Giampiero Mughini per Dagospia
giampiero mughini
Caro Dago, che Francesco “Pupone” Totti sia stato una eccellenza sportiva (calcistica) dell’Italia degli ultimi vent’anni non c’è il minimo dubbio. Difficile trovare tra gli atleti che battono la palla coi piedi uno che fosse alla sua altezza nell’azzeccare il punto di impatto con la palla, nell’imprimerle traiettoria e potenza, nell’indirizzarla ovunque lui volesse, nel rendere impossibile al portiere avversario la parata.
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Non era velocissimo di gambe ma lo era di pensiero, e poi in quella zona del campo dove sostava lo faceva al modo di un imperatore. Solo che questa eccellenza non tutti gli italiani la gustavano e ne approfittavano allo stesso modo. Per i romanisti era un romanzo pressoché quotidiano dedicato alla Bellezza Infinita. Per tutti gli altri italiani era una rappresentazione da gustare poche volte in un anno e a meno che uno non facesse di mestiere il giornalista sportivo. Io che guardo il calcio per piacere e non per dovere, Totti lo vedevo giocare quattro o cinque volte in un anno, non di più. Quelle poche volte gustavo le sue mirabilie, non di più.
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E’ ben diverso che non per un mio caro amico come Francesco De Gregori, romanista quanto di più fervido, uno che cambia espressione del viso e tono della voce quando parla di Totti. Ai suoi occhi la conferenza stampa di ieri - quella in cui Totti ha annunciato di dimettersi dall’Associazione Sportiva Roma e che le future partite della Roma andrà a vederle in curva assieme al suo amico Daniele De Rossi -, aveva qualcosa di “shakesperiano”. E io gli do ragione, anche perché Totti ha di per sé una maschera degna del grande teatro. Lo adoperassero come si deve in un film di qualità, farebbe concorrenza a tipini come Robert De Niro.
Detto questo nessun italiano che non sia romanista può intendere a fondo la “Totteide” che sta sconvolgendo gli animi di cittadini romani a milioni. Loro Totti lo hanno avuto innanzi agli occhi, o meglio installato nella loro anima, giorno dopo giorno, anno dopo anno, partita dopo partita, meraviglia balistica dopo meraviglia balistica.
giampiero mughini
Non era così per noi tutti, anche perché fuori dal campo della Roma e dei suoi matches Totti non è che rifulgesse così tanto. Ahimé. In nazionale è stato raramente un protagonista, a parte il famoso e decisivo rigore calciato al Mundial del 2006. Mai, dico mai, Totti è entrato nelle top ten relative al Pallone d’Oro europeo. Una volta in tv e tanto per fare una battutaccia (a me Totti piace moltissimo umanamente), gli dissi che lui era un campione che rifulgeva agli occhi degli abitanti del Testaccio, molto meno fuori da lì. Lui se ne adontò, e se è per questo ancora gli chiedo scusa della battutaccia.
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“Le bandiere non passano”, ha detto Totti nella sua conferenza stampa. E mi immagino il tumulto nelle anime dei romanisti a sentire queste parole. E qui non ci siamo davvero. Ogni campione, ogni atleta sa che c’è un momento in cui la faccenda finisce. Un pomeriggio di un giorno qualsiasi dei suoi 33 anni, alla fine della partita domenicale, Giampiero Boniperti si avviò verso quello che governava lo spogliatoio della Juventus e gli diede le sue scarpe da football: “Tieni, a me non servono più”. C’è stato un giorno in cui Bolt ha finito di correre i cento i metri, in cui il cestista americano Michael Jordan (“il più grande atleta nordamericano del XX secolo”) ha smesso di balzare lassù in cielo dalle partite del canestro, in cui Michel Platini ha smesso di indossare i pantaloncini da corti da giocatore di calcio.
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I tifosi romanisti non ne vogliono sapere. Non se ne danno pace. Per loro Totti avrebbe dovuto scendere in campo ancora all’infinito, e anche se nelle ultime partite da lui giocate la zona di campo in cui lui si muoveva non era più ampia della vostra sala da pranzo. Quanto alla sua caratura da dirigente (un ruolo per cui comunque gli “americani” gli hanno versato in un anno 600mila euro), non era detto che ne avesse una. Sei stato un grande colpitore di pallone con i piedi, non è detto che tu sia un grande dirigente. Luciano Moggi e Fabio Paratici con i piedi non sapevano far nulla.
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Altra cosa è dire ad alta voce che l’attuale dirigenza “americana” della Roma è stata maldestra e talvolta persino volgare nel gestire il fine carriera di due campioni come Totti e De Rossi. Sicuro che lo è stata. D’altra parte anche questo è uno specchio dell’Italia del terzo millennio. Non è un caso che a Roma non ci sia più una famiglia come i Sensi, una famiglia che si dissanguò per fare grande l’Associazione Sportiva Roma. In tutto e per tutto c’è un proprietario italoamericano che ci spera proprio di costruire lo stadio in quel di Roma. Le bandiere purtroppo passano, così come i sogni. Eccome se passano. Ciao, Totti. Ciao, grande campione.
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