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    MENTRE L’AUSTERITÀ SCONQUASSA L’EUROPA, IN GRAN BRETAGNA C’È UNA PICCOLA ISOLA FELICE - SI CHIAMA JERSEY, ED È UN VERO PARADISO FISCALE: TASSE ALL’1%, IL CHE VUOL DIRE UNA PERDITA DI PIÙ DI 160 MLN £ ALL’ANNO PER LE CASSE DEL REGNO - LE CASSE DI JERSEY CUSTODISCONO 700-800 MLD £, E ORA IL GOVERNO DI CAMERON SI INNERVOSISCE - MA L’ISOLA RISPONDE PER LE RIME: “FACCIAMO TUTTO IN MANIERA TRASPARENTE, MA SE CI OSTACOLANO, DICHIAREREMO L’INDIPENDENZA”...


     
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    Mattia Bernardo Bagnoli per "la Stampa"

    MAPPA DI JERSEYMAPPA DI JERSEY L'ISOLA DI JERSEY NEL CANALE DELLA MANICAL'ISOLA DI JERSEY NEL CANALE DELLA MANICA

    À la guerre comme à la guerre. L'espressione calza, visto che Jersey è mezza francese. Lo dice la geografia, lo dicono i cognomi. Quanto al resto, però, è più simile all'isola che non c'è: una terra antica sospesa fra due universi paralleli. Da una parte la Gran Bretagna - le isole del Canale sono dipendenze della Corona - e dall'altra il resto del mondo. Il baricentro sta nella finanza, nella ricchezza d'alto bordo. Globale.

    Inafferrabile. I suoi bambini smarriti sono un esercito di commercialisti e avvocati esperti nella difficile arte delle fiduciarie incrociate. Ma gli scandali si moltiplicano e le casse - non solo quelle del Regno Unito - sono sempre più vuote. L'evasione fiscale di colpo si fa «ripugnante» - copyright George Osborne, il cancelliere dello Scacchiere - e «moralmente inaccettabile» - dice David Cameron. Ma Jersey non ci sta a fare la parte del baubau. E minaccia l'impensabile: la secessione, l'indipendenza.

    ISOLA DI JERSEY jpegISOLA DI JERSEY jpeg ISOLA DI JERSEY jpegISOLA DI JERSEY jpeg

    Di norma un'isoletta da 91 mila anime che agita lo spauracchio dell'autonomia finirebbe relegata nella sezione curiosità delle cronache dei giornali. Jersey è un caso a parte. Nei suoi «forzieri» custodisce infatti asset pari a 700-800 miliardi di sterline. Ovvero circa la metà del Pil annuale della Gran Bretagna (le stime vengono dall'ex chief adviser dell'isola Colin Powell). Ma se si contano gli attivi e i passivi il bilancio dell'isola - stando a un rapporto del Fmi - raddoppia. Sono numeri enormi, secondi solo a quelli delle Isole Cayman, il paradiso fiscale per antonomasia. Tutti soldi sporchi?

    ISOLA DI JERSEY NELLA MANICAISOLA DI JERSEY NELLA MANICA

    «È vero che qui negli Anni Settanta la gente veniva con le valige piene di contanti? Certo che sì. L'evasione fiscale era diffusa? Ovvio. Ma Jersey si è lasciata alle spalle tutto questo molto tempo fa». A parlare è Philip Ozouf, ministro del Tesoro dell'isola. «Non abbiamo risorse naturali se si escludono le nostre spiagge», spiega al Guardian. «Dobbiamo dunque usare la testa».

    Il che, obiettano gli esperti, significa aver creato un habitat ideale per grandi aziende e grandi patrimoni dove si fanno poche domande e non si esigono tasse. Via le valigie, insomma, e vai con la finanza creativa e trust sempre più complessi. Come il K2, il meccanismo che ha permesso a 1000 ricchi britannici - tra cui il popolare comico Jimmy Carr - di «minimizzare» l'impatto fiscale in patria. Traduzione: tasse pari all'1% del reddito e una perdita per l'erario di Sua maestà di oltre 160 milioni di sterline all'anno. Tutto legale e tutto mentre impazza l'austerity.

    DAVID CAMERONDAVID CAMERON

    Ma è proprio su questo tema - evasione fiscale versus minimizzazione, operazione lecita purché si abbiano capitali e consulenti - che si gioca ormai la partita. «Non possiamo legiferare per tutto il mondo, non sta a noi chiudere le scappatoie (degli altri Paesi)», ragiona Ozouf. Le autorità di Jersey ripetono poi che le 180 società che gestiscono i trust sono «severamente regolamentate» e che il governo negli ultimi tempi ha firmato diversi accordi bilaterali con paesi dell'Unione Europea e oltre proprio all'insegna della trasparenza.

    REGINA ELISABETTA DI CHRIS LEVINEREGINA ELISABETTA DI CHRIS LEVINE

    Niente repubblica delle banane, per quello si guardi ai Caraibi - dove, sempre per citare il rapporto dell'Fmi, si concentrano tre quarti degli oltre «18 mila miliardi di dollari» custoditi nei paradisi fiscali del mondo. Però c'è un però. Nell'arco degli ultimi 30 anni le grandi aziende a Jersey sono passate da 550 a 33 mila, molte delle quali - tutte tranne due, dice uno studio della Ong ActionAid - figurano nel listino londinese Ftse 100. Un trend che dimostra inequivocabilmente la dimensione dei benefici. Ma in tutto questo il Tesoro di Londra non si è mai accorto di nulla? Impossibile, sostengono gli esperti e gli attivisti alla Occupy. Basta seguire i soldi.

    Un rapporto del Tesoro stesso ha infatti evidenziato come ingenti capitali siano passati dalle filiali delle banche di Jersey ai quartier generali di Londra. «Siamo un cortile della City», attacca Ozouf. «Raccogliamo depositi in tutto il mondo e forniamo liquidità al sistema finanziario britannico nell'ordine di 200 miliardi di dollari». «Io spero che la nostra relazione costituzionale con il Regno Unito continui», ha buttato lì Sir Philip Bailhache, senatore di Jersey. «Ma se diventa chiaro che i nostri interessi nazionali saranno meglio protetti con l'indipendenza non ci fasceremo la testa». E allora Corona addio e benvenuta repubblica. Fondata sui quattrini.

     

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