Giampiero Mughini per Dagospia
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Caro Dago, uno che fra duecento o trecento anni non avesse niente di meglio da fare che cercare di capire quale tipo di società fosse la nostra (anni Venti del terzo millennio) e quali tipacci ci vivessero, non dovrebbe fare a meno di censire e studiare le immagini tramesse a fiotti via WhatsApp.
Ne parlo perché mentre mi è stato facile schivare ogni tipo di comunicazione via Facebook, Instagram e Twitter – e questo per il semplice fatto che non appartengo a nessuno di quei gentlemen’s club – non posso far nulla per schivare le centinaia di post che mi arrivano via WhatsApp da persone che conosco e da molte che non conosco.
Quel che mi sfugge è il perché di tali invii, che immagino avvengano sulla base di una mailing list e già per questo offensivi.
Ancora ancora capisco l’ansia di promuovere qualcosa del proprio lavoro, un libro o una ospitata televisiva. Per essere un peccato è un peccato veniale ed è umano che siano così tanti che lo compiano. (Chi mi conosce sa che nemmeno sotto tortura annuncio a qualcuno l’arrivo di un mio libro aut similia.)
videochiamata whatsapp
Ma quegli altri post? Le immagini di una pietanza su cui il mittente del post sta evidentemente per avventarsi. Le innumerevoli immagini di paesaggi, crepuscoli, alberi che campeggiano sotto il cielo, visioni della città da una terrazza. Il proprio volto in primo piano con un’espressione beata, la beatitudine di uno che nientemeno s’è fatto un selfie e gli è venuto così bene.
C’è uno che conosco appena e che mi manda foto di lui bambino, reputa forse che sono un pedofilo? Tante le immagini familiari, immagini di cui me ne strafotterei altissimamente persino se fossero della mia famiglia, e del resto io una famiglia l’ho avuta a stento quando avevo sedici o diciassette anni e poi mai più. Naturalmente qualche eccezione c’è e merita una citazione, il mio amico Bellagamba da Orvieto mi manda stupende foto in bianco e nero di gambe femminili che più insinuanti di così non si potrebbe.
Mi inginocchio innanzi a queste immagini, così come mi inginocchio alla memoria di George Floyd, il nero americano barbaramente assassinato da un poliziotto o forse sarebbe più semplice e esatto dire “da un criminale”. Beninteso tutto farei fuorché inginocchiarmi in memoria di Floyd a favore di una macchina da presa.
Quel gesto lo farei dentro la mia testa, dentro la mia anima, com’è di tutto quello che accade nella mia vita. Dove non accade nulla ma nulla ma nulla che meriti di essere fotografato e consegnato all’occhio del mondo. Nulla.
GIAMPIERO MUGHINI
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