Vittorio Feltri per “Libero quotidiano”
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Che fine ha fatto Dino Boffo, già direttore del quotidiano dei vescovi, Avvenire, e della televisione vaticana? Non lo so, di lui non trovo tracce, ma presumo sia in pensione avendo l'età per riscuotere l'assegno di quiescenza.
A distanza di oltre dieci anni dalla disavventura che ci accomunò, mi piace ricordare come si svolsero e si svilupparono i fatti. La verità quando è calda nessuno la vuole fra i denti, oggi, a freddo, è addirittura digeribile.
All'epoca dirigevo il Giornale (per la seconda volta) e un giorno il mio staff mi portò un documento, poi risultato fasullo, sul quale era scritto che Boffo aveva subìto una condanna lieve per molestie telefoniche. All'epoca il capo del quotidiano cattolico era uso ad attaccare Berlusconi per la sua condotta con le donne, rimproveri che mi parvero fuori luogo poiché pronunciati da un signore che aveva avuto fastidi con la giustizia.
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La documentazione che mi venne sottoposta conteneva notizie fondate, tuttavia era tarocca nella forma. Del che non mi accorsi. Pertanto scrissi un pezzo per raccontare la vicenda, dicendo che Boffo non era abilitato a segnalare la pagliuzza negli occhi di Silvio quando anche lui, poveraccio, non era in regola dal punto di vista oftalmico.
Il dì appresso scoppiò un casino infernale. Tutti mi attaccarono, perfino mia moglie, di solito generosa nei miei confronti. I colleghi della stampa in coro mi accusarono di essere il manovratore della macchina del fango perché avevo usato carte false per dare addosso al responsabile del foglio cristiano.
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IL MASSACRO
Sulla circostanza che il verbale, sebbene non autentico, raccontasse un fatto vero, nessuno si pronunciò. Silenzio tombale. Le polemiche proseguirono settimane, intervennero pure varie televisioni, fui soggetto a un autentico massacro. Ricordo un Formigli scatenato nell'arte sovrana di denigrarmi, ma non mi scomposi, ero avvezzo a battagliare con i signorini della mia ex categoria moscia e appiattita sul conformismo più vieto.
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Mi resi conto che la realtà non vale nulla, prevale la correttezza burocratica. Allorché scoprii che il verbale non era originale per quanto riferisse fatti accaduti, mi affrettai a dirlo senza tanti giri di parole. Ciò che mi sorprese, lasciandomi basito, fu la constatazione che Boffo si dimise dalla direzione del suo foglio. E, caso ancora più strano, i vescovi accettarono tali dimissioni. Se io avessi raccontato balle che motivo c'era di fare uscire Boffo dal suo ufficio? Mi aspettavo che la Chiesa difendesse un suo uomo di cui dichiarava l'innocenza. Invece no.
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Accolse l'addio di Boffo senza fare una piega. Strano, no? Mi rassegnai a passare per uno spacciatore di melma. Ciò che viceversa non mi attendevo fu l'aggressione selvaggia del cosiddetto Ordine dei giornalisti il quale non ha mai digerito il mio successo economico: incassavo uno stipendio dieci volte superiore rispetto agli anonimi figuri che mi avrebbero giudicato senza avere titoli professionali decenti.
FUORI DAI RADAR
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Il processo si svolse in un clima surreale. Coloro che mi incolpavano con argomenti inconsistenti si atteggiarono a magistrati inflessibili, e la mia tesi difensiva venne ascoltata con sufficienza. Si impose il concetto che non importa il dettaglio da cui si evince che il giornalista ha scritto il giusto, prevale il particolare che il documento basilare non essendo ufficiale bensì una copia non andava preso sul serio.
Capito l'antifona? Non è fondamentale che il cronista narri fedelmente la vicenda, deve piuttosto avvalersi di carteggi timbrati dalle autorità. Un non senso elevato a teoria. Risultato, mi fu rifilata una punizione enorme: sospensione di sei mesi dall'esercizio legale del mio lavoro. Praticamente condannato per un lungo periodo alla disoccupazione, il che contrastava con la Costituzione che fissa il diritto ad avere una occupazione.
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Naturalmente feci ricorso e in secondo grado, davanti a una nutrita assemblea di colleghi anonimi e storditi, i sei mesi di limbo furono ridotti a tre, che scontai senza avere alcuna macchia. Intanto il povero Boffo, persona perbene, aveva abbandonato il timone dell'Avvenire ed era in attesa di prendere in mano quello della emittente vaticana, che gli fu affidato di lì a poco. Paga sicura però ombra totale.
Trascorrono un paio di anni, io continuo a scrivere sul Giornale che avevo rigenerato, insomma la vita va avanti senza che alcuno mi abbia torto un capello. A un certo punto viene divulgata la notizia che Dino è stato nuovamente sollevato dall'incarico. Motivo? Non si è mai saputo. Si dà il caso che lui sia sparito dalla circolazione. Mi dicono che viva in Veneto dove è nato. Di lui comunque si è persa traccia. I vescovi che durante la bagarre lo avevano difeso, negando il fatterello di cui egli si era macchiato, si sono nascosti dietro a un dito. Di Boffo, l'offeso immaginario, non si parla nemmeno all'oratorio. Io, il reo, sono ancora in pista e rompo le balle adesso come allora. Ci sarà un perché.
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