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    IL NECROLOGIO DEI GIUSTI – MICHEL PICCOLI, CHE ABBIAMO PERSO OGGI A 94 ANNI, NON HA MAI PERSO LA SUA IDENTITÀ, CREDO CONQUISTATA SUL SET DE “IL DISPREZZO” DI GODARD, E POI RICONFERMATA DA QUALCOSA COME 200 FILM – IL CINEMA FRANCESE, CHISSÀ PERCHÉ, NON LO HA MAI CELEBRATO DAVVERO. NON PARTICOLARMENTE ADATTO ALLE PRODUZIONI ANGLOFONE, EBBE DA SUBITO INVECE UN GRANDE LEGAME CON L’ITALIA, ANCHE PERCHÉ FIGLIO DI UN ITALIANO  – VIDEO


     
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    Michel Piccoli rip

    Marco Giusti per Dagospia

     

    brigitte bardot e michel piccoli il disprezzo di godard 1 brigitte bardot e michel piccoli il disprezzo di godard 1 michel piccoli dillinger e' morto 1 michel piccoli dillinger e' morto 1

    Non ricordo, davvero, un film con Michel Piccoli giovane. Neppure nel curioso peplum che venne a girare in Italia, “Le vergini di Roma” di Vittorio Cottafavi, inseguendo, lo diceva lui, una sua giovane fiamma (che fosse Nicole Courcel? chissà? era abbotonatissimo). Allora non era nessuno, anche se aveva girato già una quindicina di film, perfino uno da protagonista, “Le schiave bianche” con Françoise Arnoul. Eppure solo due anni dopo, grazie a Jean-Luc Godard, che lo riportò a Roma ne “Il disprezzo”, per fare il giovane sceneggiatore in crisi Paul Javal che si vede soffiare l’anima e la bellissima moglie Camille, Brigitte Bardot, dal produttore americano Jeremy Prokosch, cioè Jack Palance, che vuole girare un nuovo peplum con Fritz Lang regista, è già Piccoli.

     

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    In grado di muoversi con la propria identità tra star come Lang-Godard-Bardot-Palance. E così sarà per sempre. Brizzolato, o con radi capelli bianchi, col cappello anche quando si fa il bagno. Mai giovane. A fianco delle più belle attrici del tempo, Romy Schneider, Jeanne Moreau, Jane Fonda, Catherine Deneuve, Lea Massari, Claudia Cardinale. Di amici attori meravigliosi come Marcello Mastroianni, Serge Reggiani, Yves Montand, Ugo Tognazzi, Gerard Depardieu. O di registi incredibili come Marco Ferreri, Luis Bunuel, Claude Sautet, Claude Chabrol, Marco Bellocchio, Agnes Varda, Alain Resnais, Yussef Chahine, Léos Carax.

    michel piccoli la grande abbuffata michel piccoli la grande abbuffata

     

    Piccoli, che abbiamo perso oggi a 94 anni, è sempre stato Piccoli, da allora in avanti. Non ha mai perso la sua identità, credo conquistata su quel set di Godard e poi riconfermata da qualcosa come 200 film in una carriera che parte con “French Cancan” di Jean Renoir e finisce, diciamo, col papa che non sa più cosa fare nel profetico “Habemus Papam” di Nanni Moretti. Ma in mezzo c’è un rapporto stretto, di amicizia e di grande professionalità, con tutti i grandi registi, attori, attrici, sceneggiatori del cinema francese e italiano.

     

    michel piccoli michel piccoli

    Grandi amori, una grande attrazione per le donne, tre mogli, Eleonore Hirt, Juliette Greco, Ludivine Clerc. Quando lo intervistai, una quindicina d’anni fa, doveva inaugurare la sala cinematografica a lui dedicata a Villa Medici a Roma, gli mancava già così tanto il grande cinema che aveva vissuto. Soprattutto quello italiano, gli amici storici Ferreri-Mastroianni-Tognazzi, scomparsi così presto. Piccoli ha girato in italia alcuni dei suoi film più belli, penso a “Dillinger è morto”, alla follia di “La grande abbuffata” e di “Non toccate la donna bainca”, tutti di Ferreri, ma anche a “Salto nel vuoto” di Marco Bellocchio, col quale vinse il suo unico premio a Cannes come protagonista maschile nel 1980.

     

    michel piccoli dillinger e' morto michel piccoli dillinger e' morto

    Il cinema francese, chissà perché, non lo ha mai celebrato davvero. Non ha mai vinto un Cèsar, ad esempio, anche se è stato nominato quattro volte, per “Une étrange affair” di Pierre Granier-Deferre, “La diagonale de feu” di richard dembo, “Milou en mai” di Louis Malle e “La belle noiseuse” di Jacques Rivette. Ma ha vinto un Orso d’Argento a Berlino, con “Un étrange affair”, e un David in Italia, con “Habemus Papam”.

     

    michel piccoli la grande abbuffata michel piccoli la grande abbuffata

    Quando era giovane, non era bello come Belmondo, Montand, Delon, Sorel. E quindi non aveva grandi ruoli. “Il disprezzo” lo riposiziona e gli lancia una carriera di film favolosi, ma le parti non sono mai di primissimo piano. Anche se Luis Bunuel lo vuole in tutti o quasi i suoi ultimi film, “Diario una cameriera”, “Bella di giorno”, “La via lattea”, “Il fascino discreto della borghesia”. E lo chiamano davvero tutti, da Jean Aurel, “La calda pelle”, a Alain Resnais, “La guerra è finita”. Nei triangoli amorosi, allora andavano forte, non è mai il bello, anche se sta benissimo a fianco di qualsiasi attrici. Di solito è il marito, come in “La calda pelle” di Roger Vadim con Jane Fonda e Peter McEnery, che ebbe un grande successo, mentre ai belli e dannati, penso a Pierre Clementi sia in “Bella di giorno” che in “Benjamin” di Michel Deville, andavano i ruoli più forti.

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    Ma il legame d’amicizia con Romy Schneider, nato sul primo dei loro tanti film, “La voleuse” di Jean Chapot, e proseguito poi con un film di culto per i francesi, “L’amante/Les choses de la vie” di Claude Sautet, e proseguito poi “Il commissario Pelissier” e “Mado” sempre di Sautet, “Trio infernale” di Francis Girod, lo aprì a ruoli più popolari. Lo troviamo così in grandi produzioni, da “Parigi brucia?” di René Clement a “Topaz” di Alfred Hitchcock, da “Dieci incredibili giorni” e “L’amico di famiglia” di Claude Chabrol a “La femme en bleu” di Michel Deville con Lea Massari. Non particolarmente adatto alle produzioni anglofone, ebbe da subito invece un grande legame con l’Italia, anche perché figlio di un italiano.

     

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    Lo troviamo così sul set di “Diabolik” con la regia di Mario Bava nel ruolo dell’ispettore Ginko, sia nella primissima versione con Jean Sorel e Catherine Deneuve coppia protagonista e poi in quella definitiva con John Philip Law e Marisa Mell. Ironia della sorte, ritroviamo i tre attori francesi, Sorel-Deneuve-Piccoli poco dopo sul set di “Bella di giorno” di Bunuel. Anche con la Deneuve girò parecchi film, anche di autori improtanti, come “Le creature” di Agnes Varda, “La chamade” di Alain Cavalier.

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    Dopo aver incontrato Ferreri come protagonista di un film scandaloso come “Dillinger è morto”, dove divide la scena con Anita Pallemberg e Annie Girardot, nel 1969, lavorò con altri registi italiani, penso a Vittorio De Seta nel raro e sottile “L’invitata” con la canadese Joanna Shimkus, o su altri set romani, come quello dello scombinato “L’invasione” di Yves Allegret a fianco di Lisa Gastoni. Ma certo Ferreri e il ruolo da protagonista di “Dillinger è morto” ne fecero un attore di culto pronto ai progetti più strani e sperimentali, come “Themroc” di Claude Faraldo, o “Life Size” di Luis Garcia Berlanga, dove si innamora di una bambola gonfiabile. Mentre il cinema francese lo spingeva verso prodotti di successo un po’ facili, “Darsela a gambe” di Philippe De Broca o il quasi Amici miei di “Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre” di Sautet con Montand, Reggiani e Depardieu, il cinema italiano lo cerca per ruoli complessi in film importanti.

     

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    Come furono appunto lo scandaloso “La grande abbuffata”, lo strampalato “Todo modo” di Elio Petri, dove interpreta l’ominomo ministro democristiano Piccoli, o “Salto nel buio” di bellocchio, che lo porterà al giusto premio di Cannes nel 1980, seguito da “Gli occhi, la bocca”, presentato a Venezia. Per amicizia di Marcello Mastroianni lo troviamo anche nel divertente “Giallo napoletano” di Sergio Corbucci e nel più serio “Il generale dell’armata morta” di Luciano Tovoli.

     

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    Nel 1981 “Une étrange affair” di Pierre Granier-Deferre lo porta a vincere il premio come protagonista al Festival di Berlino, mentre recita per l’ultima volta con Romy Schneider in “La signora è di passaggio” di Jacques Rouffio e gira con Lino Ventura un bel noir, “Alzati, spia” di Yves Boisset. Torna da Godard in “Passion” nel 1982, mentre è richiesto da registi più giovani, Léos Carax in “Rosso sangue”, Jacques Doillon in “La puritana”, trattato ormai da monumento nazionale. Generoso, disponibile, aperto a qualsiasi innovazione intelligente, gira molti film sia negli anni ’90 che nel decennio successivo.

     

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     Personalmente mi ricordo il caloroso saluto del pubblico e la sua commozione in sala a Cannes alla fine del lunghissimo “La belle noiseuse” di Jacques Rivette dove, da pittore, divide la scena con la giovanissima Emmanuelle Béart, modella sempre nuda sulla scena. Una sorta di tour de force magari eccessivo, ma che grazie all’umanità di Piccoli diventa davvero qualcosa di emozionante. La stessa cosa si può dire del suo papa in terapia, con un passato di attore di teatro, quindi molto autobiografico, in “Habemus Papam”, forse il suo ultimo grande ruolo da protagonista, anche se mi piace ricordarlo anche in “Holy Motors” di Carax e in “Linhas de Wellington” di Valeria Sarmiento. Da anni si era perso come il suo papa, sempre più confuso…

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