Francesco Specchia per “Libero quotidiano”
enrico berlinguer
Ci sono amicizie infrangibili, più infrangibili delle ideologie. Prendete l'amicizia -intrecciata a un romantico senso del dovere - tra Alberto Menichelli, Lauro Righi, Dante Franceschini, Pietro Alessandrelli, Torquato «Otto» Grassi, Alberto Marani e Roberto Bertuzzi: ossia il drappello di uomini che, all'ombra dell'allora teatro maestoso di Botteghe oscure, simboleggiarono la parabola di una parte d'Italia, dopo essere stati assegnati alla protezione dello storico segretario del Pci. Sono, costoro, i protagonisti de La scorta di Enrico - Berlinguer e i suoi uomini: una storia di popolo (Solferino, pp.418, euro 22) il libro-omaggio che Luca Telese dà alle stampe alla vigilia dei cent' anni della nascita del segretario comunista.
Il nucleo del libro è Berlinguer, figura da sempre nel cuore Telese che ne sposò una figlia. E Telese, qui, affresca con passo di racconto per nulla agiografico, la vicenda stessa del Paese in cui si riflettono atti opere e omissioni della politica, del politico e della sua scorta, appunto.
luca telese laura berlinguer
IL GRUPPO VARIEGATO
«Era un gruppo fatto di uomini e di caratteri diversi», i migliori scelti dal partito, scrive Telese. «Franceschini il gigante buono, loquace. Lauro il taciturno con il cuore d'oro. Bertuzzi il ribelle orfano, che diventa il figlio adottivo del partito. Alessandrelli un militante umanissimo, capace di intuizioni sorprendenti.
Marani e Grassi, i due giovani operai che arrivano dal far west comunista modenese. In questo gruppo Alberto Menichelli, il romano di Roma, il figlio burbero dell'apparato che governa tutti con la sua ironia sottile, crea il gruppo e lo guida: è un primus inter pares, ma anche un osservatore attento e curioso di ogni dettaglio».
telese berlinguer cover
E di ognuno dei guardiaspalle viene svelata, dalla fine della guerra agli anni '80, la vita madida di sangue, sacrifici, sudore e polvere da sparo. Al capitolo su Lauro Righi detto "Fila" il racconto si snoda in terza persona: «Nell'estate del 1944, in un paesaggio che ormai è diventato un fronte di battaglia e di guerriglia contro l'esercito tedesco e i loro alleati della Rsi, Lauro compie - ad appena sedici anni - la sua «scelta di campo». Comincia con qualche missione come staffetta.
Poi va a piedi, camminando per oltre settanta chilometri, dalla sua casa fino alla mitica Repubblica partigiana di Montefiorino. Quando parte non sa esattamente dove andrà, e non sa nemmeno cosa troverà: ma sa a cosa si oppone, il fascismo. È la grande decisione della sua vita». Nella scheda compilata sudi lui dal partito si legge «Compagno retto e parsimonioso, che non si è mai trovato in difficoltà finanziarie pur inviando mensilmente una notevole parte del suo stipendio ai genitori, che versano in condizioni disagiate» (unico problema è la lingua: Righi parla soltanto il dialetto).
LE SCELTE E GLI ABBAGLI
enrico berlinguer fiat
Alla voce "Dante Franceschini" l'uomo che riuscì a toccare la gobba di Andreotti durante i pedinamenti, spicca un aneddoto raccontato in prima persona durante la naja: «Un giorno, a me e a un altro ragazzo del mio corso arrivarono due pacchi dal distretto militare. Il mio amico aprì quello con il suo nome e tirò fuori un cappotto di panno grigio. Io estrassi dal mio una giacca color cachi. L'istinto del senzavestiti cronico che ero fu quello di avvicinarla subito al corpo, per farmi un'idea della misura. Perfetta. Una volta tanto era la mia. Non feci in tempo a concedermi un sorriso che dalla sua branda un romano, uno dei veterani, mi gridò: "A Franceschì, manna un telegramma a casa, finché puoi, che mo so cazzi tua!". E io: "Perché?". E lui: "Si t' hanno mandato la sahariana vor di' che domattina te ne parti pe' l'Africa"».
Su Piero Alessandrelli, si ricostruisce il valore dell'antifascismo: «Il padre di mia moglie era un operaio specializzato anche lui, lavorava in una segheria di marmo. Si chiamava Abele, ma tutti lo conoscevano come Pioppo, perché era molto alto. Era anche lui un antifascista, e quando andavamo a trovarlo ad Alviano mi faceva trovare dentro casa una copia dell'Unità.
enrico berlinguer fiat
Per dare un'idea di quanto l'antifascismo fosse un sentimento radicato, dato che il padre della moglie di uno dei suoi figli era stato in una squadraccia (e aveva un'amante), lui gli aveva detto davanti a tutta la famiglia: "Io non ho mai dato l'olio di ricino ai paesani e non ho mai tradito mia moglie e tu, in casa mia, non ci potrai entrare mai"».
Nello scorrere delle pagine, le vite della scorta si sovrappongono ai mille abbagli e alle mille scelte della storia d'Italia. Alcune indelebili. La volontà di Enrico di mettersi sotto il cappello della Nato (decisione che oggi appare oracolare) e di non schierarsi a favore dell'invasione d'Ungheria; il fallito Golpe Borghese e piazza Fontana; il terrorismo e il rapimento Moro; e prima l'attentato a Togliatti. Eppoi, il clima rovente del '68.
E quello del '77, in pieno brigatismo. Eppoi, la marcia dei quarantamila della Fiat. A proposito della marcia. Interessante è la rilettura, attraverso la testimonianza di "Otto" Grassi, del "Discorso dei cancelli" di Mirafiori fatto da Berlinguer nell'80, dopo 35 giorni di sciopero che portarono all'autunno caldo finito con la Cig per 24mila dipendenti, e con la marcia dei 40mila quadri Fiat. Quella, allora, venne considerata una sconfitta del Pci.
BIANCA BERLINGUER CON IL PADRE ENRICO
DISCORSO AI CANCELLI
Scrive, invece, con onestà, Telese: «Ecco perché anche il discorso ai cancelli non va giudicato con il metro degli anni Ottanta. Ma con quello degli anni Duemila. Con gli occhi di oggi, non con quelli di ieri: va pesato nel tempo in cui gli operai hanno abbandonato la sinistra, avvertendola come un corpo estraneo, e votano a maggioranza per la Lega, per il M5S, e adesso persino per il partito di Giorgia Meloni. Chiedo a Otto cosa avrebbe voluto dire a Enrico, quando in auto era rimasto in silenzio: "Che mi ero emozionato a vedere, lì ad ascoltarlo, gli operai dell'Emilia-Romagna, i miei compagni di Modena. Che aveva fatto una cosa giusta". In fondo la lezione dei cancelli, quarant' anni dopo, è semplice: un leader deve stare con il suo popolo. E ci sono momenti in cui ci deve restare anche quando non c'è la certezza di vincere».
enrico berlinguer bettino craxi
Nella sottovalutazione - direi giusta - di Togliatti, Telese, per rendere fiammeggiante Berlinguer, evoca il Gramsci «tentato dall'interventismo nel 1914, insofferente all'immobilismo dei socialisti riformisti negli anni Venti, appassionato nel suo più celebre e romantico grido di battaglia, quello consegnato a un immortale editoriale della Città futura del febbraio 1917: "Odio gli indifferenti"». Ecco, a Luca l'operazione fiammeggiante è riuscita. Perché, comunque la si possa pensare, se c'è uno a cui questo paese - e questa sinistra- non potrà mai rimanere indifferente, be', quello è proprio Enrico Berlinguer.
PALMIRO TOGLIATTI ENRICO BERLINGUER ENRICO BERLINGUER GIULIO ANDREOTTI bettino craxi enrico berlinguer giorgio napolitano ed enrico berlinguer ENRICO BERLINGUER ALDO MORO enrico berlinguer in barca con la figlia ENRICO BERLINGUER ALDO MORO 1 BETTINO CRAXI ENRICO BERLINGUER enrico berlinguer Eugenio Scalfari ENRICO BERLINGUER renato guttuso accoglie, alla sua mostra al coni, enrico berlinguer accompagnato dalla moglie letizia la famiglia di enrico berlinguer enrico e letizia berlinguer ENRICO BERLINGUER COLTO DA MALORE jpeg foto di Enrico Berlinguer ENRICO BERLINGUER TRA LA FOLLA foto di Enrico Berlinguer bianca berlinguer