MICHELE SMARGIASSI per repubblica.it
peter BEARD
È scomparso nel nulla come i suoi elefanti al tramonto. Peter Beard, il fotografo che amava con eguale slancio la natura selvaggia e gli affumicati salotti dell'alta società di Manhattan, è stato visto per l'ultima volta nel tardo pomeriggio del 31 marzo scorso, in cima alle scogliere di Montauk, sulla punta di Long Island, dove da quasi mezzo secolo possiede un cottage con vista sull'oceano Atlantico, frequentato da Mick Jagger, Truman Capote, Jacqueline Onassis e dal suo vicino di casa Andy Warhol.
Quella scogliera era un suo cruccio: l'erosione avanzava. Chissà che la sua mente ormai debole di ottantaduenne e il suo cuore affaticato da una vita vissuta al massimo dei giri non lo abbiano tradito. Mentre ancora gli elicotteri volteggiano sulla costa, la moglie Nejma e la figlia Zara sono sul punto di perdere ogni speranza.
In un messaggio su Instagram hanno scritto: "Vorremmo che di lui ora si parlasse solo come l'uomo che è stato: un artista straordinario, un viaggiatore insaziabile, un eroe del movimento per la conservazione dell'ambiente, un amante della vita, dell'Africa, dell'avventura, della sua famiglia e dei suoi amici".
Tutte queste cose, ma non in questo preciso ordine. Quel che più sorprende nella vita di Beard, aristocratico e bizzarro, uno dei fotografi meno inquadrabili del Novecento, è la sua capacità di passare in un centoventicinquesimo di secondo dal jet-set a una tenda nella savana. Cosa che poteva permettersi fin dall'inizio, va detto.
peter BEARD
Essendo nato in una famiglia ricchissima, erede di due dinastie industriali, una delle ferrovie, l'altra del tabacco: a diciassette anni poteva già prendere un aereo per il cuore dell'Africa, semplicemente perché i diorami del Museo di storia naturale di New York lo avevano entusiasmato.
Aveva già con sé una fotocamera, una Voigtländer. E fu la sua Africa. Poteva dirlo allo stesso titolo di quella sua grande amica, Karen Blixen, che conobbe là. Dalle parti di Nairobi, nel 1961, non appena terminati gli studi d'arte a Yale, si comprò infatti un ranch. Da cui partiva per le sue battute di caccia incruenta.
C'è un libro, uscito nel 1965, il suo capolavoro, realizzato prevalentemente nella riserva naturale di Tsavo, in Kenya. Lo volle intitolare The End of the Game, che è un gioco di parole: vuol dire finale di partita, ma anche esaurimento della selvaggina. In ogni caso, annuncia una fine, quella del mito di invulnerabilità della Natura.
peter BEARD
Le sue fotografie in bianco-e-nero di elefanti, a volte malati, emaciati, affamati, dei loro cimiteri di ossa, non sono trionfali ed epiche come certi reportage da National Geographic, sono drammatiche e dolenti come reportage di guerra. Strappano un velo troppo romantico sul continente nero.
La visione della natura di Beard è drammatica. Del tutto in contrasto con la sua figura di dandy, impeccabile anche nelle situazioni più inospitali. Si vantava di nuotare nei fiumi infestati da alligatori. Un contatto troppo ravvicinato con un'elefantessa nervosa gli ruppe diverse costole. Portava con sé quel fascino da Crocodile Dundee anche nel jet-set, l'altra giungla in cui si sentiva del tutto a suo agio.
Per Vogue realizzò un certo numero di servizi di moda (sua l'edizione 2009 del Calendario Pirelli, con un set in Botswana). Poi, molti di ritratti di celebrità. Seguì i Rolling Stones in tournée, lavorò con Veruschka.
Quando non era in compagnia di belve naturali, insomma, adorava immergersi nello zoo socialite, guadando i cocktail bar di Manhattan, a cominciare dal celebre Studio 54, dove il suo tavolo non era mai a corto di glamour femminile e drink costosi.
Amico intimo di Francis Bacon, affascinato da Henry Moore (a cui mandò in dono dal Kenya un teschio di rinoceronte), Beard volle essere anche artista a tutto tondo. La sua vocazione: il patchwork. Prendeva le sue foto e le montava in cornici colorate, aggiungendo figure ritagliate, piccoli oggetti, scrittura, ritagli di giornale, macchie di sangue di animali e, pare, anche del suo. Una cosa che aveva cominciato a fare sui suoi diari, tenuti scrupolosamente senza interruzione dall'età di otto anni.
pirelli 2009 17 peter beard
Ora è svanito nel nulla, da due settimane, nonostante le ricerche scrupolose della polizia di East Hampton. Ufficialmente disperso. Nel 2016, una sua mostra retrospettiva portava il titolo Ultime notizie dal paradiso.