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    MOU CONTRO SARRI, GLI OPPOSTI CHE S’INFUOCANO – IL DERBY ROMA-LAZIO DI DOMANI È SOPRATTUTTO LA SFIDA TRA DUE ALLENATORI AGLI ANTIPODI. GIANCARLO DOTTO: “DUE SOGGETTI ESTREMI. DIVERSI CHE PIÙ NON SI PUÒ. L’INTELLIGENZA TUTTA ESTROVERSA E LAVICA DEL PORTOGHESE CONTRO QUELLA INTERIORE, SCONTROSA E LAICA DEL TOSCANO – MOU SA COME FARSI AMARE E SA COME FARSI ODIARE. SA ENTRARE NELLA TESTA DEI SUOI, COME UN SANTO O COME UN DEMONIO. A SARRI NON GLIENE FREGA NIENTE DI FARSI AMARE O ODIARE. LUI NON SA ENTRARE ALTRO CHE NELLA PROPRIA TESTA”


     
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    Giancarlo Dotto per “La Gazzetta dello Sport”

     

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    La sensazione? Il derby di domani è materia infiammabile, a cominciare dalle panchine. Due soggetti contro. Due soggetti estremi. Diversi che più non si può. L’intelligenza tutta estroversa e lavica del portoghese contro quella interiore, scontrosa e laica del toscano.

     

    Prendi l’ultimo giovedì di coppa. Le cose vanno male all’Olimpico, la Roma è una tremula donzella sbatacchiata in lungo e in largo dai bulgariani (bulgari più brasiliani), arrivano i primi mugugni dei tifosi, non si sentivano chissà da quanto. Josè Mourinho prima incassa e smaltisce lo sconcerto, poi gli sale il ruggito, lo invade la rabbia. Nel secondo tempo è una furia fotonica, gli occhi da tigre sono una torcia puntata sul campo come un’arma di distruzione.

     

     È la presa del judoka sul nemico, alias circostanze avverse. È lo sciamano che con la sola veemenza dello sguardo pretende di modificare gli eventi, la sconfitta, la testa dei suoi giocatori, possibilmente quella dell’arbitro e degli avversari. Trasformare il campo in un saloon, la partita di calcio in una sarabanda, un mucchio selvaggio dove i bastardi sono più utili dei campioni. Dove i campioni sono preferibilmente anche bastardi.  

     

    MOURINHO HJK Helsinki roma MOURINHO HJK Helsinki roma

    Le cose vanno male a Rotterdam. Lo stadio è una bolgia. Dalle tribune arriva di tutto sulla panchina della Lazio, buste di piscio comprese. Il Feyenoord non merita e vince. Maurizio Sarri, dentro la sua tuta d’ordinanza, prende appunti, passeggia nervoso, continua a masticare e a rimasticare. La sua cicca equivale al suo tormento. La sua postura è quella autistica di allenatori alla Marcelo Bielsa.

     

    Lo sguardo va incidentalmente sul campo e sui giocatori, in realtà sta lì fisso a frugare il suo di dentro, le sue budella, il subbuglio è tutto interiore, intento a montare e a smontare la sua teoria del calcio. I calciatori in campo sono strumenti idonei o meno della sua visione. Della loro psiche e dei loro stati emotivi gliene importa poco, quel poco che gli serve a capire quanto possono essere funzionali al suo calcio.

     

    Ogni partita di Mourinho è un happening. Specie da quando sta alla Roma. Josè spende ogni volta tutto quello che ha e tutto quello che ha è il capitale umano, la disponibilità più emotiva che tecnica o tattica dei suoi giocatori a “morire” non per il suo calcio, ma per lui, lider maximo. Si diceva che Roma fosse il suo tramontante viale. Topica colossale. Roma, città dei gladiatori, è il suo habitat naturale.

    mourinho sarri mourinho sarri

     

    Mou ha trovato pane e circo per i suoi denti. I tifosi ai suoi piedi e, se li interroghi, nemmeno sanno bene il perché. Mou non è un allenatore è Cagliostro, un fenomeno da ipnosi collettiva. Le sue squadre stentano, balbettano, giocano male? Qualsiasi altro allenatore sarebbe (è stato) barbaramente lapidato. Lui no. Lui può. Lui ha la straordinaria dote del pifferaio magico di Hamelin. La gente lo segue, e non importa se si è bambini o topi, se si va al Colosseo a esultare o ad affogare.

     

    Maurizio Sarri spende tutto quello che ha e tutto quello che ha è il capitale del suo calcio. Il calcio è il suo gioco. La sua ossessione. La sua applicazione morbosa. Le geometrie palla a terra, i triangoli, come si esce negli spazi larghi e come si entra in quelli piccoli.

     

    maurizio sarri maurizio sarri

    Sono due allenatori di successo ma, in un gioco ipotetico di vite e di mondi paralleli, Mou sarebbe potuto essere tante altre cose, il leader carismatico e anche un po’ sanguinario di una setta, di un esercito di mercenari o di una gang, ma anche un formidabile imbonitore da piazza o l’eminenza grigia e un po’ sinistra di corte, a Versailles o a San Pietroburgo.

     

    Sarri? Un monaco eremita in tonaca e sandali che pesta la polvere, si nutre di bacche e di visioni, ma anche un grigio e onesto bancario che consuma nel segreto della sua stanzetta le sue manie, un sarto o un serial killer che sezionano le loro stoffe o le loro vittime in tante geometriche figure, rombi e triangoli. 

     

    sarri mourinho sarri mourinho

    Quello di Sarri è un calcio da guerriglia, lieve, intenso e letale, ama i piccoletti funambolici che agiscono rapidi e fanno male come un’orchestra di tupamaros. Mourinho è per la guerra, stravede per la fisicità, i giganti omerici che vanno impavidi allo scontro. Ha trasformato Zaniolo in una specie di Sigfrido cui non basta vincere, vuole strappare il cuore dei nemici. Entra lui e la Roma diventa una banda metal, solo tamburi e suoni acidi.

     

    Mau enuncia pubblicamente il suo maestro, Arrigo Sacchi. E quelli che discendono da lui, a cominciare da Guardiola. Mou non lo enuncia perché non ritiene di averne uno. Esiste il “sarrismo” in quanto teoria decifrabile e riproducibile, non esiste il “mourinhismo”. Mourinho nasce e muore con lui.

     

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    La storia del Josè Mourinho allenatore potrebbe essere scandita dall’elenco dei suoi titoli ma, ancora di più, dalla successione dei “suoi” giocatori, i favoriti del suo harem. La sua sporca dozzina. Da Maniche del Porto, prima ripudiato e poi prediletto, a seguire. In ordine sparso. Drogba, Ibra, Azpilicueta, Terry, Lampard, Stankovic, Materazzi, Sneijder, Harry Kane, tanti altri. Matic se l’è portato alla Roma. Pellegrini e Mancini gli ultimi. “Ho lottato con i miei fratelli in campo”, ha detto Pellegrini giovedì sera. “Siamo fratelli”, “siamo una famiglia”.

     

    Mou plasma anche la lingua dei suoi adepti. Da Sarri, neanche sotto tortura, sentirete mai parlare della sua squadra o dei suoi tifosi come di “una famiglia”.

    I fedelissimi di Josè danno l’anima per fare felice il loro profeta. Sono felici della sua felicità. Portano in sacrificio al suo altare la propria testa, prima ancora che quella del nemico. Mou sa come farsi amare e sa come farsi odiare. Sa entrare nella testa dei suoi, come un santo o come un demonio.

     

    giancarlo dotto foto di bacco (1) giancarlo dotto foto di bacco (1)

    A Sarri non gliene frega niente di farsi amare o odiare. Lui non sa entrare altro che nella propria testa. I suoi giocatori non vogliono la sua felicità, gli basta la propria. Sarri è felice, a modo suo, quando riconosce i suoi calciatori felici come creature, meglio ancora ebbri, di giocare il suo calcio. Non ci si affeziona a Sarri, ma alle sue invenzioni di calcio.   

    Josè è un uomo di mondo, sa essere special ovunque, perché ovunque va ripropone la sua legge, il suo verbo, la sua geniale dittatura. L’alternativa è chiara dal primo giorno: non puoi che essere con me o contro di me.

     

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    Sarri si accorge a malapena del mondo che è fuori dal suo straccio di tuta e dalla sua ciminiera di fumo. Il mondo è il suo mondo. Tutto ciò che lo distrae è un fastidio. Prova ad adattarsi. Ci ha provato. Alla Juventus e poi al Chelsea. Ma non ha funzionato. Ha provato a infilarsi giacca e cravatta, ma non era più lui. Alla corte degli Agnelli era un pesce fuor di tuta. La tuta è lo specchio della tua anima, la transizione felice in cui, direbbe il filosofo Jean Paul Sartre ma anche il sarto Valentino, l’essere e l’apparire sono la stessa cosa. La tuta è per lui come  i mutandoni per Caterina de’ Medici e lo smoking per James Bond.

     

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    Mou adatta il suo sembiante. A Milano era molto chic e griffato, a Roma più casual e plebeo. Sarri ha bisogno di essere ovunque se stesso, brutto, sporco e cattivo. Di somigliare a uno spinone sempre un po’ torvo, incazzato e qualche volta blasfemo. Ha dichiarato anche in questo caso il suo maestro, Charles Bukowski. Fosse stato in doppiopetto e con la barba bella rasa non avrebbe mai dato del “finocchio” a Mancini.

     

    Mou usa volentieri il sarcasmo. Ci sa fare. L’ultima, giovedì sera a fine partita (“La Lazio è favorita per vincere la Conference Cup, l’unico problema è il signor Tare a cui non piace questa coppa”). È un istrione nato. Sa fondere mirabilmente i suoi umori con la gestione teatrale degli stessi. Sarri è irreversibilmente verace. Napoletano per caso, toscano di adozione, ha la sanguigna inclinazione degli aretini, a partire dal gergo.

     

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    Tra i due, un solo esplicito precedente degno di nota. Il Chelsea-Manchester United del 2018, 20 ottobre. Sarri sulla panchina del Chelsea, Mou su quella dei Red. Rissa più che sfiorata. I londinesi pareggiano negli ultimi secondi di recupero e un assistente di Sarri va a mostrare il pugnetto in faccia a Mou, ancora tramortito dal­la delusione. Mou se ne avvede e scatta come una pantera, vuole sbranare l’incauto. Parapiglia e scuse finali. Sarri, va detto, il più attivo nel promuovere la pace. A Roma, fino ad oggi, solo lievi scaramucce ma il sentore imminente delle botte da orbi.

     

    L’unico incidente romano, fin qui, collaterale e indiretto. Un sabotaggio notturno. Il fumo sputato dalla bocca eolica di Sarri, noto nicotine-addicted, che cancella la faccia da Casanova di Mou nel celebre murale testacci­no di Harry Greb, lo street artist. Che sia l’antefatto di qualcosa di grosso? Magari domani?

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