Piero Colaprico per la Repubblica
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Era un politico innamorato perso di Milano. Della sua, della nostra, di tutte le Milano possibili e anche, se così si può dire, delle visioni della Milano che verrà.
Se ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, scrive che «La notizia della scomparsa di Carlo Tognoli mi rattrista profondamente » e se anche Silvio Berlusconi dice che «se ne va un sindaco stimato nel mondo e amato dai milanesi, dotato di una grande passione per la sua città», significa anche che Carletto, anzi "il Carletto", o anche "il Tognolino", ha lasciato il segno. Di lui si diceva che «è uno che c' è sempre».
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Socialista che s' ispirava a Filippo Turati e primo cittadino per dieci anni, dal 1976 al 1986, forse ha calpestato ogni metro quadro della metropoli più internazionale d' Italia. Lo si trovava non solo nelle occasioni della Milano che, attraversando i fiumi di sangue degli Anni di piombo, aveva guidato sino all' approdo luccicante della cosiddetta "Milano da bere", della Borsa che tirava e del made in Italy della moda. "Tognolino" spuntava nelle serate all' osteria della Briosca, dove ancora si esibivano i cantanti della ligera, la vecchia mala.
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Poteva a pranzo sedersi a tavola con qualche industriale o banchiere, o con i grandi palazzinari, ma a cena alzare il bicchiere di barbera con gli operai della periferia più lontana. Aveva un credo: poter medicare ogni ferita con la cultura e con il «ritrovarsi».
Concerti a prezzi popolari, investimenti nei teatri, il sodalizio con Giorgio Strehler e con il Piccolo, la Scala che apre a studenti e lavoratori e non più e non solo alla borghesia dei danèe. Aveva visto lontano anche sui temi dello smog: si deve a lui e all' assessore al Traffico Attilio Schemmari se Milano, sulla spinta dei movimenti verdi e dei comitati dei cittadini, nel 1985 bloccò al traffico delle auto private il centro, dal Duomo all' intera Cerchia dei Navigli.
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Non alto, spesso in elegante gessato, occhi simpatici e sgranati dietro gli occhiali, era nato in viale Romagna, papà morto in guerra in Russia. Finché ha potuto, gli spuntava un mezzo toscano in bocca. E non gli dispiaceva andare in Galleria - quando in piazza Duomo c' era al 19 l' ufficio dell' immanente segretario politico del Psi Bettino Craxi - e partecipare al rito del drink: un Americano, o uno Sbagliato, una piccola pausa, ampiamente meritata, dopo giornate da stacanovista.
Dentro Palazzo Marino, Tognoli diventò un po' "robotico", come scrisse Giorgio Bocca, nel senso che aveva tutto sotto controllo ed elargiva cifre, dati, analisi su qualunque argomento che avvalorasse l' efficienza meneghina. Aveva studiato da perito, lavorato in aziende chimiche e a vent' anni s' era iscritto al Psi di Pietro Nenni.
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Nell' anno della «madre di tutte le stragi», quella di piazza Fontana - 1969 - era lui il segretario cittadino del Psi e Aldo Aniasi, l' ex partigiano Iso, il sindaco. Poi, sette anni dopo, dopo essersi fatto le ossa come assessore, entrò lui nell' ufficio del primo piano, affacciato su piazza San Fedele, il sancta sactorum, sostituendo Aniasi. Ci arrivò a soli 38 anni, un enfant prodige per i nostrani standard gerontocratici. Numero uno di una giunta rossa, sostenuta dal Pci, il più giovane sindaco di Milano sembrava destinato a una lunga carriera.
Eurodeputato e ministro, non apparteneva però al gruppo dei craxiani ortodossi. Nella vera stanza dei bottoni non riuscì a entrare. Il Primo Maggio del 1992 lui e il suo successore, Paolo Pillitteri, organizzarono una conferenza stampa per respingere le accuse di mazzette che aveva portato in carcere - era l' inizio di Tangentopoli - alcuni portaborse del Psi. Là finì la stagione di "Tognolino" che, poco dopo, ricevette da Enrico Cuccia, il super banchiere della Grandi Famiglie italiane, un incarico in Mediobanca. Ieri s' è spento a 82 anni, a casa sua, con la consapevolezza di aver vissuto sino in fondo l' amore per Milano, ricambiato da chi, ancora nei mesi scorsi, incontrandolo gli diceva «Ciao sindaco».
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Ogni tanto arrivava ai vecchi amici, e anche ai giornalisti, la sua telefonata, con un' idea, un educato rimbrotto, un complimento.
Erano stati una brutta caduta, e il femore rotto, e poi il Covid contratto in ospedale a togliergli di mano il telefonino e la voglia di intervenire. Sua moglie Dorina l' ha portato a casa, una settimana fa, dall' inutile riabilitazione. Lascia due figli, Filippo e Anna, chiamati così in onore dei socialisti Turati e Kuliscioff, che avevano casa, oltre un secolo fa, proprio in quella Galleria dove «Carletto» amava fermarsi a guardare la prospettiva di piazza del Duomo. Come dice il suo ultimo successore, Beppe Sala, «Milano piange un uomo politico concreto e aperto alle riforme, un milanese vero». E si sa che, come cantava Lucio Dalla, Milano quando piange, piange davvero.
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Craxi, Anna e Tognoli