Masolino D'Amico per "la Stampa"
monica vitti e alberto sordi
Vidi per la prima volta Monica Vitti negli Anni 50, all'allora teatro Arlecchino. Lo spettacolo era Sei storie da ridere, atti unici molto divertenti coordinati da Luciano Mondolfo, con tre vecchie volpi - Alberto Bonucci, Gianrico Tedeschi e la mia grande amica Bice Valori. Monica, da non molto diplomata all'Accademia, non era ancora ufficialmente comica, anzi veniva da classici seri, e di carattere era timida (tale sarebbe rimasta: molti attori dopotutto lo sono, recitano per quello) e riservata.
Spiando nel suo diario lasciato in camerino per vedere cosa diceva di loro, Bice trovò quanto segue: «Sono cattivi, cattivi, cattivi... ma sono anche terribilmente, diabolicamente spiritosi». Benché tutt' altro che sprovvista di senso dell'umorismo, e anche se inizialmente utilizzata, al cinema, anche in particine brillanti, sul grande schermo fu inizialmente identificata come la nuova musa di Michelangelo Antonioni e della sua tetralogia dell'incomunicabilità: L'avventura, 1960, «La notte, 1961, L'eclissi, 1962 e Deserto rosso, 1964 - qui Monica pronunciava la memorabile battuta «mi fanno male i capelli».
monica vitti
Quando Antonioni aveva portato il progetto dell'Avventura a mia madre, con cui aveva già scritto sceneggiature di film non banali, mia madre aveva alzato le braccia: «A questo punto devi fare da te». Il consiglio era saggio, e fu seguito. Ammiratissima nel circuito internazionale del cinema impegnato, Monica diventò così l'icona di un cinema nuovo e assai particolare, il che probabilmente scoraggiò altri registi dal proporla in ruoli altrettanto impegnativi, ma di matrice diversa.
VITTI GIANNINI
Al teatro tornò sporadicamente, diretta da Antonioni senza grandi esiti, ma con ottimo riscontro quando Franco Zeffirelli la affiancò a Giorgio Albertazzi in Dopo la caduta, dove Arthur Miller faceva i conti del proprio rapporto con Marilyn Monroe. Il cinema comunque si era accorto della sua fotogenia, e quando Antonioni passò a nuovi argomenti le fornì qualche occasione non trascurabile.
La grande svolta e il vero successo arrivarono comunque solo con La ragazza con la pistola (1968), dove Mario Monicelli replicò il salto mortale che aveva effettuato più di dieci anni prima con I soliti ignoti e Vittorio Gassman, ossia un film comico senza comici di richiamo, con un protagonista già noto come attore serio anzi serissimo, cui per l'occasione vennero cambiati connotati (naso finto) e voce (balbuziente). Il risultato come ognun sa fu per Gassman una strepitosa nuova carriera di attore brillante.
MASTROIANNI VITTI GIANNINI
Alla biondo-rossa Monica fu imposta una parrucca nera e una parlata dialettale. Il pubblico gradì enormemente l'ironia sui tabù sessuali e sul delitto d'onore, secondo la nota prassi che gli italiani adorano ridere di quello su cui si è cercato di farli indignare (la commedia all'italiana nata dal neorealismo). Anche per Monica fu l'inizio di una nuova carriera non meno sgargiante di quella di Gassman. Lo stesso Sordi fu veloce a sfruttarla, affiancandosela nel film che diresse subito dopo quello - Amore mio aiutami - e mettendola al centro del capolavoro Polvere di stelle (1973), epopea dell'avanspettacolo dove Monica fu impagabilmente ingenua e volgare («Ando' vai - se la banana nun ce l'hai»), e ancheggiando sul palco mostrò come non aveva mai fatto prima, non avendone avuto bisogno, due bellissime gambe.
VITTI GIANCARLO GIANNINI
Nella lista dei film dove campeggiò tra quelli da ricordare sono certamente Dramma della gelosia (1970) di Scola e Io so che tu sai che io so (1982) di Sordi, ma i titoli sono molteplici, e ci furono anche escursioni all'estero, con registi come Bunuel, Cayatte, Michel Ritchie; fu diretta anche, con risultati non spregevoli, dai suoi nuovi compagni, prima Carlo Di Palma e poi Roberto Russo, quest' ultimo suo prezioso, affettuosissimo sostegno negli ultimi anni bui, quando noialtri compagni di viaggio non la vedevamo più.
monica vitti
Perché Monica, che non ebbe mai o non volle avere una sua famiglia sul modello tradizionale, fu sempre una deliziosa presenza nelle piccole comitive di sodali. Come pochissimi colleghi maschi (Sordi, Mastroianni, per esempio) e nessuna donna, almeno nessuna star di grandezza a lei paragonabile, non solo non si diede mai arie, ma si comportò sempre, nella vita come si dice, da persona qualunque. Sì, sul lavoro era esigente, talvolta addirittura insopportabile; ma lasciato il set o il palco era, con chi la conosceva, simpaticissima: allegra, avventurosa, curiosa, semplice, divertente, la persona ideale in una gita.
monica vitti deserto rosso
Non fumava e non guidava la macchina, ma mangiava e beveva di gusto, senza alterarsi e senza mettere su peso. Sissignori, anche nel periodo dell'incomunicabilità. Monicelli amava scherzarci sopra, e Monica (e Michelangelo, che era austero solo nei film) ridevano volentieri. Beati anni. Certo, non torneranno. Ma li si ricorda volentieri.
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