attraversare l'Atlantico.
Schiettezza, rispetto assoluto della natura, insofferenza verso tutto ciò che è di ostacolo alla vita libera a cavallo tra i boschi, come direbbe Henry Thoreau, accomunano le varie anime dello strano popolo di cowboy di cui Paso, iscritto come molti in questo settore regolarmente all'Egea (Associazione nazionale delle guide turistiche equestri) è una delle figure più rispettate.
Secondo Paso però la burocrazia italiana rischia di rendere la vita impossibile a quelli come lui:«In Oregon o in Arizona puoi portare senza problemi una mandria di cinquecento capi da una parte all'altra spostandoti anche per venti chilometri di autostrada.
Qui da noi per portare tre vitelli in transumanza tra permessi, carte bollate, certificati della Asl ti fanno morire ancor prima di montare a cavallo». Nonostante tutto, questo non è un paese per cowboy.
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