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    MEDICI DI BASE, SI CAMBIA! - IL GOVERNO PENSA DI TRASFORMARLI IN DIPENDENTI DEL SERVIZIO SANITARIO: È UNO DEI PALETTI PER OTTENERE I SOLDI DEL RECOVERY FUND CHE CI SERVIRANNO A RIVOLUZIONARE L'ASSISTENZA MEDICA SUL TERRITORIO, USCITA CON LE OSSA ROTTE DALL'EMERGENZA COVID - GABANELLI SVELA I PUNTI PER SPENDERE I 7 MILIARDI DEL PIANO: "CASE DELLA COMUNITÀ, OSPEDALI PER RICOVERI BREVI, POTENZIAMENTO DELLE CURE DOMICILIARI..." - VIDEO


     
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    Simona Ravizza e Milena Gabanelli per il "Corriere della Sera"

     

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    Il Covid ha portato a galla tutte le falle del sistema sanitario, e la più grande di tutte l’hanno pagata i cittadini sulla loro pelle: l’assistenza medica sul territorio. Nelle settimane più difficili della lotta al virus un contagiato su tre, impaurito e abbandonato a casa, è andato a intasare i Pronto Soccorso, dove dovrebbero arrivare solo i pazienti che richiedono una valutazione clinica complessa, e a occupare posti letto anche se avrebbe potuto essere curato a domicilio.

     

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    L’ospedale come unico punto di riferimento, in un anno di collasso, ha costretto poi a rimandare visite e diagnosi, con conseguenze che vedremo nel tempo. Lo smantellamento dell’assistenza sul territorio da anni costringe ad andare al Pronto soccorso per qualunque cosa, aumenta i ricoveri impropri soprattutto per diabete, malattie polmonari e ipertensione, mentre chi soffre di malattie croniche si aggrava.

     

    Su 21 milioni di accessi al pronto soccorso ogni anno, 16 milioni sono codici bianchi e verdi, e l’87% di questi non sfocia in un ricovero. Vuol dire che medici di famiglia e strutture intermedie potrebbero evitare una spesa annua di 700 milioni di euro.

     

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    Non è invece calcolabile la spesa per la mancata assistenza a 23 milioni di persone con patologie croniche. Insomma, un potenziamento della medicina territoriale è urgente, e più forte è, minori saranno i costi totali del sistema sanitario.

     

    Il documento

    Vediamo in anteprima la declinazione in concreto del piano inviato a Bruxelles per spendere i 7 miliardi di euro messi a disposizione dal Recovery Fund, e da spendere in 5 anni per cambiare il modello di Sanità.

     

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    L’approvazione definitiva del progetto da parte della Ue arriverà entro settembre, immediatamente dopo, il ministro della Salute Roberto Speranza dovrà avviare la riforma. I suoi cinque pilastri sono contenuti nei dettagli in un documento appena presentato a porte chiuse al Policlinico San Matteo di Pavia dall’Agenas, l’Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali che fa capo al ministero della Salute. In concreto cosa cambia?

     

    Le Case della Comunità

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    Punto uno. Un ruolo cruciale del nuovo assetto sono le «Case della Comunità» che riuniranno in un’unica struttura di quartiere i medici di famiglia, gli specialisti, infermieri e assistenti sociali.

     

    La struttura, attrezzata di punto prelievi, macchinari diagnostici per gli esami e le infrastrutture informatiche del caso, insieme al team multidisciplinare, dovrà offrire assistenza dalle 8 alle 20.

     

    Il servizio notturno sarà garantito dalla presenza della guardia medica. Per un’assistenza capillare l’ideale è avere una «Casa» ogni 20.000 abitanti. Con i fondi del Recovery Fund ne saranno aperte 1.288 entro il 2026.

     

    Oggi ce ne sono solo 489: la Regione che ne ha di più è l’Emilia Romagna (124), poi il Veneto (77), la Toscana (76), il Piemonte (71). Nessuna in Lombardia, dove se ne dovranno realizzare 216. Sarà il governo a decidere quante farne in ogni Regione, mentre spetterà alle Regioni decidere dove farle.

     

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    Gli ospedali di Comunità

    Punto due. In ospedale bisogna andarci solo per una malattia grave o un intervento chirurgico. Per ricoveri brevi, e per pazienti a bassa intensità di cura, ci si rivolgerà all’«Ospedale di Comunità»: una struttura a gestione prevalentemente infermieristica, da 20 posti letto fino ad un massimo di 40. È necessario che ce ne sia uno ogni 50.000 abitanti.

     

    Sempre con i fondi europei se ne potranno realizzare 381 per 7.620 posti letto che, aggiunti agli esistenti, dovranno portare il numero dei letti attivi negli ospedali di comunità a 10.783. Oggi i posti sono solo 3.163 concentrati in Veneto (1.426), poi 616 nelle Marche, 467 in Lombardia e 359 in Emilia Romagna. Non si tratta di edificare tutte strutture nuove, ma anche adattare e riconvertire quelle che esistono già.

     

    Domicilio e centrale operativa

    centrale operativa centrale operativa

    Punto tre: le cure domiciliari. Il numero dei pazienti seguiti a casa va portato dai 701.844 di oggi, a oltre 1,5 milioni, in modo da garantire l’assistenza ad almeno il 10% della popolazione over 65 più bisognosa. Oggi è seguito il 5,1%.

     

    Punto quattro: le «Centrali operative territoriali» (Cot). La loro funzione è di coordinamento e collegamento dei vari servizi sanitari territoriali, sostenendo lo scambio di informazioni tra gli operatori sanitari e facendo da punto di riferimento per i familiari caregiver.

     

    Serve una «Cot» ogni 100.000 abitanti, in corrispondenza di ciascuna area geografica in cui verrà suddiviso il territorio (distretti). In totale sono 602, da organizzare entro 5 anni, di cui 101 in Lombardia, 59 in Lazio, 49 In Veneto, 45 in Emilia Romagna.

     

    I medici di famiglia

    Punto cinque: i medici di famiglia. Oggi sono liberi professionisti convenzionati: vuol dire che il loro lavoro è disciplinato da accordi collettivi sottoscritti dalle rappresentanze sindacali e dalla Conferenza Stato-Regioni. L’accordo in vigore prevede che lo studio debba essere aperto cinque giorni a settimana e il numero di ore dipende dal numero di assistiti: va dalle 5 ore settimanali fino a 500 pazienti, alle 15 per 1.500 assistiti, numero massimo consentito.

     

    nuova organizzazione nuova organizzazione

    Come condizione per darci i soldi adesso l’Europa ci chiede di rivedere le loro regole d’ingaggio, perché l’intero progetto rischia di schiantarsi senza il coinvolgimento forte del medico di famiglia che porta il suo ambulatorio all’interno delle Case della Comunità.

     

    Il nodo più spinoso che dovrà affrontare il ministro della Salute Roberto Speranza sarà dunque quello di decidere se farli diventare dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale o trasformarli in un ibrido (esternalizzando il lavoro, dove il medico resta un libero professionista convenzionato, ma viene arruolato da cooperative intermedie che garantiscono la copertura dell’assistenza nelle Case della Comunità).

     

    Questo significa che il Ministro dovrà essere capace di resistere alle pressioni di quei medici di famiglia che desiderano andare avanti come oggi con il loro ambulatorio da gestire in totale autonomia, o piuttosto ingaggiare man mano i giovani medici più disponibili a coprire le necessità dei territori.

     

    La realizzazione del piano

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    È utile ricordare che già in passato sono state tentate riforme simili: nelle «Linee del programma di Governo per la promozione della salute» del giugno 2006 l’allora ministro della Salute Livia Turco voleva realizzare «un nuovo progetto di medicina del territorio attraverso la promozione della Casa della Salute», una «struttura polivalente e funzionale in grado di erogare materialmente l’insieme delle cure primarie e di garantire la continuità assistenziale con l’ospedale».

     

    Ma, come abbiamo visto dai numeri sulle Case della Salute che esistono oggi, salvo poche eccezioni, il progetto si è arenato sia per l’indisponibilità dei medici di famiglia sia per le diverse politiche regionali.

     

    medici e infermieri covid 19 medici e infermieri covid 19

    La differenza con allora è che stavolta sarà il governo a imporre alle Regioni la tabella di marcia, gli obiettivi da raggiungere e il controllo sui risultati, proprio perché i soldi arrivano dal Recovery Plan.

     

    È il motivo per cui ogni Regione sarà chiamata a firmare un «contratto istituzionale di sviluppo», che vuol dire che si assumerà degli obblighi e, in caso di inadempienza, il ministero della Salute potrà nominare un «commissario ad acta».

     

    Il cronoprogramma: la ricognizione dei luoghi dove fare sorgere Case e Ospedali di Comunità è prevista per l’autunno, la definizione esatta della via entro marzo 2022, per procedere poi a stretto giro con la firma dei contratti.

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