1- "VOGLIONO FARE DI MILANO LA CAPITALE DEI CLAN"
Nicola Grolla per ‘la Stampa’
«Un sistema di omertà e convenienza». Al solito il procuratore antimafia Ilda Boccassini sintetizza efficacemente i motivi che ieri mattina hanno fatto scattare l' ennesimo blitz contro la 'ndrangheta in Lombardia: un cancro. Dei 27 indagati, 21 sono stati arrestati (alcuni ai domiciliari, altri in carcere) con accuse che vanno dall' associazione a delinquere di stampo mafioso, all' estorsione, detenzione e porto abusivo di armi, lesioni, danneggiamento, traffico di stupefacenti, corruzione e abuso d' ufficio.
Giacinto Mariani seregno
Tra tutti, spicca ovviamente l' arresto del sindaco di Seregno, Edoardo Mazza, esponente del centrodestra e noto, paradossalmente, per le sue posizioni antimafia e contro l' accattonaggio. Il primo cittadino brianzolo avrebbe favorito le mire dell' imprenditore Antonino Lugarà colluso con le 'ndrine locali.
Obiettivo: ottenere la modifica del piano regolatore comunale per permettere la costruzione di un supermercato. Assieme a Mazza sono finiti ai domiciliari anche un assessore e due tecnici mentre tre dipendenti comunali sono stati sospesi dai pubblici uffici. Tra gli indagati c' è anche il nome di Mario Mantovani, ora consigliere regionale di Forza Italia. Già arrestato due anni fa per concussione, corruzione e turbativa d' asta per degli appalti legati alla sanità lombarda, Mantovani si difende: «Io sono parte lesa in questa vicenda».
La polemica politica è esplosa. «Personalmente auspico che il sindaco di Seregno possa chiarire in tempi brevi la sua posizione. Se così non fosse, un passo indietro sarebbe doveroso» ha affermato Mariastella Gelmini, coordinatrice regionale di Forza Italia. Le opposizioni puntano il dito contro Roberto Maroni, i 5stelle invocano addirittura il «Daspo per Mantovani». Il governatore lombardo però risponde: «Ben venga l' azione della magistratura».
Boccassini Bionda
Anche perché, come dicono gli indagati in una delle intercettazioni, l' obiettivo alla fine è nientemeno che fare di Milano la nuova «San Luca» del Nord, ovvero il paesino calabrese teatro di sanguinose faide e ad alta densità mafiosa.
«Ormai siamo di fronte a un sistema collaudato» ha affermato Ilda Boccassini. «Omertà e convenienza coincidono - continua la coordinatrice della Dda di Milano -. Ci si rivolge all' antiStato per avere benefici diretti e sapendo benissimo che persone sono». A fare da trait-d' union fra il mondo della politica e quello della criminalità c' è la figura di Antonino Lugarà. È attraverso la sua intermediazione che Mazza si assicura l' elezione a sindaco nel 2015. Ed è sempre grazie a lui che la 'ndrangheta riesce a fare breccia in un giro di favori che non fa perno sul il denaro ma sulle promesse di benefici comuni.
Un aspetto ben chiaro a Lugarà che, in un' intercettazione telefonica, confida al figlio che «queste persone poi vengono a chiederti in cambio i loro favori. E non gli puoi dire di no».
Nonostante ciò, l' imprenditore si appoggiava spesso ai servizi delle reti mafiose di Limbiate e Mariano Comense. In un' occasione avrebbe chiesto ai malavitosi di risolvere una questione di riscossione crediti ai danni di Cosimo Tulli: «Lo hanno ammazzato di bastonate» racconta Lugarà alla moglie. Un' azione che dà la cifra della violenza «stupida e sfacciata» con cui il gruppo criminale portava avanti le sue azioni.
MARIO MANTOVANI ROBERTO MARONI
«Di solito si dice che la mafia in Lombardia sia silente, ma questo è molto lontano dalla realtà dei fatti» commenta il pubblico ministero Alessandra Dolci. Dalle indagini sugli appartenenti al "locale" di Mariano Comense è emersa, in particolare, un' attività di stoccaggio e commercializzazione di ingenti quantitativi di cocaina, anche in partite da 50 chili. I criminali si recavano spesso in Olanda, Germania e Grecia al fine di mantenere i contatti con i fornitori stranieri.
2- L' ETERNO RITORNO DEL "FARAONE" MANTOVANI E QUEGLI SMS CON L' IMPRENDITORE VICINO AI BOSS
Michele Sasso per la Stampa
«Lo abbiamo messo a fare il consigliere. Non sapevo chi c... mettere. Abbiamo messo lui e ha vinto. I voti vabbè me li ha dati Mario». Così il figlio dell' imprenditore Antonino Lugarà, arrestato ieri nel blitz per corruzione e 'ndrangheta, intercettato parlava dell' elezione al Comune di Seregno (paesone della Brianza) del candidato Stefano Gatti e del ruolo del ras di Forza Italia Mario Mantovani, indagato per corruzione in una tranche dell' inchiesta. Un' intercettazione che racconta l' intreccio tra politica e malavita.
Mario Mantovani è la longa manus di Berlusconi in Lombardia: sindaco-padrone di Arconate, imprenditore e sottosegretario alle Infrastrutture, prima di passare alla Regione Lombardia come vice del governatore Maroni e assessore alla Sanità con il soprannome di "Faraone", per le 13 mila preferenze e il potere sconfinato che gli viene attribuito.
MARIO MANTOVANI SILVIO BERLUSCONI
Il proconsole berlusconiano ora si proclama innocente: «Sono parte lesa in questa vicenda, voglio andare in procura e chiarire». Ma, accertano gli inquirenti, è a lui che si rivolge l' imprenditore colluso con le locali 'ndrine Antonino Lugarà per gli incontri elettorali che portano il sindaco Edoardo Mazza alla vittoria (siamo a giugno 2015) e soprattutto all' elezione del proprio uomo di fiducia Gatti, in grado di "aggiustare" gli atti comunali in favore di Lugarà e quindi ieri arrestato.
Un appoggio confermato anche da un messaggio che l' imprenditore invia al suo amico: «Ciao Mario, ti ringrazio molto per la vittoria di Seregno, è anche merito tuo».
Passano 5 mesi e Mantovani viene arrestato per corruzione, concussione e turbativa d' asta in un' inchiesta per tangenti nella sanità. Appena scarcerato però viene reintegrato al parlamentino lombardo. Sempre in sella, il «Faraone» Mantovani, che nonostante le grane giudiziarie (due processi in corso) continua ad esercitare il ruolo di leader: pronto a correre per le prossime elezioni regionali di primavera sotto le insegne della sigla «Noi siamo Repubblicani».
D' altronde il Faraone è in buona compagnia. Non c' è inchiesta sulla 'ndrangheta che non abbia visto un politico locale o un imprenditore inquisito.
DOMENICO ZAMBETTI
Per esempio l' ex assessore alla Casa, Domenico Zambetti, che con il suo arresto nel 2012 fece cadere la giunta del governatore Roberto Formigoni. Condannato a 13 anni e 6 mesi per voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa, secondo la ricostruzione dei magistrati, Zambetti girò 200mila euro a cosche che gli fornivano i voti.
Oppure ecco l' imprenditore Giuseppe Bersani che incarica il boss di Fino Mornasco di riscuotere un preteso credito di 270 mila euro da un avvocato e un commercialista (svizzero) che hanno difeso in tribunale; oppure Massimo Guffanti, ramo carburanti, che vuole invece 300 mila euro da una società d' impiantistica di Lomazzo appena fallita; e ancora Michele Malacrida, amministratore delegato della Elettrotecnica Malacrida, che chiede di poter rientrare di un milione di euro dai debitori.