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    ‘NDRINE ALLA CANTONESE – LA CRIMINALITÀ CINESE È DIVENTATA LA BANCA DELLE MAFIE ITALIANE, ‘NDRANGHETA IN TESTA - L’INCHIESTA CHE SVELA IL PATTO SEGRETO TRA COSCHE E LE GANG DELL’ESTREMO ORIENTE PER RIPULIRE MILIONI DI EURO DEL TRAFFICO DI DROGA. IL DENARO PRELEVATO IN CONTANTI, GLI INTERMEDIARI E LE PROVE NELLE CHAT: “DOMANI ARRIVA IL BANCHIERE” – LA COLLABORAZIONE NEL MERCATO DELLA CONTRAFFAZIONE: L’ALLARME PER L’AGGRESSIONE AI DISTRETTI INDUSTRIALI E AL MADE IN ITALY...


     
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    Giuseppe Legato per la Stampa - Estratti

     

    NDRANGHETA GANG CINESI 56 NDRANGHETA GANG CINESI 56

    Di una saldatura strutturale tra criminalità cinese e mafie italiane non vi è quasi mai stata traccia nemmeno nei copiosi e periodici dossier partoriti dagli eccellenti apparati della nostra intelligence che hanno sempre raccontato - come d’altronde a lungo è stato – il carattere chiuso (sia all’interno che all’esterno) di mafia e para-mafia della Repubblica Popolare. Ci ha pensato, negli ultimi mesi, una serie di articolate inchieste della Guardia di Finanza di Bologna a sfatare il tabù dello “splendido isolamento”, quantomeno nel segmento dell’utilizzo di sistemi finanziari sommersi paralleli: la criminalità cinese è diventata la banca delle mafie italiane, ‘ndrangheta in testa.

     

     

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    I money mule spostano milioni di euro per conto delle cosche, consentono loro di riciclare parte (rilevante) degli enormi guadagni ottenuti nel segmento degli affari sporchi, quello del traffico di cocaina, notoriamente monopolio delle famiglie dell’Aspromonte. Con una triangolazione impensabile fino a poco tempo fa. I soldi dei boss vengono raccolti e ritirati in Italia, cash, da imprenditori cinesi, che con una serie sterminata di bonifici sfruttando il sistema informale di trasferimento di denaro autoctono, il fei ch’ien (denaro volante ndr), li inviano ad aziende commerciali in Cina e a Hong Kong.

     

    Da qui le somme vengono indirizzate direttamente ai cartelli sudamericani per mezzo di “agenti” residenti all’estero, per saldare le forniture (a vantaggio delle cosche) di droga. È il sistema underground money broker. Costi per le commissioni: fino al 12% sulla cifra ripulita, in media tra il 6 e l’8%. Ci guadagnano tutti e l’affare è servito.

     

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    Per i pm della Dda di Bologna lo sapeva di certo Jiang Chunjian, 49 anni, residente a Casalecchio di Reno (Bologna), legale rappresentante della Luca’s Bett Srl, della Imperial Sas e socio della Arr4All srl società tutte con sede in Veneto. Di lui parlano nelle chat criptate Sky Ecc “bucate” dagli investigatori della Finanza nel bel mezzo della prima ondata del Covid (da aprile ad agosto 2020), Giuseppe Romeo di San Luca e Pietro Costanzo.

     

    Romeo è a capo di una vasta rete di narcotraffico (gli investigatori mapperanno il transito di più di una tonnellata di cocaina). Le sue chat criptate e svelate lo fotografano mentre tratta con cartelli colombiani, brasiliani, ecuadoregni. Lo fa da broker evoluto che «viola – scrive il gip Alberto Gamberini negli atti dell’inchiesta – Ii dogmi delle ‘ndrine: relegare gli affari illeciti solamente all’interno dei clan». Romeo scrive a Costanzo: «Domani a mezzogiorno arriva il banchiere cinese».

     

     

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    E il giorno dopo, alle 12,10, a Sant’Ilario D’Enza (Reggio Emilia) Jiang Chunjian arriva a bordo della sua Mercedes Classe X intestata alla moglie. Per “blindare” la transazione la procedura è veloce e sicura: i prelevatori dei contanti forniscono un “token” di riconoscimento: è il numero seriale di una banconota che viene comunicato ai corrieri che consegnano per conto delle cosche.

     

    Così si riconoscono entrambi. Effettuato il carico (il “pick up”) il “banchiere” cinese appone la firma sulla banconota token insieme a data e importo ritirato: la foto di questa viene inviata a chi aveva commissionato il lavoro. Tutto fatto. Totale: 5 milioni di euro usciti immacolati per le cosche dopo essere entrati nella centrifuga cinese di Jiang.

     

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    Che – come d’altronde il co-indagato Hu Zhanlong 44 anni – è originario Zhejiang, regione della Repubblica popolare cinese finita al centro di numerosi report dell’antimafia italiana in relazione alle joint venture tra mafia d’Oriente e camorra «che - si legge agli atti del Ministero dell’interno - ha da tempo costituito in quel Paese proprie basi logistiche, con particolare riferimento alla regione dello Zhejiang.

     

    La collaborazione agli atti - scrivono gli 007 italiani - coinvolgerebbe tutte le fasi del mercato criminale della contraffazione: la produzione e lavorazione che interessano Cina ed Italia (soprattutto l’hinterland napoletano) e la distribuzione in Italia ed all’estero, con il continente americano molto colpito da questo fenomeno». La camorra si affaccia nell’inchiesta di Bologna ribattezzata dalle Fiamme Gialle “Aspromonte Emiliano”.

     

    A Roma, due mesi fa, copia incolla: Wen Kui Zheng, 55 anni, da una parte, uomini di ‘ndrangheta e dello spaccio della capitale dall’altra. Ma i sistemi in generale – con o senza retroterra mafioso - con cui i clienti “italiani” si avvalgono dei “servizi finanziari” di imprenditori cinesi senza scrupoli sono tanti.

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    L’allarme per questa tendenza di aggressione ai distretti industriali e al made in Italy, risuona nelle caserme della Guardia di Finanza dell’Emilia Romagna

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