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    1. MILAN, ROMA, INTER: SCENE DA FINE IMPERO. ULTRÀ IN SUBBUGLIO E ALLENATORI IN CRISI 2. STASERA INZAGHI RISCHIA L’ESONERO, DOMANI MANCINI NON PUÒ SBAGLIARE CON LA SAMP DI MIHAJLOVIC ED ETO’O. A ROMA, RUDI GARCIA ORDINA IL RITIRO ANTICIPATO PRIMA DI CESENA


     
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    MILAN, ROMA, INTER: SCENE DA FINE IMPERO

    Da Repubblica

     

    Pippo e i suoi nuovi capelli bianchi, eredità di una stagione da incubo, rischiano anche stasera l’esonero, e ormai è da parecchie settimane che va così. Il Mancio non rischia nulla ma sgrida i suoi giocatori alla Pinetina, all’indomani dell’uscita dalle coppe, perché d’ora in poi non si deve, non si può più sbagliare, ma già domani li aspetta a Marassi la Samp di Mihajlovic ed Eto’o, antichi testimoni di un passato che si ostina a non tornare.

     

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    A Roma, Rudi ordina il ritiro anticipato prima di Cesena, almeno rinfrancato dall’appoggio dei tifosi, che ce l’hanno solo con la squadra. Inzaghi, Mancini e Garcia sono seduti, barcollanti e infelici, sulle più insigni panchine della delusione, lambiscono il fallimento, Milano e Roma non sono certo ai loro piedi, anzi.

     

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    Gli ultrà sono in subbuglio, nelle varie forme in cui si declina la contestazione tifosa. A Roma giovedì notte erano a cavalcioni sulle balaustre dell’Olimpico, a imporre ai giocatori le forche caudine della sfilata a capo chino sotto la curva («Mercenario, levati la maglia»), infatti il giorno dopo, appagati, non hanno più contestato.

     

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    Quelli del Milan scrivono pensosi comunicati per annunciare che diserteranno la curva e per chiedere a Berlusconi di tirare fuori il grano. All’Inter hanno fischiato e insultato la squadra giovedì notte, ma senza esagerare, al punto che Mancini gli ha dato pure ragione: «Hanno fatto bene, ce lo meritiamo. Ora dobbiamo guadagnarci tutti la conferma per il prossimo anno». Scene da fine impero.

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    Quello milanese, travolto e costretto nell’angolo dalla stanchezza di Berlusconi e Moratti, ora in cerca di improbabili alchimie tecniche e finanziarie per risorgere, infatti entrambi i club sembrano pattinare nelle sabbie mobili: si muovono, si scompongono, sbagliano scelte e affondano ancora.

     

    E quello romano, travolto invece dagli eccessi di entusiasmo dopo l’ottima stagione di un anno fa: poi sono arrivati il Bayern e tante, troppe beghe interne, così nulla è stato più uguale a prima. Milano piange e Roma, almeno quella giallorossa, non ride affatto. Il problema è che risalire, da quaggiù, sembra un’impresa impossibile. ( a. s.)

     

    2. GLI ANNI DI TOTTI E UN MERCATO SBAGLIATO HANNO DATO IL VIA ALL’ECLISSI GIALLOROSSA

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    Luca Valdiserri per Corriere della Sera

     

    Da Cesena a Cesena si consuma l’eclissi della Roma americana che voleva cambiare il calcio con nuove idee. Il 13 maggio 2012, dopo aver lasciato sul tavolo un intero anno di contratto, perché stiamo parlando di un uomo dai profondissimi valori morali, Luis Enrique salutò con una vittoria per 3-2.

     

    Era la Roma dell’utopia baldiniana, quella dove se Osvaldo dava uno sganassone a Lamela non si lavavano i panni sporchi in casa e se De Rossi arrivava alla riunione tecnica in leggero ritardo non giocava. Era una Roma giovanissima e futuribile, che non resse alla pressione e all’inesperienza.

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    Nel dopo gara, quel 13 maggio, il d.s. Walter Sabatini confermò che la Roma si stava muovendo per riportare Vincenzo Montella sulla panchina. Montella, che aveva sostituito alla grande Claudio Ranieri (un altro che aveva preferito le dimissioni al supplizio), non era stato confermato dalla nuova dirigenza che voleva «dare un taglio con il passato».

     

    Chissà come sarebbe andata se, anziché non trovare l’accordo, l’attuale allenatore della Fiorentina fosse tornato a casa. Al suo posto arrivò Zeman e furono gli ultimi fuochi per i giovani giallorossi. Almeno in campo e non in panchina o in tribuna.

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    I tifosi romanisti, dopo il tracollo contro la Fiorentina in Europa League, si interrogano più sul futuro che sul presente. L’anno prossimo Totti avrà 39 anni e il suo rendimento è in fisiologico calo. De Sanctis ne ha 37 e un gomito operato l’estate scorsa.

     

    Keita (distorsione al ginocchio contro la Fiorentina) ne ha 35. Maicon 33 e un ginocchio che non guarisce. Cole, a 34 anni, è stato un flop. Su Strootman e Castan non c’è certezza dei tempi e della completezza del recupero. Doumbia è il mistero del mercato invernale. Iturbe ha segnato un solo gol in campionato in cambio di 23,6 milioni più commissioni al Verona e al procuratore.

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    Se non arriveranno i milioni certi della Champions League, cioè il secondo posto, si rischiano cessioni pesanti: i giocatori con più mercato sono Pjanic e Ljajic, cioè i giovani. Può essere una politica di crescita vendere loro e tenere chi ha fallito in stagione?
    La città ha iniziato il gioco della torre: tenere Sabatini o Garcia, visto che le loro visioni non coincidono? O nessuno dei due? È già partito un «toto-ministri» un po’ assurdo, con Branca e Unai Emery come nomi per scrivania e panchina.


    E cosa fare dei giocatori «mercenari», che giovedì sono dovuti andare sotto la curva Sud? Qualcuno ha preso un accendino in testa, qualcuno sputi, qualcuno l’asta di una bandiera sulla spalla.

     

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    In un clima del genere non stupisce che più di uno pensi di andarsene.
    Ieri a Trigoria c’è stata la contestazione di una trentina di tifosi esasperati. Sabatini ha chiesto loro una tregua: «Aiutate questa squadra! Due mesi fa non dicevate queste cose dei calciatori. Capita che i ragazzi siano in difficoltà, dategli un mese di tempo, siamo secondi in classifica». Nel mirino ultrà, Doumbia: «Ma dategli due mesi prima di ammazzarlo».


    C’è grande confusione. Giovedì Sabatini aveva negato la necessità del ritiro: «Una volta era utile perché i giocatori lo vivevano insieme, facendo gruppo, mentre ora hanno i cellulari e gli i-pad». Ma ieri i giocatori sono rimasti a dormire a Trigoria. In ritiro. Garcia voleva partire direttamente per Cesena. Lo farà stamattina, tenendo «in trasferta», per la prima volta, anche la conferenza stampa.

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    A Cesena bisogna vincere, altrimenti ci sarà il sorpasso della Lazio, quello che gli ultrà non perdonerebbero. Poi la sosta per le nazionali. Tra gli altri, Gervinho e Doumbia sono stati convocati dalla Costa d’Avorio per due fondamentali amichevoli contro Angola e Guinea Equatoriale. A Roma sperano che non ci siano più né feste, né lutti in famiglia, né ritardi.
     

    3. THOHIR E L’INCUBO CONTI “MA ORA BASTA DISTRARSI”

    Andrea Sorrentino per La Repubblica

     

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    Il rilancio dell’Inter comincia a somigliare sinistramente alla rivoluzione di Giorgio Gaber: oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente. Qualcuno era ed è comunista, e magari ancora interista, ma intanto il micidiale mese di marzo in cui è incappato Mancini, con due pareggi (in affannosa rimonta contro Napoli e Cesena) e tre sconfitte, ha decretato che anche questa stagione si chiuderà in passivo, e in estate si comincerà da capo.

     

    Oggi le rondini arrivano sotto il tetto, ma all’Inter già fuori dalle coppe non rimangono che le ultime 11 partite per salvare quel che resta di una stagione più deludente di un anno fa, quando arrivò un quinto posto.

     

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    Così ieri i giocatori sono stati tenuti a rapporto, con una certa durezza, da Mancini e dai dirigenti Fassone e Ausilio, dopo che lo stesso Thohir aveva recapitato un messaggio diretto: «D’ora in poi basta distrazioni, si deve chiudere la stagione nel modo migliore», e vincere più partite possibili.

     

    Nonostante l’entusiasmo per l’arrivo di Mancini e un mercato invernale quasi fastoso, la squadra ha faticato lo stesso (in 24 partite col Mancio 8 vittorie, 8 pari e 8 sconfitte, 31 gol incassati): il club è assai deluso dal rendimento dei singoli, e ha sospeso a data da destinarsi ogni colloquio sui rinnovi contrattuali, in attesa di risposte sul campo. Quanto a Mancini, il mistero è chiuso in lui: se gli arrivassero offerte irrinunciabili da un grande club non italiano, rimarrebbe all’Inter? Interessante domanda, ma per la risposta dobbiamo attendere.

     

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    Nel frattempo si rincorre l’utopia del quinto posto, impossibile a meno che davanti non svengano tutti, o la terribile sesta piazza, che imporrebbe vacanze brevi, ripresa dei lavori entro fine giugno, tournée in Asia più veloce di quanto il club vorrebbe e il preliminare di Europa League del 30 luglio, senza contare che si conosce il destino delle squadre che iniziano così presto: in inverno hanno le gambe in croce e rischiano grosso.

     

    A questo punto per certi aspetti sarebbe meglio evitarla, la qualificazione all’Europa League. Oltre ai vantaggi tecnici (Mancini potrebbe lavorare tranquillo alla prossima «squadra da scudetto», con Toulalan e il sogno Yaya Tourè), ci sarebbero quelli economici, anche se non giocare le coppe sottrae risorse dalle sponsorizzazioni.

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    La mannaia del Fair Play Finanziario colpisce solo chi gioca in Europa: l’imminente multa (intorno ai 10 milioni) si versa a rate nei primi tre anni di partecipazione alle coppe, e le sanzioni accessorie (come la diminuzione della rosa) riguardano solo le competizioni internazionali.

     

    Ma intanto i conti del club continuano a languire (eufemismo). Finora non c’è traccia del rilancio dei ricavi, sia per i risultati sportivi deludenti, sia perché dai misteriosi e impenetrabili nuovi boss del marketing, nonostante i prestigiosi curriculum, in oltre un anno non sono arrivati impulsi.

     

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    Intanto Thohir deve mettere mano al portafoglio, visto che il rifinanziamento attraverso i bond non si è concretizzato, e sta versando nelle casse del club circa 40 milioni per le spese correnti, poi in autunno bisognerà ripianare le perdite. Ergo, in estate si cederanno giocatori importanti per fare cassa, e al tempo stesso bisognerà allestire una «squadra da scudetto». Insomma c’è il rischio di fare la fine del criceto nella ruota. Qualcuno è ancora interista?

     

    4. ULTRÀ CONTRO IL CLUB “A SAN SIRO NON SI VA”

    Stefano scacchi per Repubblica

     

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    Un salto in avanti nelle forme di contestazione. Gli ultrà del Milan, questa sera col Cagliari, non si limiteranno a fare sciopero del tifo o entrare nel proprio settore con qualche minuto di ritardo, come successo in passato, ma diserteranno lo stadio. Appello esteso a tutto il pubblico rossonero.

     

    Secondo la Curva Sud, questa sera nessuno dovrebbe entrare a San Siro, neanche chi ha già organizzato il viaggio per raggiungere Milano. Ma non solo: per un giorno nessuno dovrebbe visitare Casa Milan o comprare oggetti di merchandising. La richiesta però verrà accolta solo in parte. I Milan Club non esporranno striscioni per protesta, ma saranno sulle gradinate. «D’altronde che senso ha criticare i vertici e poi far mancare il sostegno ai giocatori?», ragiona il presidente di un club lombardo.

     

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    Gli ultrà infatti mettono nel mirino Galliani e Berlusconi: «Presidente, quanta voglia ha ancora di riportarci sul tetto del mondo?», la domanda conclusa dall’invito a cedere il 51%, non solo la minoranza delle quote, in caso di assenza di nuovi investimenti.

     

    Viene risparmiata solo Barbara Berlusconi, la componente per la quale parteggiano gli ultrà rossoneri: «Noi appoggeremmo sicuramente la scelta di portare avanti la storia della sua famiglia nel Milan, ma se si trattasse di lasciare la società in mano a sua figlia senza l’impedimento di terze persone che ormai hanno fatto il loro tempo e i propri interessi». Chiaro riferimento a Galliani che ha vissuto la vigilia della partita col Cagliari a Milanello. Invece ormai sono un ricordo le visite del venerdì di Berlusconi al centro sportivo di Carnago.

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    Ad e proprietario vorrebbero risparmiare l’esonero a Inzaghi, ma bisogna vedere se questa posizione reggerà in caso di nuovi rovinosi passi falsi. L’allenatore chiede ai suoi di andare in vantaggio di due gol per scongiurare altre rimonte. Solo così sarà possibile ovviare alla mancanza di palleggiatori capaci di congelare le partite.

     

    «È una questione di mancanza di fiducia. Una vittoria ci aiuterebbe a ritrovare tranquillità. Anche Berlusconi mi ha detto che a Firenze dovevamo gestire meglio palla nel finale», spiega l’allenatore che tenta una battuta per sdrammatizzare: «Comunque siamo andati in vantaggio. Vuol dire che qualcosa di positivo c’è…».

     

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    Inzaghi sente di avere ancora in mano lo spogliatoio: «Con la Fiorentina non si è vista una squadra che non crede nell’allenatore. Ho un contratto, spero di restare. Ma spetta alla società fare queste valutazioni». Non sono state individuate con precisione le cause degli infortuni esplosi a gennaio. Di sicuro la squadra ha risentito delle 7 partite in 20 giorni (campionato, Coppa Italia e amichevole col Real) dopo mesi con una sola partita a settimana.

     

    Sullo sfondo aleggia la sensazione che altri allenatori, in particolare Mancini, siano trattati con maggiore benevolenza: «Vedo tanti bravi tecnici con grandissima esperienza che fanno fatica – nota Inzaghi – sarebbe stato utopistico pensare che non soffrissi io al Milan alla prima esperienza».

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    Domani Mancini incontrerà la Sampdoria di Mihajlovic, candidato alla panchina rossonera per la prossima stagione. In casa Milan piace il carisma del serbo che però è in corsa anche per l’Inter. Dopo la sfida di Marassi sarà più facile affrontare questo intreccio che ormai riguarda entrambe le milanesi.

     

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