Elisabetta Andreis per “Sette”
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I segni di questa storia li porta marchiati sul volto ustionato. Gli impediscono ancora oggi, a distanza di cinque anni, di leggere, studiare, vedere in profondità. L’acido che la coppia del “piano diabolico” gli ha tirato addosso per un drammatico scambio di persona, nella notte tra l’1 e il 2 novembre 2014, gli ha letteralmente sciolto il viso, il naso, l’orecchio, rendendolo tra l’altro quasi cieco da un occhio.
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Per mesi Stefano Savi, studente che stava per laurearsi, non è riuscito a guardarsi allo specchio. Ma aveva vicino il fratello gemello Luca, cui è legatissimo, in qualche modo a “memento” di quello che fisicamente era stato e non era più. «È andata così, non posso tornare indietro. Per restituirmi il mio aspetto fisico lavorano i medici, ho fatto tantissimi progressi, ma è molto lunga. Io lavoro su me stesso, ho imparato a non avere fretta». Aveva 24 anni Stefano, quando è entrato senza saperlo nel delirio criminale di Martina Levato e Alexander Boettcher, che non aveva neanche mai conosciuto.
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Fu per caso. Somigliava in modo impressionante ad uno degli ex fidanzati che lei doveva «annullare per purificarsi ». Così di notte «un uomo mai visto, robusto, più basso di me, con il volto nascosto da un cappuccio e dalla sciarpa» gli ha scagliato addosso l’acido: sfregiato per una somiglianza fisica. Lui stava per scendere dall’auto ed entrare a casa, a Quarto Cagnino, quartiere periferico di Milano. Il padre Alberto lo ha sentito urlare che impazziva dal dolore: «Brucio, brucio!». L’inferno Una discesa agli inferi. «Nessuno immagina quanto siano atroci le sofferenze da ustione, con l’acido che continua a corrodere per settimane, senza poter fare niente per fermarlo», ancora rabbrividisce.
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Ma non è uno che indugia nel vittimismo, Stefano: anzi, è tutto il contrario. Indossa una maglietta grigia e i jeans strappati, parla seduto sul divano di casa, il cane Pepe acciambellato sulle gambe, e con tutto il suo metro e novanta di altezza sorride. Alto e bello come il sole, nonostante tutto, dritto e orgoglioso. Mostra sul braccio un tatuaggio fatto dopo l’agguato.
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«È un lupo pronto a combattere, e c’è la scritta Stay strong, sii forte, un po’ una raccomandazione a me stesso. Devo ripetermelo spesso anche ora». Ne scopre un altro, questo fatto prima dell’aggressione. È un’a un’aquila con il numero 13 e la scritta Lucky. «In fondo sono ancora fortunato - cerca di convincersi -. Se sono qui ....». Ci sa fare con le persone, Stefano. Abituato a stare sempre in mezzo alla gente, ad essere tra i più corteggiati della compagnia come il suo gemello.
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Ultimamente Martina Levato, in una intervista dal carcere (lei è stata condannata a più di 19 anni, Boettcher a 23), ha lanciato un appello perché le concedano di prendere contatto con il figlio concepito insieme al complice nel mezzo del loro piano criminale: il bimbo appena nato è stato dato in affidamento, e nulla saprà mai di questa storia. Martina, così come Alexander, sta facendo un percorso di rieducazione rieducazione da reclusa, tutti sperano ci riesca.
martina levato, alexander boettcher, syefano savi
Perché se riducendo per un attimo il mondo ad un codice semplice, binario, manicheo, possiamo anche definire che cosa è il bene e cosa è il male, mai potremo dire che un uomo o una donna sono definitivamente buoni o cattivi. «Tutti nella vita siamo di fronte alla necessità di trasformarci» ammette Stefano «Nella sua intervista però non una parola sulle vittime. Ho pena per loro ... Non li giudico, ma non li perdono neanche», aggiunge. Gli imputati li ha visti circa un anno dopo l’agguato, nel settembre 2015, quando – nonostante il volto che all’epoca era completamente sfigurato – decise di presentarsi in aula, al processo.
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Forse ci sarà un tempo anche per la riconciliazione. Per adesso l’estate è una stagione difficile. La luce, il sole, purtroppo sono diventati nemici da cui proteggersi. La rabbia Tutto il metro e novanta si rabbuia. «C’è stato il momento della rabbia per l’ingiustizia subita. Una incredibile sofferenza psicologica, oltre che fisica. Il terrore di uscire di casa da solo.
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Mi sentivo mostruoso. Pensavo che non avrei più potuto fare il mio lavoro, responsabile commerciale, a contatto con la gente. Non La sua forza sono la famiglia – due rocce, la mamma Patrizia e il papà Alberto, oltre al gemello – e gli amici, una in particolare che non lo ha lasciato un attimo, dopo quella sera, e lo accompagnano anche nella trafila medica che ancora deve sopportare. La lezione «Ho provato a cercare un senso in quello che è successo.
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Non l’ho ancora trovato. Però ho ricominciato a ridere, e quindi a vivere. La rabbia poco a poco è sfumata, da qualche tempo non ho più gli incubi ». Stefano accarezza il cane, parla quasi a se stesso: «Mi viene in mente Vasco Rossi: “Sai cosa penso/che se non ha un senso/ domani arriverà /Senti che bel vento / Non basta mai il tempo/ Domani un altro giorno arriverà”... ». E così chiude: «Se posso dare un messaggio ai ragazzi più giovani di me, ancora attaccati alla bellezza fisica come fosse il valore principale, vorrei dire loro che non vale la pena puntarci così tanto».
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Cosa ti ha salvato? «L’urgenza di ricominciare». so neanche se potrò più guidare un’auto». I miracoli della chirurgia ricostruttiva provano a restituirgli l’aspetto e ci riusciranno, ma a che prezzo? Cinquanta operazioni alla pelle (altre seguiranno), la maschera rigida cicatrizzante da tenere addosso, i flaconi di collirio che deve conservare in frigorifero, da prendere ogni due ore: «Fuori casa ho un’autonomia di 120 minuti, poi devo rientrare. Un giorno tutto questo finirà», sospira.
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stefano savi stefano savi stefano savi prima dell aggressione con l acido stefano savi STEFANO SAVI stefano savi sfigurato dalla coppia dell acido boettcher e levato 2 STEFANO SAVI stefano savi stefano savi