Fulvia Caprara per "La Stampa"
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In ogni parola c'è il sentire del personaggio, in ogni monologo c'è la visione del regista. Un fluire di parole che viene molto prima delle immagini, prende corpo sul set, si arricchisce grazie alle doti dell'attore: «Per me - dice Paolo Sorrentino, protagonista ieri al Teatro Astra, nella penultima giornata del Tff, di una riflessione sulla forza del teatro nel suo cinema - i monologhi sono un modo per fare bilanci, per capire dove sono e a che punto sono.
paolo sorrentino e il teatro di mattia torre
Direi che i monologhi nascono dalla mia passione per la letteratura, prediligo i libri che hanno pochi dialoghi e quindi, alla fine, risultano lunghi monologhi. Nei miei film non c'è quasi mai un finale a sorpresa, così si comincia e così si finisce, il monologo serve a far credere in un colpo di scena che, in realtà, non esiste».
toni servillo la grande bellezza
Comunque, prosegue l'autore, «nascono sempre da motivazioni terra terra. Quello della Grande bellezza, in cui il protagonista si rivolge a Galatea Ranzi, serve a rivelare l'antipatia verso personaggi di quel tipo». Rivisti uno dietro l'altro, i soliloqui di personaggi entrati nella storia del cinema, dall'allenatore dell'Uomo in più a Jep Gambardella della Grande bellezza, farebbero pensare a una spiccata vocazione teatrale: «No - smentisce subito Sorrentino, interrogato in palcoscenico da David Grieco e dal direttore del Tff Steve Della Casa - non ho mai pensato di fare teatro. Di recente ho ripreso gli spettacoli di Mattia Torre per Sei pezzi facili, ma, nonostante l'amore e l'affetto che nutro per lui, devo dire che, stando in teatro al buio dalla mattina alla sera tutti i giorni, stavo impazzendo.
PAOLO SORRENTINO
Mi piace molto di più il caos dinamico e circense del cinema, e poi il teatro non lo conosco, mi sembra tardi per cominciare adesso, per recuperare un patrimonio culturale enorme, necessario per poterlo fare. Mi sono formato con persone come Martone e Servillo che, quando ero ragazzo, erano già autori affermati, li ho sempre guardati con timore reverenziale, non ho mai pensato di essere come loro. Preferivo Fellini, perché era lontano e non lo conoscevo».
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Anche se poco incline alle confessioni pubbliche, davanti alla platea incantata, seguendo, immagine dopo immagini, i brani celebri delle sue sceneggiature, Sorrentino si scioglie e inizia a giocare: «In realtà - spiega tornando sulla Grande bellezza - c'è un equivoco alla base di tutto. Lo spettatore, specialmente guardando un film che parla di Roma, cerca qualcosa che conosce o di cui ha sentito parlare, cerca nel film una verità. Io invece punto all'obiettivo opposto. Non conosco né Roma né i romani, quello che mi interessava era rielaborare una mia idea della città, un'idea che sicuramente non corrisponde al vero. Purtroppo però, nel rapporto tra pubblico e film, c'è un moloch da cui non si riesce a prescindere, ovvero la verità, ma la verità a me non interessa, la verità è quella che uno inventa».
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Sul film Oscar le critiche, a suo tempo, non mancarono, e lo stesso è accaduto con i due capitoli di Loro, dedicati all'epopea berlusconiana: «Dal punto di vista del pubblico i film sono andati bene, forse una delle ragioni per cui Loro ha avuto giudizi negativi potrebbe essere il tempo sbagliato, forse avrei dovuto farlo in un altro momento, magari tra dieci o venti anni. Ho sempre cercato di non pensare troppo alle critiche e, comunque i miei film sono quasi sempre andati male».
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David Grieco parla dell'invidia molto diffusa nell'ambiente del cinema italiano: «Invidia? - ribatte l'autore - Non so, mi hanno detto che è molto forte anche nell'ambiente degli odontoiatri». Le lavorazioni dei film sono i luoghi dove gli attori si mettono alla prova, svelando le loro insicurezze. Dopo aver rivisto la sequenza in cui Michael Caine, in Youth, si rivolgeva alla moglie malata e mentalmente assente, Sorrentino ricorda: «Abbiamo ripetuto la scena 15 volte, Michael cominciò a sbagliare, era arrabbiato con sé stesso».
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Niente a che vedere con Rachel Weisz, che, nello stesso film, «pronunciò il suo monologo nuda coperta di fango, all'inizio delle riprese, senza fermarsi e senza sbagliare, un'attrice meravigliosa». Il finale è riservato a un episodio lontano, a un Sorrentino giovanissimo, pronto a tutto pur di avvicinarsi al mondo del cinema: «Mi avevano chiesto di fare la guardia a un proiettore, si girava a Napoli, di notte, faceva un freddo cane. Non ne potevo più, quando finalmente arrivò qualcuno a darmi il cambio, decisi di correre subito dai produttori, Angelo Curti e Nicola Giuliano, per dirgli che volevo smettere, che me ne volevo andare. Prima che parlassi, mi dissero che avevano visto il mio corto e che non era male. Sono rimasto».
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