D’Aversa l’allenatore licenziato per una testata. «A casa mia moglie mi disse: “Ma cosa hai fatto?”»
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Successe a Lecce, diede una testata a Henry e la società lo licenziò (il sospetto è che volesse già esonerarlo). Fu giustamente massacrato mediaticamente. Adesso è a Empoli dove sta facendo benissimo. Ha perso una sola partita, l’ultima contro la Lazio. E domenica affronterà il Napoli. È grande amico di Antonio Conte, i due si conoscono dai tempi di Siena.
D’Aversa è intervistato dal Corriere della Sera.
Perché Empoli?
«Avevo due priorità: restare in A, una categoria che ho dimostrato di meritare, e soprattutto riscattare la mia immagine di 35 anni di calcio e di padre di famiglia con tre figli. Ringrazio la società, è stata coraggiosa».
A marzo il Lecce l’ha licenziata per una testata a Henry
«Quando sono rientrato a casa, Claudia, mia moglie, mi ha guardato. “Ma cosa hai fatto?”. Poi subito dopo. “Ormai è successo, rialzati e vai avanti”. Sono stato molto fortunato a incontrarla. Passo poco tempo in famiglia, l’artefice della buona educazione dei miei figli è lei.
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Dopo la testata è stato etichettato come violento. Quanto è stato difficile?
«Siamo rimasti in città, non volevamo costringere i figli a cambiare scuola. I leccesi mi hanno aiutato. Anche molti direttori sportivi sono stati solidali, compresi quelli con cui non avevo rapporti. Poi certo, quando entri in casa e tua figlia di 9 anni ti sorride, tutto passa in secondo piano».
Lei invece ha poco da sorridere. Domenica sfida il Napoli capolista.
«Per il mercato che hanno fatto le favorite per lo scudetto sono Inter e Juve. Ma il Napoli lotterà fino alla fine».
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Ha chiesto davvero a Goglichidze di menare Kvara in ritiro con la Georgia?
«Voleva essere una battuta. Che poi il mio giocatore neanche parla italiano…».
Si aspettava Conte così in alto?
«È il migliore a ricostruire, lo dice la sua storia. Lui non vuole partecipare, vuole vincere. Lo può fare, perché ha una squadra forte e non ha le coppe. Non me ne voglia il mio amico Inzaghi, ma faccio il tifo per Antonio».
Rapporto fraterno il vostro.
«È il padrino di mia figlia, spesso siamo andati in vacanza insieme. Ci conosciamo a Siena, io giocatore e lui in panchina. Ricordo una preparazione da marines, mai sofferto così tanto. Da neopromossa pareggiammo a Udine, ci sembrò un gran risultato. Lui però era arrabbiato. Ti mette in una condizione fisica e mentale che va oltre».
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