Dalla rubrica delle lettere di “Repubblica”
FRANCESCO MERLO
Caro Merlo, so che mi tirerà le orecchie ma io, in barba a ogni principio di lealtà sportiva, alle Olimpiadi tifo contro la Cina. Dio voglia che siano altri — realisticamente gli Usa, romanticamente gli Stati Ue — a occupare il primo posto del medagliere.
Confidando nella sua clemenza.
Lorella Ponzio
Risposta di Francesco Merlo
Invece le do ragione. Nulla più dello sport, sino al ping-pong e agli scacchi, somiglia e simula la guerra. E può diventare una rivincita, un surrogato che permette di rifare Trafalgar e togliere la vittoria a Nelson. Il primo a capirlo fu Mussolini. Pensi al 1938, quando Bartali, “il naso triste come una salita”, si aggiudicò il Tour, e quando i Nostri (non lo erano?) vinsero per la seconda volta consecutiva il campionato del mondo, con lo scudo sabaudo e il fascio littorio sul petto.
VITTORIO POZZO 11
A Marsiglia gli azzurri furono accolti — raccontò il mitico allenatore Vittorio Pozzo — “con una bordata solenne e assordante di fischi, insulti e improperi” alla quale, per ordine di Mussolini, risposero scendendo in campo, a Parigi contro la Francia, con un completo nero.
VITTORIO POZZO 5
Il Popolo d’Italia celebrò “una vittoria in terra straniera, anzi in territorio ostile”. Ma Vittorio Pozzo scrisse sulla Gazzetta dello Sport : “Non sapeva, quella brava gente che ci fischiava, che noi facevamo dello sport e non della politica”. Consapevole o no, Pozzo mentiva. Non si può fare sport senza fare politica. Lo sport è la guerra con altri mezzi.
VITTORIO POZZO 1