Marco Demarco per il “Corriere della Sera”
de luca emiliano 19
Sud, la calda estate dei governatori Pd. È stato difficile, nella stagione che sta per finire, star dietro a Vincenzo De Luca e Michele Emiliano. Il primo, ad esempio, che ha sempre tuonato contro i Cinquestelle, a un certo punto se n'è uscito con il partito unico, tutti insieme, noi e i contiani, e non ne parliamo più.
La cosa è caduta lì, ma intanto ha stupito, e non poco. Emiliano, che invece è stato il primo a immaginare orizzonti giallorossi, è poi quello che ha oscurato la visuale flirtando con i candidati sindaci dell'ultradestra, tipo Pippi Mellone in corsa a Nardò. Ma non è finita qui, perché ora i due governatori convergono armati su Letta.
emiliano de luca
E cosa ci riserverà l'autunno lo sapremo solo vivendo. Prima dell'estate, era il Partito democratico che voleva «suonare» i presidenti di Regione controriformando l'intero titolo V della Costituzione. Oggi è invece è il partito ad essere preso d'assedio sul fronte meridionale. Allora, il nodo del contendere erano le competenze in materia sanitaria, nonché certi atteggiamenti presidenziali eccessivamente esuberanti, per così dire.
A parti rovesciate, la questione è ora quella della leadership al Nazareno. Ad attaccare sono i «gollisti» all'italiana, i governatori eletti e rieletti direttamente dal popolo, e magari anche «trieletti», visto che De Luca, contro tutti o quasi, punta esplicitamente a un terzo mandato, se non a un governatorato a vita.
enrico letta versiliana
Si può fare, si è già fatto, e io lo faccio, dice in sostanza. Pazienza se serve comunque una legge regionale, e lui incarna l'esecutivo, non il legislativo. A incassare sono invece i vertici nazionali del Pd, colpevoli, a giudizio dei governatori, di essere stati nominati senza un congresso e di aver lasciato lì dov' era, nonostante la crisi dei Cinquestelle, la percentuale dei consensi. De Luca attacca il partito dall'interno, mirando dalla Campania diritto alla linea politica e all'elitismo valoriale che la ispirerebbe; Emiliano dall'esterno, legittimando dalla Puglia quel Matteo Salvini a cui Letta ha appena detto «mai più» insieme al governo.
Enrico Letta
E per entrambi i toni contano almeno quanto i contenuti. Anche Nicola Zingaretti, dal Lazio, ha chiesto di non confondere «il riformismo con il fighettismo». Ma De Luca va oltre. Come l'ex segretario, avrebbe potuto chiedere più equilibrio nelle scelte e più iniziativa politica. E magari, avendo un ricco vocabolario a cui attingere, caricare a suo modo il colore della polemica. Invece, alla Festa dell'Unita di Bologna, intervistato da Lucia Annunziata, ha smontato compiaciuto, uno a uno, tutti i tasselli chiave della strategia lettiana.
michele emiliano by edoardo baraldi
Ha cominciato dall'identità politica costruita sugli ideali, e sui diritti dei gruppi discriminati, e non sui reali bisogni di massa («Il ddl Zan così com' è non va votato»). Ha criticato le politiche del lavoro («Ad avere ragione sulle delocalizzazioni non è il ministro Orlando, ma il presidente degli industriali»). Ha ironizzato su quelle per il welfare («Ebbene sì, vogliamo davvero dare 10 mila euro ai diciottenni»). Infine, ha colpito duro contro le Agorà democratiche, fiore all'occhiello del segretario («Non interessano ai lavoratori»).
Quindi cosa resta? Nulla. Infatti, per De Luca il Partito democratico è «il partito del nulla», a cui, quasi mosso a pietà, concede solo di essere il meno peggio sulla piazza. Per Emiliano, invece, se c'è un leader che come Draghi ha «una visione politica», questo è Salvini. Neanche a dire Giorgetti che invece piace tanto a Provenzano, il vice di Letta.
de luca MICHELE EMILIANO