Mattia Marzi per "il Messaggero"
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Nell'ora più buia per la musica dal vivo, con la pandemia che da due anni continua a rendere proibiti i grandi raduni, se ne va Michael Lang. Se il nome non vi dice niente, basti dire che scrisse una delle pagine più importanti della storia del rock and roll organizzando il Festival di Woodstock del 1969.
Lang, 77 anni, si è spento sabato all'ospedale Sloan Kettering di New York, a causa di un linfoma non Hodgkin: «La vita è fatta di esperienze e non tutte vanno come previsto. Ma se non ci provi, non otterrai mai niente», diceva, parlando del suo successo.
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IL FLOP
Aveva appena 24 anni quando nell'estate del 69 mise su il cartellone della tre giorni di musica e pace, così come venne presentato il Festival di Woodstock, ospitato dal 15 al 18 agosto dalla cittadina di Bethel, a New York. Ne facevano parte Jimi Hendrix (che sul palco stravolse con la sua chitarra l'inno americano per protestare contro la guerra in Vietnam), Santana, The Who, Janis Joplin, Grateful Dead, tra gli eroi dei figli dei fiori e della controcultura.
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Nonostante l'assenza di pesi massimi come i Beatles (Lang non invitò la Plastic Ono Band, il gruppo di Yoko Ono, mandando su tutte le furie John Lennon), i Rolling Stones (Jagger era sul set del film I fratelli Kelly) e Bob Dylan (non provava simpatia per gli hippie), l'evento radunò 400 mila persone: «Ricordo tutto. Il fango, i poliziotti che mangiavano hot dog, la gente che girava nuda. Era in corso una tempesta perfetta: Woodstock era l'occhio del ciclone», avrebbe ricordato Joan Baez.
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E David Crosby: «Pensavamo di essere degli sfigati. Poi quando ci ritrovammo tutti lì ci guardammo e capimmo che non eravamo soli». Pochi sanno che in realtà l'evento fu un flop economico che rischiò di ridurre sul lastrico gli organizzatori. A farlo entrare nell'immaginario collettivo e nella storia fu un documentario di Michael Wadleigh, Thelma Schoonmaker e Martin Scorsese, che nel 71 si aggiudicò un Oscar.
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«Mi ispirai a una serie di concerti ai quali avevo assistito nel 68 proprio a Woodstock, in mezzo alle mucche. Le persone sistemavano le tende e la sera assistevano agli spettacoli: era il paradiso», raccontò Michael Lang, che prima di quella tre giorni gestiva un head shop un negozio specializzato nella vendita di droghe leggere a Coconut Grove, in Florida, dove già nel 68 aveva organizzato il Miami Pop Festival, e dopo continuò a lavorare nel settore musicale come impresario.
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Altra curiosità: Woodstock si svolse nel bel mezzo di una pandemia, l'influenza di Hong Kong, diffusasi a partire dal 68, che uccise un milione di persone in tutto il mondo, di cui 100 mila negli Usa (l'evento venne organizzato dopo la prima ondata, prima che i contagi risalissero). Lo stesso Lang raccontò che alcuni medici arrivarono a Bethel per monitorare la situazione: uno di questi portò con sé la figlia, che mollò il padre per mischiarsi ai 400 mila, e quello passò l'intera giornata a cercarla.
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LO SPIRITO
In Italia lo spirito di Woodstock arrivò due anni più tardi, nel 71, con il Festival del Proletariato Giovanile organizzato dalla rivista Re Nudo. Fece storia l'edizione del 76, ospitata dal Parco Lambro a Milano, alla quale parteciparono Finardi, gli Area e Alberto Camerini: finì in disastro, tra scontri e un acquazzone che trasformò il terreno in pantano di fango.
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Mentre continuano a slittare eventi e festival (negli Usa sono stati rimandati i Grammy, il destino di Sanremo è incerto e gli artisti, da LP a Elisa, che il 6 avrebbe dovuto esibirsi nella sua Monfalcone, posticipano i concerti), nell'era dei raduni digitali viene spontaneo domandarsi se una nuova Woodstock tornerà prima o poi ad essere possibile. Oggi intanto trionfa il pessimismo. E lo streaming.
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