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    MILO MANARA A NUDO – "IL FUMETTO NASCE COME ARTE POPOLARE. LA COLONNA TRAIANA, NON È FORSE UNA STRISCIA SCOLPITA? NOI PENSIAMO PER IMMAGINI" - I SOGNI DI FELLINI E I VIAGGI IN CAMPER CON HUGO PRATT, DONNINE E POLITICA: IL MAESTRO DEL FUMETTO EROTICO ITALIANO SI RACCONTA IN UNA AUTOBIOGRAFIA – “I PROBLEMI PIÙ GROSSI OGGI LI AVREI DALL'OSSESSIONE PER IL POLITICAMENTE CORRETTO. NON MI SONO MAI AUTOCENSURATO. SOLO UNA VOLTA MI SONO PENTITO PER UNA SCENA DI ZOOFILIA" – LE ACCUSE DI SESSISMO PER LA DONNA-RAGNO - "IL MIO È UN PUNTO DI VISTA ETEROSESSUALE, NON ME NE VERGOGNO”


     
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    Alba Solaro per "il Venerdì - la Repubblica"

     

    MANARA MANARA

    Come tutti quelli che hanno tanto vissuto, viaggiato, incontrato, Milo Manara è un conversatore leggero e colto, consapevole di sé, autoironico. Rievoca una vita di donnine e fumettini, ma se il discorso vira su Fellini compare la parola giganti: l' understatement che si può permettere uno che ha «attraversato il fumetto in lungo e in largo.

     

    «In cinquant' anni di carriera sono stato testimone dell' evoluzione di questo linguaggio e penso sia uno dei pochi elementi di interesse di questo libro». A figura intera, l' autobiografia in uscita per Feltrinelli Comics (testo raccolto da Tito Faraci), è dedicata «a Luisa, che mi ha sopportato in tutti questi anni».

    MANARA MANARA

     

    La bella signora a cui è sposato da quarant' anni è anche molto riservata; non vuole comparire nelle foto, ma ci segue disincantata e premurosa mentre chiacchieriamo sotto il porticato della villa sulle colline della Valpolicella. In basso ci sono gli stabilimenti del celebre marmo rosso, più in alto i vigneti di amarone, che a fine estate si riempivano di portarine, le ragazze che arrivavano per la vendemmia, spalle larghe, fisici forti da montanare: la prima fantasia erotica di un maestro della sensualità.

     

    milo manara fellini milo manara fellini

    Nello studio in cima alla casa («le tavole non posso farle vedere, è un lavoro in corso, ispirato a un testo già esistente»), regna la confusione della creatività. Libri, premi, targhe, riviste, scatole di colori, quadri, ancora libri.

     

    In un angolo c' è il poster per La fortuna di Cookie (1999) di Robert Altman: «Doveva farlo un famoso collega francese, ma poi Altman ha preferito il mio. Avevo azzeccato i colori».

     

    Com' è arrivato al fumetto?

    MANARA MANARA

    «Partendo dal basso che più basso non si può. Fumettacci porno per soldati e carcerati, ispirati a Diabolik però molto più brutti. La qualità era infima, anche la mia, intendiamoci. Ero alle prime armi e questo è un mestiere, non basta saper disegnare. Tanti giovani vengono da me, mi portano pacchi di disegni, e io dico: guarda che per poterti dire qualcosa devi disegnarmi una sequenza, non delle donnine o i ritratti dei tuoi fratelli».

     

    Perché il fumetto è narrazione.

    «E nasce come arte popolare. Chiedo perdono agli dei, ma sono fumetti anche gli affreschi di Giotto nella Basilica superiore di Assisi, che raccontano per vignette le gesta di San Francesco.

    milo manara cover milo manara cover

     

    E la Colonna Traiana, non è forse una striscia scolpita, un fumetto a tre dimensioni? Noi pensiamo per immagini. Tutto quello che vediamo nelle nostre città è stato disegnato prima di essere costruito: i palazzi, i semafori, le auto, questa tazzina, il suo anello».

    MANARA MANARA

     

    Oggi che i graphic novel vanno ai premi letterari, l' origine popolare si è persa?

    «Da un certo punto di vista sì. Ma penso a Banksy: con lui l' arte figurativa che era uscita dalla porta rientra dalla finestra e ridiventa un fenomeno popolare».

     

    Banksy è così popolare da essere diventato un brand. Come lei?

    «Beh, io non oserei l' accostamento. Quando Banksy autodistrugge una sua opera appena venduta all' asta, sta contestando proprio lo star system dell' arte: perché un quadro di Picasso deve arrivare a milioni di euro? Ho partecipato alla Biennale di Venezia nel '68, ricordo artisti che aderivano alle lotte operaie, che dicevano: se la classe operaia non va nei musei, portiamo l' arte nelle fabbriche.

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    Come se il problema per gli operai fosse camminare fino al museo e non il linguaggio elitario. Oggi si parla di arte figurativa solo di fronte a installazioni da otto milioni di dollari, come Christo che ci fa camminare sul Lago Maggiore. Tra l' altro io ho qualche pregiudizio nei confronti delle installazioni».

     

    Cosa la infastidisce?

    «Credo che una forma d' arte che abbia bisogno del libretto di istruzioni non sia poi così straordinaria».

     

    Parliamo allora di donne straordinarie. Come Louise Brooks: nel libro c' è una tavola rifiutata dove la ritrae a gambe larghe che fa la pipì.

    «L' ho poi rifatta più castigata. Quella rifiutata ce l' aveva Sergio Bonelli, aveva comprato l' originale e l' aveva appeso nel suo studio, e ogni volta che ci sentivamo al telefono mi diceva "sono qua che sto guardando la tua pisciona", si divertiva a chiamarla così. Troppo spinta? Ci sono un paio di quadri di giganti della storia dell' arte, uno è Rembrandt, l' altro è Picasso, con donne nella stessa posa da divinità creatrice. Come se fosse il Gange che nasce da Shiva».

     

    Qualcuno però si era evidentemente scandalizzato. Si è mai dato un limite etico nel suo lavoro?

    milo manara andrea pazienza milo manara andrea pazienza

    «In linea di principio, no. Ma faccio una netta distinzione tra disegno, fotografia e cinema. Quando parliamo di letteratura o disegno, non parliamo di persone ma di idee, e in quanto tali non dovrebbero essere soggette a nessuna censura o autocensura. Lolita di Nabokov ci permette di immaginare la passione pedofila per una minorenne.

    Ma se parliamo di film o foto, parliamo di persone in carne ed ossa, allora entra in ballo il codice penale. Ci sono illustrazioni tratte da De Sade con le fantasie più efferate: se fossero rappresentate al cinema scatenerebbero la repulsione».

     

    È quello che ha fatto Pasolini con Salò o le 120 giornate di Sodoma.

    «Certo, ma l' ha fatto accostandole al fascismo proprio per indurre il ribrezzo verso la violenza di un regime. Quando ero bambino, c' era un settore della libreria di casa che era chiuso a chiave. Dentro c' erano i libri di Curzio Malaparte, D' Annunzio, ma anche due volumi sul nazismo. Uno era Il flagello della svastica, l' altro Si fa presto a dire fame, non li ho mai dimenticati. Le foto dei campi di concentramento sono insostenibili perché quella è la realtà».

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    Mentre le fantasie erotiche non hanno mai fatto male a nessuno. O quasi. Le hanno dato del "sessista" per la sua Donna Ragno.

    «Era l' ultima della serie di copertine che ho fatto sulle supereroine Marvel nel 2014. Non voglio fare il finto ingenuo: ho preso esattamente una posa dell' Uomo Ragno e l' ho trasferita su un corpo femminile. Se l' avessi inquadrata dal basso sarebbe stato ben più problematico, mi ero posto il problema». Ma non è bastato. «Nella loro beata ipocrisia gli americani fanno finta che le eroine siano vestite quando sanno bene che sono quasi sempre dei corpi nudi colorati.

     

    E comunque a protestare di più non furono le femministe ma un gruppo Lgbtq, secondo cui i disegni non erano né politicamente né anatomicamente corretti. Fatto sta che non ho più fatto copertine per la Marvel».

     

    Ammettiamo pure che col femminismo storico i rapporti non siano stati troppo burrascosi, ma è sicuro che sarebbe ancora oggi così?

    «So bene che sono cambiate molte cose, e credo che i problemi più grossi oggi li avrei dall' ossessione per il politicamente corretto. Non mi sono mai autocensurato».

     

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    Mai? Neppure un ripensamento?

    «Solo una volta, nella prima edizione del Gioco. La protagonista si lasciava andare a esperienze erotiche estreme, compresa la zoofilia, e in questo ventaglio di perversioni c' era anche la pedofilia. Me ne sono pentito, d' accordo con l' editore abbiamo poi tolto quella tavola. Oggi non lo rifarei. Come non sarei in grado di rappresentare la violenza sulle donne. Ora ha più visibilità e probabilmente si è acuita perché ci sono troppi uomini che non si sanno adattare al ruolo sociale che le donne hanno conquistato - anche se non è una conquista ma un diritto».

     

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    Le immagini spesso sono a doppio taglio. Essere sexy negli anni 80 veniva vissuto come segno di una nuova libertà femminile, ora è usato contro le donne stesse.

    «Il mio approccio alla rappresentazione del corpo femminile è sempre stato platonico, idealizzante. E in questo penso di non essere mai stato anti-femminista, anzi. Mi hanno girato di recente un articolo di Michela Murgia che parla bene di me a proposito del Grand Prix de la ville d' Angoulême (Manara e altri avevano ritirato la candidatura al premio nel 2016 perché in lizza non c' era neanche una donna, ndr). Non so come le femministe di oggi giudicherebbero la rappresentazione dell' erotismo in sé. Il mio è un punto di vista eterosessuale, sarà anche un limite, non me ne vanto ma neanche me ne vergogno».

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    Il fumetto però si è via via popolato di figure femminili sempre più sganciate da un' idea di bellezza omologata.

    «Sì, certamente, anche questo è cambiato. Ma io ho sempre privilegiato un corpo diverso, androgino, atletico. Come quello, per fare un esempio di un' attrice oggi, di Kristen Stewart».

     

    Tra Hugo Pratt e Federico Fellini chi le ha cambiato di più la vita?

    «Non è facile. Diciamo che Fellini ha cominciato a cambiarmela molto prima che lo conoscessi, quando quindicenne ho visto 8½. Lo vede quel paesino lassù? Si chiama San Giorgio. Una notte eravamo seduti qui, io e lui, al buio. E Fellini, indicando le lucine delle case, mi dice: "Oh guarda, una costellazione artificiale". Mi descriveva i ruderi romani come dinosauri addormentati, sagome enormi contro il cielo. Era la sua caratteristica saliente, vedere cose che i mortali non sanno vedere. Sul piano professionale, però, Pratt ha influito di più».

     

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    Galeotto fu un camper.

    «Era magnifico, un Saviem usato dall' esercito francese in Algeria, comprato grazie ai soldi dei giornalini porno. Nel 1969 c' ero andato al Salone internazionale a Lucca proprio per conoscere Pratt. Io avevo 24 anni, lui 42. Quando scoprì che avevo il camper mi chiese se potevo dargli un passaggio fino a casa. A Parigi».

     

    Viva l' avventura.

    «Con Pratt era così, e andare a Parigi significava fare mille deviazioni, un certo ristorante, una chiesa da visitare, un conoscente da salutare. Siamo diventati amici e di viaggi ne abbiamo poi fatti tanti, sempre io al volante perché lui da vero veneziano non aveva la patente».

     

    Fin dove è arrivato col camper?

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    «Anche in India. Nell' 83, un viaggio incredibile in un' Asia ancora medievale. Per fare la battitura del frumento i contadini stendevano il grano su questi nastri di strada più o meno asfaltati, aspettando che i camion di passaggio ci marciassero sopra. Alla frontiera con l' Iran non ci avevano fatto passare, così abbiamo spedito il camper in Pakistan via nave e siamo volati a Karachi.

     

    Abbiamo aspettato per giorni in un albergo coloniale immenso e decadente; alle sei del pomeriggio restava deserto perché c' era il coprifuoco per via dei disordini, scappava anche il cuoco. È lì che ho disegnato parte di quella che è la mia storia più erotica, Il gioco».

     

    Quanto sono stati importanti i soldi nella sua vita?

    «Abbastanza, nella misura in cui mi hanno subito emancipato dal bisogno.

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    Il che è importante se uno vuole fare delle scelte il più possibile libere».

     

    A questo proposito, racconta che dal Corriere dei ragazzi le offrirono l' assunzione. Ma lei rifiutò "per colpa" di Pratt.

    «Mi disse: non sei un pollo d' allevamento, sei un uccello da preda, se firmi non ti parlo più. Il consiglio era giusto e ha coinciso con la trasformazione del mio lavoro da professione a confessione. Per Pratt la vita coincideva con la propria narrazione. Lui viveva come Corto Maltese, o ci provava. Ma come ho raccontato con Giuseppe Bergman, oggi se vai nel Sahara pensando di vivere come in Gli Scorpioni del Deserto di Pratt, corri il rischio di essere ammazzato dalla Parigi-Dakar che ti passa lì accanto. Il mondo è cambiato, e l' avventura con la "a" maiuscola è diventata sempre più intellettuale».

     

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    Potrebbe mai ritornarle la voglia di fare storie impegnate come Un fascio di bombe su Piazza Fontana?

    «L' impegno C' è un passo nella Divina Commedia dove il principe dell' avventura, Ulisse, finito all' Inferno, ai suoi marinai stufi di seguirlo dice: "Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza". Ora, se noi ci alzassimo tutte le mattine e dicessimo sai cosa c' è, oggi seguo virtù e conoscenza, la nostra società salterebbe per aria in una settimana. L' avventura umana come conoscenza ha in sé un germe eversivo. Pratt detestava il fumetto politico e diceva che c' è molta più politica nell' avventura che nel disegnare la vita grama di un operaio».

     

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    Un' ultima cosa. Ci svela cosa vi state dicendo lei e la signorina sulla copertina che ha disegnato per noi? Sembrate due vecchi amici...

    «Ecco, appunto, è una riflessione sul tempo che passa. Quindi il mio guardarla è puramente contemplativo. È finito il tempo in cui, se vedevamo una bella ragazza, commentavamo su cosa ci sarebbe piaciuto fare insieme (dal fondo si sente la signora Luisa: "Guarda che son qua, eh")».

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