Paola Piacenza per https://www.iodonna.it/
I bambini dormono ancora. «Più tardi avranno scuola online, per fortuna le lezioni sono in orari un po’ più comodi». Il mattino presto è il momento ideale per un’intervista telefonica con Giovanna Mezzogiorno. Il suo ultimo film, Tornare, diretto da Cristina Comencini, è in streaming da qualche giorno. «Un film forte, cupo, che torna sui temi cari a Cristina, la famiglia, la violenza…»
giovanna mezzogiorno
Una donna dal nome favolistico, Alice – rientrata a Napoli dopo anni di vita in America per il funerale del padre – reincontra se stessa bimba e adolescente. E dai capitoli archiviati e rimossi della vita passata emergono, attraverso il confronto con la ragazza scapestrata, sensuale e ribelle che era, brandelli di un trauma sepolto.
IL POTERE DELLA MEMORIA
Un film sul tempo e sul potere straordinario della memoria. Che avrà sollecitato ricordi anche in lei.
Lo fanno tutti i film, soprattutto quando sono intensi come questo. In Tornare io sono in scena sempre, non c’è mai stata pausa nella tensione emotiva sul set. E ci sono stati momenti molto intensi, anche duri. C’è una scena in cui io rivedo me stessa ragazza, bella e libera, a una festa. Sì, mi ha fatto ripensare a me stessa adolescente. Io ero una vera peste, tremenda, sempre arrabbiata, molto ribelle, ma non ribelle come Alice. Alice è un’adolescente indomabile, disubbidiente, ma gioiosa. Io no, ero arrabbiata coi miei genitori, e questo mi rendeva triste. Non ho avuto una bella adolescenza, Alice si divertiva, viveva la propria giovinezza felicemente. Mi ha fatto pensare a me, ma nella differenza.
Alice da adulta rivisita psicoanaliticamente il proprio vissuto e riconosce i “ruoli” che ognuno rivestiva in famiglia. Lei si guarda indietro? Reinterpreta?
giovanna mezzogiorno tornare
Mio padre è mancato che io non ero ancora un’adulta, avevo solo 17 anni. Tutto è cambiato nella mia famiglia in quel momento. Io ho dovuto rivestire il ruolo di madre di mia madre distrutta dal lutto, lo amava tantissimo… Mio padre era un padre severo, autoritario: anche se poteva fare il burlone, sapeva esattamente quello che voleva, anche da me. Mi obbligava, mi costringeva in tante cose… Era un padre anche difficile. Mia madre era semplicemente materna. Tutto sommato il nostro era un trio che funzionava, ma quando lui è uscito di scena, i ruoli di noi che restavamo si sono confusi e per mia madre è iniziata la discesa.
RIVEDERE SE STESSA
giovanna vittorio mezzogiorno
Tra gli obblighi che suo padre le proponeva, non c’è stato anche quello di seguire le sue orme, diventare attrice, studiare con Peter Brook, che era già stato suo maestro e per la cui regia lei poi esordì come Ofelia in Qui est là?
Mio padre non ha mai voluto intromettersi nel mio futuro. È stato solo quando è mancato che ho deciso di partire per Parigi dove mi sono diplomata all’Accademia di arte drammatica e poi ho fatto quello spettacolo per tre anni. È stato da quel momento, da quel primo spettacolo, da quella messa alla prova vissuta sulla mia pelle, che ho capito quanto quella “cosa”, recitare, che era stata la vita di mio padre, di mia madre, poteva essere anche mia. Solo a quel punto mi sono autorizzata.
E ora sono venticinque anni di carriera, tra cinema e teatro.
Non mi sono mai fermata, a parte la pausa per la maternità. È difficile tenere insieme tutto, ma è importante non mollare, non afflosciarsi su casa-figli-famiglia. Il lavoro è vitale, è carburante.
L’ANALISI DI UN TRAUMA
giovanna e vittorio mezzogiorno
Al cuore del film, come già nella Bestia nel cuore sempre diretto da Cristina Comencini, cui Tornare in qualche modo si lega, c’è un trauma. Il trauma non è più rappresentato nelle sceneggiature di quanto lo sia nelle nostre vite?
La famiglia è davvero un luogo traumatico, non è sicuramente un luogo pacificato, lì si svolgono vicende di grande intensità nel bene e nel male, ma temo più nel male… Io condivido questa lettura di Cristina. È stato bello e forte tornare a lavorare con lei. Sembra una donna dura, ma in realtà in lei c’è tanta tenerezza. È come un’adolescente, è piena di dolore, ma anche – o forse proprio per questo – di empatia.
«Una famiglia è un’accolita di persone di età e di sesso diversi tese ad occultare rigorosamente imbarazzanti segreti comuni» scriveva Christa Wolf in Trama d’infanzia.
Benché vi investiamo tante delle nostre energie, la famiglia è il teatro dove spesso tragicamente avvengono cose che ci segnano per il resto della vita. Lo vedo nelle cronache, lo registro nella grande letteratura, mi viene anche dall’esperienza personale… È oggettivamente un posto terribile, carico di drammi.
LA FAMIGLIA
Leone e Zeno, i suoi figli, sono ancora lontani dall’età difficile…
giovanna mezzogiorno stefano accorsi
Per carità, non portiamoci avanti, non sono ancora pronta, hanno solo otto anni (ride). Sono due gemelli bellissimi e già so che faranno strage di cuori. Io sarò disperata e chiuderò a chiave tutte le porte! Ma non corriamo, fino a qui tutto bene. O meglio… più o meno bene, perché il loro carattere sta uscendo prepotentemente, non sono più piccoli, non puoi metterli lì a giocare con due bastoncini. Soprattutto in questa fase così difficile, capita che in loro esca la rabbia, e allora cominci a intravedere anche quegli aspetti che saranno parte della loro vita da adulti.
E, allargando lo sguardo, è più portata ad accreditare la tesi secondo cui cambierà tutto o quella secondo cui torneremo alla vita di prima, dopo questa crisi?
Non tornerà tutto uguale a prima, ne sono abbastanza sicura. Per quanto riguarda il mio lavoro credo che molte saranno le cose che dovranno cambiare: il cinema, il teatro vivono di contatto, anche intenso, sono arti che non si possono praticare a distanza. E nemmeno si possono vivere a distanza… Non credo che gli spettatori – anche una volta finito il confinamento – vorranno tornare ad ammassarsi nei cinema. So che anche Daniele Luchetti, con cui ho lavorato in Lacci (film con Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Laura Morante, dal romanzo di Domenico Starnone, ndr) , sta pensando di distribuire il film in streaming…
saverio ferragina giovanna mezzogiorno camilla alibrandi foto di bacco
Se prova a fare lo stesso esercizio che Alice fa in Tornare, recuperare brandelli di memoria, quali momenti cardine nella sua vita, nel suo lavoro, riemergono con chiarezza?
Vincere di Marco Bellocchio è stato il mio podio (vi interpretava Ida Irene Dalser, Filippo Timi era Mussolini, ndr). Un film faticosissimo, Marco non è un regista facile, un giorno l’ho preso a botte, l’ho anche morso sulla spalla. Volevo che smettesse di tenere le distanze, di parlarmi attraverso gli assistenti. Gli stavo dando il sangue, dovevo trovare il modo di vincere la sua fiducia. Credo, alla fine, di esserci riuscita.
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