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    “TRATTARE LE MESTRUAZIONI COME UN PROBLEMA RISCHIA DI TRASFORMARSI IN UN BOOMERANG” – MICHELA MARZANO TIRA LE ORECCHIE AL PRESIDE DEL LICEO DI RAVENNA CHE HA ISTITUITO IL CONGEDO MESTRUALE PER LE ALUNNE: “LE MESTRUAZIONI NON SONO UNA MALATTIA. SONO SOLO UNA DELLE TANTE CARATTERISTICHE FEMMINILI PER LE QUALI BISOGNEREBBE EVITARE DI ESSERE DISCRIMINATE O TRATTATE IN MANIERA DIVERSA RISPETTO AI MASCHI…”


     
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    1. MA RITENERE IL CICLO UN PROBLEMA PUÒ ESSERE UN BOOMERANG

    Michela Marzano per “La Stampa”

     

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    Ci sta che, per alcune ragazze e alcune donne, il ciclo mestruale sia particolarmente doloroso, e impedisca quindi di andare a scuola o di lavorare serenamente. Ci sta pure, purtroppo, che siano ancora tante coloro che, sebbene affette da endometriosi, non lo sappiano, e la cui dismenorrea sia (ingiustamente) presa sottogamba.

     

    Nella stragrande maggioranza dei casi, però, le mestruazioni non sono affatto una malattia; sono solo una delle tante (e non necessariamente una delle principali) caratteristiche femminili per le quali bisognerebbe evitare di essere discriminate o trattate in maniera diversa rispetto ai propri coetanei maschi. È per questo che, forse, sono rimasta leggermente perplessa quando ho saputo che Gianluca Dradi, il dirigente del liceo artistico "Nervi Severini" di Ravenna, ha deciso di istituire un congedo mestruale per le studentesse del proprio istituto. Faccio d'altronde fatica a immaginare che ci sia bisogno di prevedere un congedo specifico, ogni mese, per le ragazze indisposte, a meno che non esistano (e talvolta esistono!) motivi medici particolari.

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    Anche se la decisione di Gianluca Dradi è stata senz' altro presa con le migliori intenzioni. Anzi, le migliori intenzioni ci sono tutte, visto che il dirigente, spiegando il motivo della propria scelta, ha detto che è nata ascoltando le rappresentanti di istituto: «Attraverso questa norma, comunichiamo alle studentesse e agli studenti che la scuola riconosce i loro problemi e i loro bisogni e che intende, nei limiti del possibile, affrontarli per creare un clima accogliente e inclusivo».

     

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    Parole belle, quelle del preside, soprattutto in un'epoca in cui la nozione di inclusione scolastica sembra essere passata di moda, soppiantata dal ben più anacronistico concetto di merito. Parole belle, dicevo. E che, però, continuano a non convincermi del tutto. Anche semplicemente perché, noi donne, ci abbiamo messo secoli a uscire dalla patologizzazione della nostra fecondità.

     

    Quand'ero adolescente, c'erano ancora tante ragazze che, d'estate, quando avevano le mestruazioni non andavano al mare, oppure ci andavano ma non si mettevano in costume, oppure si mettevano in costume, ma era fuori discussione che facessero il bagno. E io, ancora oggi, sono riconoscente a mia madre che, nonostante la stretta educazione (tipicamente meridionale) che aveva ricevuto, non mi ha mai impedito di fare tutto quello che volevo, nonostante il ciclo.

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    Che pure, almeno nel mio caso, non era affatto indolore. Ma come tanti altri dolori, poteva facilmente essere superato con una banalissima compressa di paracetamolo. Attenzione. Non sto dicendo che il dolore sia banale, né pretendo di aver ragione su questa storia del congedo mestruale. Sto solo dicendo che trattare le mestruazioni come un problema rischia di trasformarsi in un boomerang.

     

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    E che sarebbe molto triste, dopo tutte le battaglie che hanno fatto le donne per fare a pezzi gli stereotipi sessisti, tornare indietro nel tempo, quando, in ragione dei flussi mensili, si pensava che la femmina fosse impura, e si dovesse evitare persino di toccarla. So bene che, in Spagna, è stata da poco approvata una legge che istituisce, per le donne che hanno mestruazioni dolorose, un concedo di tre giorni e che, pure nel nostro Paese, sono state depositate proposte di legge (spesso firmate da parlamentari del Pd) che vanno nella stessa direzione. Forse è anche per questo che il sindaco Pd di Ravenna, Michele De Pascale, ha commentato la notizia parlando di «scelta di grande civiltà». Cosa che a me fa sorridere, sia perché non credo ci sia bisogno, ogniqualvolta si è d'accordo con una decisione, di scomodare la «civiltà», sia perché De Pascale è un uomo, e che ne sa, quindi, del ciclo, dei dolori mestruali, e di tutto ciò che le donne non hanno potuto fare (e in certi Paesi continuano a non avere il diritto di fare) quando hanno le mestruazioni? Lo sa che c'è ancora chi pensa che sia meglio evitare qualsiasi contatto con una donna col ciclo per evitare di corrompersi?

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    2. LA VITTORIA DELLE RAGAZZE

    Filippo Fiorini per “La Stampa”

     

    Il segreto sta tutto in una certa idea di scuola e nel valore che si dà alla democrazia. «Non solo preparare al mondo del lavoro, ma insegnare a vivere, essere cittadini, partecipare e trasformare la società, quando in essa c'è qualcosa che non va, perché le regole esistono e lo permettono».

     

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    È così che Gianluca Darbi, un avvocato penalista di Ravenna che dieci anni fa ha risolto la propria crisi di mezza età abbandonando la professione del foro («poiché troppo solitaria») e ha partecipato a un concorso per dirigenti scolastici, è diventato oggi, insieme ai suoi alunni, il preside dell'istituto superiore più progressista d'Italia. Nello specifico, si tratta di un liceo artistico e si chiama Nervi-Severini.

     

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    È la scuola che per prima nel nostro Paese ha introdotto la possibilità per gli studenti di identificarsi con un nome e un genere sessuale diverso da quello di nascita. Sulle pareti esterne dell'edificio è stata mantenuta per mesi una scritta omofoba (incidentalmente contro lo stesso preside), come promemoria contro l'ignoranza alla base di questi atteggiamenti e, quando a gennaio riprenderanno le lezioni, qui prima che in qualsiasi altra scuola nazionale sarà permesso alle studentesse di stare a casa, nel caso abbiano dolori mestruali troppo forti.

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    «La proposta è arrivata in consiglio scolastico da quattro ragazze, rappresentanti di un istituto in cui le femmine sono il 70%», spiega Darbi, che scansa l'etichetta di preside del liceo più progressista («Non sta a me dirlo», dice), ma accetta quella di «scuola particolarmente attenta ai diritti».

     

    Quando la relazione è arrivata sul suo tavolo, gli è sembrata subito ben argomentata: «Le rappresentanti avevano raccolto le testimonianze di 16 compagne particolarmente afflitte in quei giorni, nonché portato l'esempio spagnolo, dove per legge le donne posso stare a casa dal lavoro, se i dolori sono insostenibili».

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    Così, c'è stato solo da trovare il modo. «In Italia è stata presentata una proposta in parlamento, ma non è mai stata approvata». Tuttavia, le regole per gli istituti scolastici ci davano margine per intervenire: di norma, le assenze non possono superare il quarto del monte ore totale, perché l'alunno possa essere promosso, ma sono previste anche delle deroghe per casi speciali e questi lo sono assolutamente».

     

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    All'atto pratico, le alunne che soffrono di dismenorrea (forti dolori mestruali), possono restare assenti due giorni al mese nel corso dell'anno, presentando una giustificazione firmata e un unico certificato medico generale. Se poi dichiarare questo malessere sul libretto delle assenze dovesse creare loro qualche imbarazzo, il preside chiarisce che «non sono obbligate a farlo».

    A livello statistico, questo disturbo colpisce l'80% delle donne, manifestandosi in modo grave per il 10-15% di loro. Tuttavia, è particolarmente diffuso tra le adolescenti, dove crampi, coliche, nausea, vertigini, sudorazione ed altri sintomi intensi arrivano a toccare il 70% del campione in questa fascia d'età.

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    Uno studio pubblicato dal British Medical Journal tre anni fa, riportava che su ventimila ragazze intervistate, il 20% aveva saltato giorni di scuola durante le mestruazioni e il 41% dichiarava fatica a restare concentrata. È ancora presto per raccogliere le reazioni di alunni, genitori e pubblica opinione su questo provvedimento.

     

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    La sua firma è recente e le vacanze sono in corso. Però si può parlare di quelli che sono stati presi da questo preside e in questa scuola negli anni scorsi: la cosiddetta carriera alias, cioè la libera scelta di nome e genere d'identificazione, ha subito un'interrogazione consiliare in Comune a Ravenna, che non è mai andata in porto. Sei degli 850 studenti circa che frequentano il Nervi-Severini, invece, hanno deciso di usufruirne. D'altra parte, per quanto riguarda la scritta «il preside è gay», dopo il suo anno da monito sul muro, è stata sostituita dal graffiti di una matita coi colori dell'arcobaleno a opera di uno street artist locale. Da allora, non ne sono più apparse di analoghe.

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