1 . VIDEO - IL TRAILER DI ''MUCH LOVE'' DI NABIL AYOUCH
2. MAROCCO SENZA VELO
Vanna Vannuccini per Il "Venerdì di Repubblica"
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Quando scende la notte a Marrakesh, la città appartiene a loro. Noha, Soukaina e Randa sono tre marocchine (poi si unirà a loro Halima, una ragazza venuta dalla campagna dopo che si è accorta di aspettare un bambino dal fidanzato che l’ha abbandonata), giovani, risolute, con tanta voglia di vivere.
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Per essere libere, vendono i loro corpi. Mantengono intere famiglie che senza di loro vivrebbero nella più squallida miseria. C’è chi ha un figlio piccolo che ha affidato alla madre, chi un fidanzato drogato. Ma il ritratto che ne fa Nabil Ayouch, il regista di Much Loved – nei cinema italiani dall’8 ottobre – non è quello di vittime piegate da un destino che non ha nulla in serbo per loro. Noha, Soukaina e Randa sono determinate, ribelli, rispecchiano una nuova generazione di giovani nordafricane che non vogliono più sottostare ai ruoli assegnati alla donna.
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Di prostitute di gran carattere è pieno il mondo e anche lo schermo. Basterebbe ricordare Mai di domenica di Jules Dassin, dove Melina Mercouri era una prostituta libera e indipendente che coi clienti aveva anche rapporti di amicizia, e la domenica usciva spesso con loro seppur mai per lavoro. Ma per il Marocco, e per tutto il mondo islamico maghrebino, questo è un film importante. Polverizza molti tabù. Fa vedere scene abbiette in cui le prostitute sono trattate come pezzi di carne da straricchi clienti sauditi o dalla polizia marocchina corrotta (e non molto meglio da ipocriti europei che si sentono superiori).
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Denuncia il disprezzo per le donne nel mondo arabo: «Mentono tutte, puttane e sante. Le nostre sono come la carne sui questi piatti. Morte», dice un cliente saudita durante una cena. Mostra la miseria dietro le coulisse grandiose di Marrakesh, ma di miseria in Marocco non si può parlare: Il pane nudo, il romanzo del suo più famoso scrittore, Mohamed Choukri, che ha raccontato la paura, la brutalità senza alternative dei poveri e le violenze della polizia, è stato vietato fino al 2000, pochi anni prima della morte dello scrittore.
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Anche Much Loved è stato subito messo al bando, prima ancora di essere visionato dall’apposita commissione che autorizza l’uscita dei film. Sono bastate alcune immagini postate su YouTube, e cliccate in pochi giorni da sette milioni di persone, perché il film fosse vietato e accusato di danneggiare l’immagine del Paese e quella delle donne marocchine.
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Quelle immagini su YouTube hanno diviso il Marocco in due schieramenti: da una parte chi ha difeso il regista, organizzato manifestazioni di solidarietà e in difesa dello stato di diritto; dall’altra commenti pieni di odio, richieste della pena di morte per Ayouch, e incitamenti alla violenza contro gli attori. Loubna Avidar, l’attrice che interpreta Noha, è stata minacciata, e l’attore che nel film è un saudita omosessuale, aggredito a Casablanca e ferito alla gola.
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Eppure il Marocco si sforza di essere un Paese relativamente liberal, almeno a proposito dei diritti delle donne, tanto che nel resto del mondo arabo viene considerato all’avanguardia quando si parla di sesso, amore e matrimonio. E non c’è dubbio che da quando è salito al trono re Mohammed VI, quindici anni fa, molto è cambiato rispetto a gli «anni di piombo» del padre Hassan II.
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Il nuovo diritto di famiglia proibisce le nozze forzate, fissa l’età del matrimonio a 18 anni e rende praticamente impossibile la poligamia maschile consentita nell’Islam. Con un escamotage. Siccome il Corano obbliga il poligamo a trattare tutte e quattro le mogli «nello stesso identico modo» (sul piano economico come su quello emotivo e sessuale) l’interpretazione marocchina è che, essendo questa parità umanamente irraggiungibile, meglio rinunciare alla poligamia che disobbedire a un comandamento del Corano.
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Le riforme di Mohammed VI, sposato con una ingegnere informatica, avevano risvegliato molte speranze. Così molte registe hanno girato film sul machismo marocchino, le scrittrici s’impegnano sul percorso iniziato dalla grande dame del femminismo marocchino, Fatima Mernissi. Discorsi che valgono, però, solo tra le élite delle grandi città, lontano da lì il Marocco resta un Paese profondamente tradizionale, dove la povertà e l’ignoranza impediscono ogni cambiamento di mentalità.
Ed è quello che racconta Much Loved. Il film inizia quando, scesa la notte, Noha, Soukaina Randa e Halima escono di casa per andare a un party di nababbi sauditi dove, dopo aver bevuto, ballato, appagato i clienti e lusingato il loro ego maschile, raccatteranno i bigliettoni che i sauditi gettano per terra per divertirsi a farle strisciare. Tra loro, in macchina, parlano con un linguaggio crudo.
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«So fare un otto con il culo» dice una. Un’altra usa la Coca Cola per arrestare il flusso mestruale. Perfino Said, l’autista che notte dopo notte le scorta da un festino a un altro, da un club a un albergo, prima di riportarle a casa alle prime luci dell’alba, è turbato dal loro modo sboccato di parlare. «Come vuoi che ti parli, in poesia?» gli ribatte sarcastica Noha.
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«È soprattutto la violenza verbale che ha provocato la censura» ha detto Noureddine Sail, direttore del Centro cinematografico marocchino. Ma per Noha, Soukain e Randa l’impudenza è un modo per difendersi dal mondo violento che le circonda, una strategia per non soccombere. Dietro c’è tutta l’impotenza, la solitudine, la mancanza di amore che segnano le loro vite. Perfino dalle famiglie che mantengono non sono amate, il loro è un denaro haram, infetto, e hanno la sensazione di non fare mai abbastanza per meritare qualcosa.
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La sola vera famiglia sono loro, ed è commovente come riescono a proteggersi, a crearsi piccoli spazi di libertà, a sognare che qualcuno si prenda cura di loro o che ci sia un padre da raggiungere in Spagna. Storie di finzione che raccontano la realtà in modo preciso.
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Tant’è che proprio in questi giorni il ministero della Sanità a Rabat ha rotto il tabù sull’esistenza della prostituzione pubblicando per la prima volta un rapporto in cui dà atto dell’esistenza di 19 mila prostitute in quattro grandi città (Rabat, Fez, Tangeri, Agadir). E anche se nel rapporto vengono lasciate fuori proprio le capitali della prostituzione, Marrakesh e Casablanca, qualcosa si muove. Una piccola soddisfazione per il regista Nabil Ayouch che finora era conosciuto in Europa per il film Cavalli di Dio, sui terroristi dell'attentato del 2003 a Casablanca.
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