Estratto dell’articolo di Natalia Aspesi per “la Repubblica”
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Lo aspettavo, come sempre: sempre uguale da una miriade di anni, un fitto mazzo di fiori, tante rose bianche strette l’una alle altre e nient’altro. Non i grandi mazzi che vanno bene oggi, fiori diversi, strani ed enormi, ma uno classico: rose bianche. Lo aspettavo con la malinconia di chi immagina che questa volta non ci sarà: e non so perché ci tenevo, forse perché di tutti i nomi celebri della moda è il solo che ancora lavora con passione, (mi vergogno a dirlo, come me) come se i 90 anni non lo avessero neppure sfiorato. Invece Giorgio Armani non se ne è dimenticato e, come una scema, mi sono sentita felice per quel mazzo eterno, uguale come a ogni compleanno, un classico che nulla può cambiare.
natalia aspesi
Io non vedo Armani da decenni, forse da quando accompagnava la più bella delle belle, Sophia Loren, la sua magnifica coetanea, a qualche meraviglioso evento, di cui, lo sapevo, a loro non importava nulla. Ma forse lui non sa neanche dei fiori, magari li mandano per abitudine, non importa: però lui resta, e forse ben pochi lo hanno capito, il più oscuro, con tutta la sua storia, il più segreto, quello che ha conservato in sé un dolore antico, mai espresso, mai detto. Il dolore di non andare oltre, di restare chiuso in sé, con tutto il mondo che lo adora.
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[…] adesso Giorgio Armani ha davvero 90 anni! Lo si vede sempre arrivare gentile e camminare solo, seguito dai suoi amici, mentre va ad assistere all’amato basket e fa festa coi giovani tifosi. E io, sorpresa! Essendo persino un bel po’ più vecchia di lui, ne ammiro, con invidia, il modo rigoroso con cui cammina, dentro pantaloni e maglietta blu, solo, perché io lo so, a quella età ci si sente un po’ perduti, appunto molto soli.
Io ho conosciuto Armani a Milano nel 1975: lui, il socio Sergio Galeotti e la geniale segretaria. Avevano un ufficio, due locali in corso Venezia, e stavano preparandosi per la loro prima sfilata, fatta di vestiti tutti uguali di diverso colore, che mi sembravano molto belli. Io ci andai, forse sì, forse no (non ricordo): e il giorno dopo fu il suo trionfo per i giornalisti americani che già lavoravano in un giornale di moda, quello poi che da noi divenne un esempio da cui, perdono, copiare.
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Stava nascendo il prêt-à-porter italiano, che in un baleno cancellò l’alta moda francese, quella dove si andava con un cartellino profumato per tenere lontano chi voleva vedere come i ricchi si vestivano: le povere giornaliste che appunto, povere, l’avrebbero saputo sei mesi dopo. Invece con questo modo onesto di inventare e fare, d ivennero le regine, le gran dame, le adorabili presenze alle sfilate.
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Non più esiliate, sempre presenti, donne i cui nomi venivano detti con adorazione, e si imparò subito a trattarle, vere o false che fossero, come delle star. Ce ne erano, di queste signore inavvicinabili. La più inventiva era Franca Sozzani direttrice di Vogue Italia . Le più imperiose furono le americane e le inglesi come Anna Wintour, di magrezza impressionante, oggi 74 anni spietati e nessun sorriso, che poi al cinema, nel 2006, fu la deliziosa villana interpretata dalla villanissima Meryl Streep nel Diavolo veste Prada.
Quando nel 1982 arriva sulla copertina di Time , Giorgio Armani ha 48 anni e quell’aria giovane e severa che lo rende l’uomo che tutti vorrebbero. Anche noi, non osando, sapendolo inavvicinabile e troppo carino per noi. Con la fulminea violenza di quegli anni in cui succede di tutto anche in Italia, Armani, con il suo lavoro e l’accanita dedizione si è fatto ricco, ha iniziato quella eterna e mai finita carriera per essere oggi l’uomo più ricco d’Italia dopo Giovanni Ferrero e Andrea Pignataro, lavorando e lavorando.
Sergio Galeotti giorgio armani
È Sergio Galeotti, il meraviglioso e felice amico più giovane che ha costretto Giorgio a tentare con la moda che ormai è una stupefacente carriera, a non stare bene. Si parla di un cupo piacere che si chiama darkroom e ce ne sono in abbondanza a New York. Il venerdì sera partono i giovani amici festosi e vanno a chiudersi in quei luoghi, che uno si immagina come vuole, nel buio, notte e giorno senza vedersi e con la musica ossessiva. E perché non ci deve andare Sergio, che con tutti i soldi che sta guadagnando si trova quasi spaesato, chi l’avrebbe mai detto?
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Poi gli studiosi gli trovano il nome, Aids, e di colpo nella sola Italia più o meno 40mila persone muoiono in maniera straziante, ragazzi che si sono fatti di eroina, ragazze emofiliache che hanno preso sangue infetto.
A Forte dei Marmi dove c’è una delle case che Armani ha cominciato a comprare, assieme alla più amabile e cara Rachele andiamo a trovare Sergio e lui in carrozzina, quasi immobile e non lo sa, ci fa una gran festa. Morirà a quarant’anni nell’agosto del 1985.
[…] Io non so perché non ho ricordi del dolore che deve aver colpito la fine di quell’uomo che per Armani era stato così importante, lo aveva lanciato nel suo meraviglioso lavoro e gli aveva dato il coraggio di vivere, e di lasciarsi andare al piacere di creare.
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Io so che non ha dimenticato le vecchie giornaliste e non solo loro, se ne ricorda in silenzio, perché poi alla fine è un uomo molto buono. A 90 anni è dura, ma lui lavora. Come me. Può rifugiarsi ovunque nelle sue mille case che ricordo, e che avrà scambiato con altre: due grandi barche che sembrano navi enormi, due ville a Saint Tropez, una a Sankt Moritz, un appartamento a New York, una doppia casa a Bermuda, una vecchia villa a Forte dei Marmi, e una magnifica dimora a Pantelleria.
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Noi giornaliste abbiamo vissuto soprattutto negli anni 2000, come se fossimo ricche. Giravamo il mondo per le troppe sfilate. C’era una sfilata New York? E noi ci andavamo. C’era un grande festa sulla Grande Muraglia, e noi eccoci lì. E in Giappone bisognava che vedessero le nostre sfilate. Caro Giorgio, come era bello!
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