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    LA VERSIONE DI MUGHINI - "SULLA QUESTIONE (IN ITALIA DIMENTICATISSIMA) DELLE “FOIBE” LEGGO LE PUTTANATE DI VAURO. VEDO CHE ALLA FOSSA DI BASOVIZZA, ALCUNI DEL PD SI SONO TIRATI INDIETRO MENTRE PARLAVA GASPARRI. IERI A “QUARTA REPUBBLICA” LA STESSA GIORGIA MELONI (CHE PURE È PERSONA CIVILE) HA FATTO PIUTTOSTO UN COMIZIO CHE UNA COMMEMORAZIONE. OVVIAMENTE SU UNA TALE TRAGEDIA IO MI AUGURO DI..."


     
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    Giampiero Mughini per Dagospia

     

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    Caro Dago, sono reduce da una puntata di “Quarta Repubblica” abilmente condotta da Nicola Porro dov’era al centro la questione (in Italia dimenticatissima) delle “foibe” dove gli italiani vennero massacrati a migliaia “a dove coglio coglio” da furenti partigiani comunisti jugoslavi. In studio c’erano dei civilissimi congiunti di italiani che un giorno erano stati prelevati dai titini e di cui loro non seppero mai più niente. Uno di quei congiunti era stato un capostazione, un altro un poliziotto.

     

    Leggo oggi le puttanate pronunciate in materia da Vauro, non sono né le prime né saranno le ultime della sua vita. Vedo che innanzi alla fossa di Basovizza, alcuni esponenti del Pd si sono tirati indietro mentre parlava Maurizio Gasparri perché reputavano che stesse facendo della propaganda politica e non un’asciutta commemorazione. Ieri a “Quarta repubblica” la stessa Giorgia Meloni (che pure è persona civile) ha fatto piuttosto un comizio che una commemorazione.

     

    Mi sono ricordato di me giovane apprendista giornalista nella redazione del quotidiano comunista romano “Paese Sera” dove c’era un giornalista di una ventina d’anni più grande di me che era stato un partigiano italiano dalle parti di Trieste. Lui teneva in casa una foto del maresciallo Tito a modo di cimelio. La lacerò quando Tito (e fu una delle sue mosse più geniali, aggiungo io) ruppe con Mosca. Ricordo fra le mie letture più commoventi la lettera che il partigiano liberale Guido Pasolini manda al fratello maggiore Pier Paolo dicendogli quanto lui sia distante dai partigiani comunisti che gli sono attigui, e che se fosse per loro darebbero Trieste e tutto quello che c’è intorno ai “compagni” jugoslavi.

     

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    Lui e altri partigiani della Osoppo verranno poi massacrati da una gang di delinquenti comunisti capeggiati da “Giacca”, uno di cui non so perché Sandro Pertini lo avesse graziato e fatto destinatario di una pensione pagata dalla Repubblica italiana (“Giacca” viveva in Jugoslavia). Quanto al massacro di quelli della Osoppo, fra cui lo zio del mio fraterno amico Francesco De Gregori, Francesco mi ha raccontato che andò suo padre a fare il riconoscimento del cadavere straziato del fratello. Un bel groppo di questioni.

     

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    Ovviamente su una tale tragedia io mi auguro piuttosto che di ascoltare dei comizi, di leggere bei libri ricchi di fatti accertati, di nomi e cognomi, di spiegazioni esaurienti del prima e del dopo. E’ verissimo che lo strazio delle foibe è anch’esso una eredità di come il fascismo trattò la minoranza slovena.

     

     

    E’ verissimo che sono infiniti i casi di sopraffazione di quella minoranza durante un ventennio; nel mio libro su Italo Svevo avevo ricordato il caso di quella ragazzina che a scuola era stata appesa per le trecce perché aveva pronunziato alcune parole in lingua slovena. Di certo quando il nostro esercito operò nei territori sloveni si comportò né più né meno da esercito invasore, bruciando e fucilando. I nostri padri (i padri della mia generazione, il mio come quello di Pigi Battista) qualcosa in proposito ci sussurravano. E dunque studiare studiare studiare.

     

    Detto questo la tragedia dell’italianità in quelle terre è stata immane. Sono stati girati dei film sulle “quattro giornate di Napoli”, che in tutto e per tutto consistettero in qualche sparatoria sui tedeschi che stavano battendo in ritirata. Mai un cenno sul fatto che a Trieste, dove da un lato stavano arrivando gli inglesi e dall’altro stavano entrando i partigiani titini i quali lo gridavano forte e alto che volevano papparsi Trieste, il genero di Italo Stevo guidò un’insurrezione disperata di patrioti italiani che volevano parare la prepotenza dei titini.

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    In quelle tre giornate di lotta cadde l’ultimo dei tre nipoti di Svevo, gli altri due erano morti durante la sciagurata campagna di Russia. C’è un’abbondante letteratura triestina et similia che racconta quelle giornate in cui i titini spadroneggiarono a Trieste. Trieste tornò ad essere nostra ben nove anni dopo, nel 1954. Perdemmo però l’Istria, la Dalmazia, terre in cui il segno dell’italianità era dominante, assolutamente dominante, imparagonabilmente dominante, e lo dico con tutto il rispetto per gli sloveni di ieri e di oggi.

     

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    Circa 350 mila nostri connazionali salirono sui treni e sulle navi della fuga forti di una valigia e basta, un esodo biblico, e mentre i giornali ufficiali del comunismo nostrano li trattavano da fascisti. I sindacati delle ferrovie scioperavano contro i loro convogli e a Bologna, è raccontato in uno dei migliori libri su quella tregenda, impedirono ai padri di scendere dal treno e raccogliere dell’acqua per i loro figli assetati. La voce di quei 350mila e dei loro figli purtroppo è ancora fievole nel sentimento comune dell’Italia odierna.

     

     

     

    GIAMPIERO MUGHINI

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