Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera”
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«Mi sembra un miracolo essere qui», dice Cate Blanchett. Sono le uniche parole che pronuncia in italiano. Arriva con quell' aria regale di donna imperturbabile, in una blusa a righe nere e avorio e trattenuta in vita da una ampia cintura, i capelli raccolti, la mascherina d' ordinanza.
Arriva regale, ma dentro ne intuisci le emozioni. E' lei la presidente di giuria alla Mostra di Venezia. Ha una sensualità autentica e controllata, e un portamento aristocratico. Non a caso al cinema è stata l' implacabile Elisabetta I e la regina degli elfi nella saga di Lo Hobbit .
Cosa significa essere a capo della giuria, in un anno così speciale?
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«E' un privilegio e un onore, Venezia offre sempre un programma sorprendente. Aspettavo questo momento con ansia. Sono pronta per la resilienza e per applaudire la capacità inventiva degli organizzatori».
Lei era ottimista?
«Ero in pieno accordo sul fatto che si dovesse ripartire, rispettando i protocolli sanitari. Abbiamo avuto tante discussioni su aspettative e desideri di industria e cineasti, non mi sembrava vero, negli ultimi sei mesi ho parlato soltanto con i miei maiali e le mie galline della nostra casa in campagna. Serviva un segnale di solidarietà per chi si occupa di film e non è riuscito a completarli a causa della pandemia».
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In famiglia cosa le hanno detto sulla sua presenza al Lido sotto Coronavirus?
Sorride: «Mio marito mi ha incoraggiata a venire, i miei figli un po' meno. Sono una mamma a tempo pieno, quando mi chiedono come faccio a cavarmela con quattro figli rispondo: ma perché agli uomini non fanno mai questa domanda?».
I suoi ricordi veneziani?
«Ci sono stata tante volte, sia come turista e amante dell' arte che alla Mostra. Il mio primo film girato fuori dalla mia Australia fu ospitato proprio al Lido: Elizabeth I , più di vent' anni fa. Ero una giovane attrice emergente, non avevo idea di cosa fosse un Festival, mi sussurravano all' orecchio: la gente applaudirà, o lascerà la sala in disaccordo, e non ne capivo bene il senso. Ricordo che me ne andai in gondola col terrore negli occhi. Poi ci fu il film Io non sono qui , dove interpreto Bob Dylan (per cui vinse la Coppa Volpi, ndr) ma non potei venire».
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Ha paura della pandemia?
«Abbiamo tutti paura ma dobbiamo essere coraggiosi, il rischio fa parte del nostro DNA, della condizione umana. La sfida non è solo per il cinema. Possiamo fare cose importanti, abbiamo questa possibilità di riesaminare le cose, bisogna ripartire da una nuova cultura, dall' accettazione dello streaming e dalla valorizzazione delle sale . L' industria cinematografica riemergerà più forte di prima».
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Da anni lei si batte contro il sessismo nel cinema.
«La verità è che io non mi sono mai definita un' attrice al femminile. Una buona performance è buona sia che la faccia un uomo sia che la faccia una donna. Non voglio dare dichiarazioni politiche».
Ma crescendo in una famiglia di donne...
«Ho associato la parola femminista a un concetto di eguaglianza. C' è ancora molto da fare, perché nell' arte non esiste l' equivalente al femminile della parola maestro?».
Che effetto le fa vedere qui sette direttori di festival che dialogano, collaborano dopo anni di rivalità?
«E' fantastico che dopo averli visti in concorrenza si siano accordati su temi importanti per elaborare progetti comuni. Sono stata anche presidente a Cannes. Ogni rassegna ha il suo tono, sono differenti facce della stessa pietra.E' un' edizione unica, Venezia sarà meno territoriale».
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L' Italia, all' inizio, è stato il paese, dopo la Cina, più colpito dal Coronavirus.
«Si parla solo di soldi, come se lo Zio Economia fosse la persona più importante della famiglia. Il mondo non ha messo a frutto la lezione che veniva dall' Italia, non ha insegnato nulla a paesi che hanno vissuto poco dopo lo stesso trauma».
E non le sembra strano?
«Eccome se è strano, ancora non capisco come ci si possa comportare in modo così frammentario e distruttivo».
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Al Lido sono i primi film che vede dopo il lockdown?
«No, la settimana scorsa ho visto Tenet di Christopher Nolan con la mia famiglia, un film evento gradevole; nell' isolamento ho seguito tanti film a casa. Preferisco tornare alla tradizione dello schermo, emozionandomi».
Lei ha vinto due premi Oscar: con The Aviator di Scorsese e con Blue Jasmine di Woody Allen .
«Ho amato quel film ma ho dovuto inventarmi una camminata chic che mi dava la nausea. Dei miei personaggi, come nella vita, mi piacciono i momenti di svolta».
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