Gianluca Veneziani per “Libero Quotidiano”
ANTONIO SCURATI - M IL FIGLIO DEL SECOLO
C'è un fantasma che si aggira per le librerie, i musei e i cinema d'Italia. Ha la testa rasata, la mascella volitiva, il fiero cipiglio, qualche migliaio di sostenitori e milioni di persone che continuano a parlare di lui, nel bene e nel male.
Alcuni di questi scrivono anche di lui, sedotti dalla sua figura, ossessionati dal suo ricordo, arrabbiati per come visse e quello che combinò, o insospettiti dal modo in cui venne ammazzato, terrorizzati all' idea che possa tornare, in ogni caso affascinati dalla sua vita, la sua morte e le sue opere.
In un periodo storico in cui non si fa che esecrare il regime fascista e il ricordo di Mussolini, paradossalmente fioccano ovunque opere che ricostruiscono la biografia del Duce, se ne esibiscono le tracce in mostre artistiche e si cerca di ridargli vita e voce attraverso dei film, alimentando un' industria culturale incentrata sulla sua persona.
benito mussolini
Se non tenessimo conto di questa fascinazione generale, forse inconfessata, non potremmo spiegare il successo di un libro come M. Il figlio del secolo (Bompiani, euro 24) di Antonio Scurati, la prima biografia romanzata sul Duce, un'opera monumentale che vanta, solo nella prima parte, la bellezza di 848 pagine.
Il volume di Scurati ha alcuni meriti indiscussi che gli hanno permesso di diventare nell'ultima settimana il libro più venduto in Italia: il primo è l'ampia documentazione storiografica, che ne fa, pur essendo un'opera di fiction, un libro basato su solide fonti, senza libere invenzioni narrative; quindi l'equidistanza ideologica, professata dallo stesso autore come metodo, il suo non voler prendere le parti né del Duce né dei suoi detrattori;
benito mussolini 2
ancora, la sua capacità di raccontare l'uomo Mussolini e, allo stesso tempo, tracciare i profili di quanti e quante gli stettero accanto o gli diedero contro; infine, i riflettori puntati sul protagonista collettivo di quegli anni, le masse fasciste, di cui si indaga la psicologia, il loro rapporto col capo, sondando la reciproca identificazione tra Popolo e Leader.
Solo se si analizzano questi aspetti di Mussolini, se ne può comprendere il mito, ciò che gli ha permesso di restare nell' immaginario collettivo, di sopravvivere alla sua stessa morte o di rinascere periodicamente, sotto forma di invocazione o di esecrazione, o addirittura di parodia, come è capitato a inizio anno col film di Luca Miniero Sono tornato.
adolf hitler con il re vittorio emanuele iii e benito mussolini
TRASFORMISMO
E il segreto di questa "lunga durata" lo spiega bene lo storico Arrigo Petacco, di recente scomparso, ne L' uomo della Provvidenza (Utet, pp. 290, euro 20): se il Duce riuscì a diventare e a restare qualcuno, fu per la sua sconfinata ambizione, ma anche per il suo spirito di adattamento, per quella "funambolica capacità di trasformarsi" che ne fece lo Zelig della politica: prima rivoluzionario, quindi socialista e pacifista, poi interventista e nazionalista, repubblicano, monarchico e di nuovo repubblicano, capo di un partito e dittatore. Fu tutto Mussolini, come furono un po' tutto coloro che lo sostennero: estremisti di destra e di sinistra, moderati e conservatori, cattolici e anticlericali, industriali e proletari.
Non a torto Mussolini si può definire il primo fondatore di un partito della Nazione.
Con una capacità di visione anche internazionale, altrimenti non si potrebbe spiegare il fitto carteggio con Churchill, con cui il Duce provò a immaginare un epilogo diverso da quello che si sarebbe verificato: ossia uno schieramento unito di forze fasciste e alleate contro il comune nemico, i bolscevichi.
benito mussolini al berghof
Uno scenario poi rinnegato dai fatti e per occultare il quale forse lo stesso Churchill ordinò l' uccisione del Duce, come sostiene il regista Renzo Martinelli nel suo Kill Benito (Gremese, pp. 238, euro 16) che ora vorrebbe trasformare in un film: una revisione della versione ormai acquisita sulla morte di Mussolini e Petacci (la fucilazione a Giulino di Mezzegra), con l' ipotesi che l' esecuzione sia avvenuta altrove e per mano di soldati britannici.
Atti finali di una storia che continua a interessare, perché ad attirare l'attenzione del lettore è ancora il corpo del Duce, l'idea fatta carne, l'immagine dell'Italia riassunta nel suo fisico esibito, ostentato, amato e sacralizzato e, da ultimo, umiliato, esposto al ludibrio, infangato e vituperato.
benito mussolini 1
La storia del Duce è tutt' uno col suo corpo. Come lo è con le sue opere e i suoi misfatti, con le sue azioni nobili di mecenatismo, che lo indussero a costruire un' immagine tangibile dell' Italia fascista e a incentivare la produzione di quadri e sculture, come quelli visibili ora a Cremona nella mostra Il regime dell' arte.
Premio Cremona 1939-1941, a cura di Vittorio Sgarbi e Rodolfo Bona: un' esposizione che recupera i dipinti realizzati per il concorso pittorico voluto da Roberto Farinacci nel '39, e tesi a celebrare lo spirito dell' Italia fascista, da Colonie fluviali di Giuseppe Moroni a Il grano di Pietro Gaudenzi.
benito mussolini
Certo, parlare del Duce vuol dire anche ricordare il suo tentativo di adeguare la produzione libraria al pensiero filo-regime, come sottolinea Giorgio Fabre nel suo Il censore e l' editore (Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, pp. 525, euro 24) sulle pressioni fatte dal fratello di Mussolini, Arnaldo, su Arnoldo Mondadori perché non venissero pubblicati libri incompatibili con gli ideali fascisti, quali i romanzi di Simenon e le opere di Remarque e Dekobra.
ERRORI E ORRORI
otto skorzeny e benito mussolini
O rievocare errori ancora più grandi, come le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei, analizzate da Michele Sarfatti ne Gli ebrei nell' Italia fascista (Einaudi, pp. 428, euro 26). Un clima anti-ebraico di cui pagò le conseguenze anche l'amante del Duce, Margherita Sarfatti, costretta a lasciare l'Italia nel 1938: il suo lavoro di intellettuale e promotrice d' arte viene ora recuperato grazie a una bellissima mostra, in contemporanea a Milano e Rovereto, che espone le opere degli artisti del "Gruppo del Novecento" cui lei diede vita, da Marussig a Sironi, da Funi a Malerba.
LA FIAMMA NERA DI BENITO MUSSOLINI
Altri intellettuali scontarono invece sulla propria pelle l' adesione al fascismo, come Ather Capelli, giornalista e direttore de La Gazzetta del Popolo, ucciso dai gappisti perché considerato «uno dei più ignobili figuri della propaganda fascista»: a lui ora Luca Bonanno dedica un bel saggio, Ather Capelli.
La vita e gli scritti (Ritter, pp. 478, euro 28), che ne ricorda la passione civile e politica, il valore professionale e il rigore etico che lo portavano a dire, ripercorrendo la propria carriera: «Benefici e ricompense, zero. Ma le grandi linee della vita sono quelle che valgono e se i miei anni non sono molti, li ho intensamente vissuti». Frasi che il Duce avrebbe sottoscritto, e di cui avrebbe condiviso il fervore ideale, quella fiamma sacra che porta certi uomini a restare vivi nella memoria, a lasciare tracce e a ottenere successo postumo, quasi a risarcimento del fatto di essere stati dei Vinti nella storia
benito mussolini 11 BENITO MUSSOLINI IN BARCA