Estratto dell'articolo di Melania Rizzoli per “Il Giornale”
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Ogni santo giorno dimentichiamo molte cose, da dove abbiamo messo le chiavi dell’auto a cosa abbiamo mangiato la sera prima, ma alle prime note musicali di una canzone non solo la riconosciamo immediatamente, anche se non l’avevamo più ascoltata da molti anni, ma ricordiamo alla perfezione la melodia e il testo dall’inizio alla fine.
La musica infatti, ha da sempre un posto privilegiato nella nostra memoria, nella cui impalcatura neuronale resta impressa in eterno insieme alle parole, al ritmo e al suono degli strumenti, e basta rievocarne un brano per farla riemergere dai meandri più nascosti della nostra mente.
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Uno dei motivi principali di questa memoria permanente è che la musica è fondamentalmente emotiva, ed i suoi contorni melodici, la densità delle sensazioni che trasmette, anche quando si è distratti da altro, restano impresse nelle cellule mnemoniche, poiché gli stimoli emozionali e sonori sono quelli che si riconoscono all’istante.
Il potente legame tra musica e memoria è stato studiato ed analizzato da tutti i neuro-scienziati del mondo, per cercare di comprendere come fosse possibile richiamare alla mente, allo stesso modo della musica, tutti i ricordi che invece vengono dimenticati o addirittura cancellati nei malati affetti da patologie neurodegenerative, nonostante essi siano impressi nelle stesse zone cerebrali di quelle della musica [...]
Lo studio della musica nel campo delle neuroscienze infatti, è stato incoraggiato dal fatto che i pazienti con malattie neurovegetative gravi [...] erano invece in grado di ricordare melodie familiari, e l’ascolto di quel suono facilitava non solo il richiamo di alcune emozioni della sfera espressivo-comunicativo-relazionale, ma era in grado di attivare il sistema dopaminergico della gratificazione, considerato uno strumento fondamentale per la riabilitazione e il recepimento dei segnali dall’ambiente esterno.
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In pratica è stato accertato che le musiche più conosciute, quelle impresse nella memoria autobiografica, tendono ad essere accessibili anche nelle fasi avanzate della malattia neurodegenerativa, persino quando il grado di atrofia dei lobi cerebrali appare seriamente compromesso agli esami radiologici.
In generale, nel globale indebolimento della elaborazione razionale ed emozionale dei pazienti dementi, con prestazioni deficitarie in tutte le competenze, quelle con connotazione emotiva, come gli stimoli musicali, venivano immediatamente riconosciuti e riattivati.
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[...] Nella storia della musica si racconta che il compositore Ravel, scrisse il magnifico Bolero mentre era ormai in fase di avanzata demenza, e lo compose come una ripetizione ossessiva in aumento , come fosse un mantra della sua patologia progressiva, che poi divenne invece il suo punto di più alta fascinazione.
Per non parlare di Nietzsche, anche lui divorato dalla demenza, che suonava il pianoforte piangendo e producendo musica eccellente, senza spartito, estrapolata dalle sue condizione mentali, conservando intatte competenze fondamentali quali l’intonazione, la sincronia ritmica e la tonalità, mentre lontano dalla musica mostrava inesorabilmente tutti i disturbi del comportamento derivato dal deterioramento cognitivo causa della sua malattia. [...]
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