Giampiero Mughini per Dagospia
giampiero mughini
Caro Dago, premesso che l’apparizione sugli schermi televisivi deve essere garantita a tutti e vi devono essere rappresentate tutte le opzioni politiche, confesso di non avere visto la puntata della striscia televisiva di Marco Damilano in cui lo scrittore francese Bernard-Henry Lévy ha tuonato contro le destre italiane e contro la loro probabile vittoria politica.
Naturalmente non mi associo alla polemica dell’Usigrai che non perde occasione per vantare che di geniali giornalisti “interni” alla Rai ce n’è caterve e che non c’è alcun bisogno di invitare degli “esterni”. Vorrei ben vedere che la Rai fosse una specie di Fort Alamo che nessun giornalista o intellettuale proveniente da fuori può violare. Ben vengano i Bernard-Henry Lévy se hanno qualcosa da dire e da aggiungere. Ovvio che poi dovrà essere chiamato un altro - possibilmente di pari grado - che testimoni posizioni opposte a quelle di Lévy.
DAMILANO BERNARD HENRY LEVY
Solo che il punto è proprio questo. Non c’è nessuna prova tangibile che Lévy conosca bene la situazione italiana. Lo dimostra a tutta forza il fatto che lui sia stato tra gli intellettuali “parigini” più accaniti nel difendere il destino di un criminale pluriomicida quale il terrorista rosso Cesare Battisti, uno che ai loro occhi splendeva di luce propria per avere scritto un paio di romanzi gialli non cattivi da leggere.
Quegli intellettuali francesi non sapevano nulla di nulla, credevano che Battisti fosse un martire della causa del proletariato che la polizia e la magistratura italiano perseguitavano. Del resto è così che in Francia hanno accolto (con il padrinato di François Mitterrand) un bel po’ di assassini del terrorismo rosso che nel frattempo hanno i capelli bianchi, corpi malandati, e che forse a questo punto andrebbero lasciati dove sono: e questo perché nella fattispecie la magistratura italiana non sta perseguitando nessuno ma solo facendo il proprio dovere.
CESARE BATTISTI
C’è stato un tempo nei caffè intellettuali parigini in cui a credere che in Italia il centro del mondo fosse “Il Manifesto” (il quotidiano di cui sono stato uno dei dodici fondatori e da cui mi sono dimesso dopo tre mesi) e i suoi (notevoli) intellettuali. Così come l’Italia politico-intellettuale spiava ogni mossa di Jean-Paul Sartre e niente affatto di Raynond Aron (che in fatto di analisi del reale lo sovrastava), così a Parigi era grande il risalto intellettuale di una Rossana Rossanda (che qui ricordo con affetto), non certo di Norberto Bobbio di Renzo De Felice tanto per citarne due.
Tutto questo per dire di non cadere nel provincialismo di andare a cercare fuori dai nostri confini qualcuno che non ha assolutamente nulla da dire sulle nostre vicende e sui nostri guai. Che sono tanti.
bernard henry levy giampiero mughini
cesare battisti
GIAMPIERO MUGHINI