1. GENERAZIONE WHO
Angelo Acquaro per “la Repubblica”
PETE TOWNSHEND WHO
Dio salvi la regina: perché fu lei a salvare il rock. Sì, la rivoluzione degli Who comincia un giorno d’estate di cinquant’anni fa per colpa di una macchina fatta spostare dalla Regina Madre. Ok, ok: probabilmente è una leggenda. E naturalmente metropolitana visto il luogo — Belgravia, quartiere nobilissimo di Londra — del misfatto.
Ma perché non crederci? Elisabetta madre che fa rimuovere una Packard 1936 dal suo percorso mattutino perché, dice, quel carro funebre vintage, che le ricorda il funerale del marito, è chiaramente parcheggiato lì per la provocazione di qualche pischello arricchito.
Il fatto poi che quel pischello si chiami Pete Townshend e assieme al cantante Roger Daltrey è il leader degli Who, l’ultima band appena sbocciata nel Regno della beatlemania, beh, sì, in fondo potrebbe anche essere un accidente della storia. Ma come non dare ragione, invece, alla saggezza della cabala? Nulla succede per caso. E infatti.
WHO
«Quell’incidente — scrive Mark Blake in Pretend You’re in a War , “Immagina di essere in guerra”, mai titolo più azzeccato per la biografia di una band così militante — accresce l’ira di Townshend verso la Famiglia reale e il sistema di classe inglese in generale: ”Mi sentii umiliato — ricorderà Pete — . E questo sarebbe il mondo in cui viviamo?”».
E questa sarebbe l’origine di My Generation ? L’arrabbiatura di un signorino della Swinging London per il carro funebre che gli hanno portato via? Dio salvi comunque la Regina. Anche perché così la Regina salvò, involontariamente, il rock, che appena nato già naufragava in una mare di innocui “Yeah Yeah Yeah” e “Sha-La-La-La”.
Concepita in quell’estate, uscita il 29 ottobre del 1965 per dare poi il nome all’intero album di debutto degli Who (3 dicembre sempre 1965) My Generation cambiò davvero tutto. Dice: capisco il buonismo dei Beatles — ma i Rolling Stones? E per carità. Proprio in quegli stessi giorni (I Can’t Get No) Satisfaction metteva in musica — con una trentina d’anni di ritardo — La nausea di Sartre.
who
Ma volete mettere My Generation ? Certo che è sempre la rabbia del singolo: ma per la prima volta in una prospettiva generazionale. “La gente cerca di sminuirci / Per il solo fatto che esistiamo / Ma tutto quello che fa è così orribilmente freddo”. E a ogni frase, a ogni “call”, a ogni chiamata — come nei blues dei primordi nelle piantagioni, come si conviene a questi moderni schiavi (della società), questi “White Negros” che sono diventati i giovani ribelli secondo la felicissima definizione di Norman Mailer — segue sempre la stessa “response”, la stessa risposta: “Talkin’‘bout my generation”. Sto parlando della mia generazione, sto parlando della mia generazione. Fino a quella sferzata che è la strofa finale: “I hope I die before I get old”. Spero di morire prima di invecchiare.
who i am libro di pete townshend
Sì, My Generation è più che una canzone: è un manifesto programmatico, è un invito alla rivolta, è rivoluzionaria perfino nell’uso del balbettio di Roger Daltrey (“People try to put us d-down/ Just because we g-g-get around”), che secondo il neorealismo musicale degli Who è il modo migliore di rendere la parlata anfetaminica dei Mods, i giovani “Modern” che vogliono buttare all’aria l’ancien regime — l’ancien regime, dal canto suo, reagisce come sempre censurando, anche senza sapere bene il perché: la canzone (ricorda Roy Shuker nel suo mitico Understanding Popular Music ) viene bandita dalla Bbc non per il messaggio rivoluzionario ma perché avrebbe ridicolizzato i ragazzi con quell’handicap...
E insomma che botta, che schiaffo, anzi che calcio in faccia all’Inghilterra che da operaia si sta facendo piccolo borghese grazie agli sforzi del governo labourista di Harold Wilson di allargare il welfare state, lo stato sociale, lo stato che proprio in quegli anni cancella la pena di morte, legalizza l’aborto e riconosce l’omosessualità. E no. Ai quattro doctor Who non basta: “Spero di morire prima di invecchiare”.
La storia, per fortuna, li accontenta soltanto a meta. Keith Moon, il batterista che metteva la dinamite nei tamburi (letteralmente, per farla esplodere alla fine degli show) stramazza di droga nell’anno del Signore 1978, pochi giorni dopo l’uscita di Who Are You , l’album che vende di piu — più delle rock opera Tommy e Quadrophoenia, che diventeranno pure due film — e che non riesce a centrare il primo posto in hit parade solo perché lì si pianta la colonna sonora di Grease (O tempora! O mores!).
THE WHO
John Entwistle, il basettone che in My Generation esegue l’assolo di basso più famoso del rock, lo segue quasi un quarto di secolo dopo, 2002, stroncato come un riccone qualsiasi nella suite di un hotel di Las Vegas da una notte di coca e probabilmente qualcos’altro con una fan molto più giovane di lui. Spero di morire prima di invecchiare? Diciamo invece speriamo che me la cavo.
I due sopravvissuti imparano la lezione e oggi eccoli qui a festeggiare il tour — l’ultimo, giurano — del cinquantesimo. Roger è sempre stato il più moderato e a 72 anni ha ancora il fisico asciutto da ex pugile — anche se ha rinunciato a mostrare come un tempo il torso nudo in concerto dopo un rimbrotto del New York Times .
THE WHO ALLA CERIMONIA DI CHIUSURA DELLE OLIMPIADI DI LONDRA
Pete ha chiuso da un pezzo con droghe e alcol: ultima perversione conosciuta, l’accusa piovutagli addosso — proprio a lui, abusato da bambino — dopo che la sua carta di credito sembrava finita in un sito per pedofili. Una sentenza l’ha riabilitato: era solo un sito porno.
I ragazzi che volevano morire prima di invecchiare sono dunque ancora tra noi. E domenica prossima saliranno sul palco inglese di Glastonbury per accendere il festival rock piu prestigioso del mondo e celebrare insieme ai Foo Fighters (quel che resta dei Nirvana di Kurt Cobain) e a Kanye West (il re dell’hip hop oggi mangiatutto) i loro prima cinquant’anni di vita ormai non più spericolata.
PETE TOWNSHEND 2
E My Generation? È ancora tra noi: ma ormai è diventata la generation di tutti. Mine, Yours, Theirs. La mia, la vostra, la loro. Basta vedere i ragazzi di ogni età, dai Baby Boomers ai Millennials, che affollano gli ultimi show.
D’accordo: ogni vero classico è eternamente contemporaneo. Ma gli Who lo dimostrano plasticamente finanche nella presenza scenica: al posto di Keith Moon oggi alla batteria indovina chi c’è? Zak Starkey, il figlio di Ringo dei Beatles, che in questi giorni ha compiuto lui stesso 50 anni. Dio salvi la Regina: a salvarsi, gli Who, ci hanno pensato da soli.
2. BRUCE SPRINGSTEEN: SENZA PETE NON SAREI IL BOSS (E NON AVREI TIRATO QUEL VASO)
bruce springsteen musicares
Discorso pronunciato da Bruce Springsteen al concerto di beneficenza a New York, durante la consegna a Pete Townshend del premio Stevie Ray Vaughan pubblicato da “La Repubblica”
PROPRIO COSÌ, se non fosse stato per Pete Townshend oggi non starei qui a strimpellare sulla mia Fender Telecaster. Era l’estate del ’66 o del ’67, non sono sicuro, comunque era il primo tour americano a cui partecipavano gli Who. Stavo facendo una lunga fila che dalla Convention Hall si snodava lungo la passerella, e sul cartellone c’era scritto, a caratteri cubitali, Herman’s Hermits, poi gli Who.
Ero un adolescente con la faccia piena di brufoli che era riuscito a racimolare abbastanza soldi per andare a vedere il suo primo concerto rock. Pete e gli Who erano adolescenti con la faccia piena di brufoli, un contratto discografico, un tour e una magia acerba e aggressiva.
Suonarono probabilmente non più di trenta minuti prima che Pete, in una nuvola di fumo, distruggesse la sua chitarra sbattendola ripetutamente sul pavimento. Io sapevo solo che per qualche motivo quella musica, vedere quei bellissimi strumenti fatti a pezzi, mi riempiva di una gioia incredibile.
PETE TOWNSHEND
C’era qualcosa di meraviglioso nel distruggere senza alcuna ragione dei beni commerciali. Era la gioia e il senso di vertigine della rivolta, che gli Who riuscivano non so come a esprimere in modo più o meno rassicurante. Io sapevo solo che mi rendevano incredibilmente felice, mi entusiasmavano, mi ispiravano.
Mi ispirarono al punto che con la mia band giovanile — i Castiles: avevo circa sedici anni e quel fine settimana avevamo un concerto nel seminterrato della scuola cattolica Santa Rosa da Lima, per il ballo dell’Organizzazione giovanile cattolica — uscii a comprare un fumogeno e una luce stroboscopica e li portai al concerto. E verso la fine della serata, non avendo cuore di distruggere la mia chitarra — era l’unica che avevo, cercate di capirmi — alla fine della serata accesi il fumogeno nel seminterrato della scuola.
mick jagger pete townshend
Azionai la luce stroboscopica e mi arrampicai in cima al mio amplificatore Danelectro, con in mano un vaso di fiori che avevo rubato da una delle aule al piano di sopra. E con un grande gesto plateale sollevai teatralmente il vaso di fiori, mentre il tremolio accecante della luce stroboscopica mi illuminava, con il fumo tutto intorno, e le suore che mi guardavano inorridite, presi e lo frantumai sulla pista da ballo.
Poi saltai giù dall’amplificatore e calpestai le petunie, infliggendogli una morte precoce. Devo essere sembrato davvero ridicolo, un pazzo. Quel vaso di fiori non aveva la magnificenza della Telecaster nuova di zecca ridotta in mille pezzi, ma questo passava il convento, perciò… Tornai a casa sorridente, sentendo che fra me e Pete Townshend c’era una specie di legame di sangue, e da allora non sono più tornato indietro.
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Crescendo, mi sembrava che la musica degli Who crescesse con me. La frustrazione sessuale, la politica, l’identità. Queste cose mi scorrevano nelle vene con ogni album degli Who che usciva. Mi sono sempre ritrovato in qualche pezzo della loro musica. Per esempio The Seeker : il cercatore è il ragazzo di Born to Run . Non ci sarebbe nessun down in jungle - ba da bam - land , (ritornello della canzone di Springsteen Jungleland , ndt) senza quell’attacco feroce e sanguinario di Pete al suo strumento.
bruce springsteen
Pete è il miglior chitarrista ritmico di tutti i tempi. Ha un ritmo incredibile e ci ha dimostrato che non dobbiamo interpretare nessun ruolo. È una cosa incredibile da vedere, sul serio. Pete è riuscito a prendere il corrotto mondo del rock and roll e a renderlo spirituale, a trasformarlo in una ricerca. Magari non gli farà piacere sentire questo genere di cosr, ma la verità è che lui ha individuato il luogo nobile del rock e non ha avuto paura di andarci.
bruce springsteen in piazza del plebiscito
Mi sono portato dietro molto di tutto questo negli anni. Perciò, Pete, sono qui per dirti, complimenti; e anche per dirti grazie: non solo per Who’s Next , e per Who Are You , ma anche per who I am , per quello che sono diventato io.
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(Traduzione di Fabio Galimberti)
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