1 - SAN PATRIGNANO, LA PIAGA DELL'EROINA E IL MITO POP DI MUCCIOLI
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"
vincenzo muccioli
La docu-serie «SanPa: luci e tenebre di San Patrignano» è una grandiosa occasione per riflettere su una storia che ha segnato un'epoca del nostro Paese (Netflix). Nata da un'idea di Gianluca Neri, scritta insieme a Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli, l'inchiesta in 5 puntate racconta la controversa storia della comunità di recupero di San Patrignano fondata da Vincenzo Muccioli nel 1978, a Coriano, in provincia di Rimini.
vincenzo muccioli san patrignano
Non c'è una voce fuori campo (una presa di posizione), ma solo un susseguirsi di testimonianze e di immagini di repertorio che creano un grandioso polittico senza mai ventilare giudizi moralistici, senza mai separare il bene dal male. Anche se alla fine, lo spettatore riesce a farsi un'idea sulla complessa, contraddittoria figura di Muccioli e sui suoi metodi di recupero.
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La piaga dell'eroina che, in quegli anni, aveva spezzato un'intera generazione e la volontà di Muccioli di salvare la vita di moltissimi giovani, nella totale assenza dello Stato, sono alla base di un progetto che per anni ha vissuto in una sorta di culto mediatico. I genitori incapaci di salvare i figli drogati vedevano in Muccioli, il salvatore, il santone, la guida spirituale. Ci sono testimonianze davvero notevoli, come quelle di Fabio Cantelli, ex ufficio stampa della comunità («Sampa è entrato in crisi quando ha pensato che la sua immagine pubblica fosse più importante della sua verità interiore»), del magistrato Vincenzo Andreucci, di Walter Delogu, l'autista e guardia del corpo armata di Muccioli.
C'è il ruolo fondamentale giocato da Gianmarco e Letizia Moratti, affascinati dal carisma del fondatore. C'è il discorso dei e sui media (Costanzo, Mike, Minoli, Zucconi, la Rai ai tempi della presidenza Moratti) che prima hanno costruito il mito pop di Muccioli e poi non hanno esitato ad affondarlo. È una narrazione di confine, a ricordarci che spesso la realtà dei guru è una creazione dei loro eccessi.
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2 - LA SECONDA VITA DI SAN PATRIGNANO "METODI NUOVI SENZA PADRI PADRONI"
Franco Giubilei per "la Stampa"
Quando la storia di decine di migliaia di persone segnate da dipendenze pesantissime è tenuta insieme da una figura come Vincenzo Muccioli, col suo carisma patriarcale, si capisce come il racconto di Netflix risvegli i fantasmi di vecchie, ma roventissime polemiche. Quanto sia rimasto oggi dell'impronta del fondatore, che governò San Patrignano come una repubblica autonoma con generosità pari alla determinazione con cui incatenava i tossici in astinenza, è una questione attuale cui risponde il presidente della comunità, Alex Rodino.
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Anche lui, come tutti coloro che ci lavorano, è entrato qui dentro da tossicodipendente, nell'84, dunque le vicende della docuserie le conosce bene, anche se la notizia dell'uccisione di Roberto Maranzano da parte di altri ospiti di San Patrignano la seppe solo più tardi: «Ne lessi sui giornali (era marzo del 1993, ndr), ed è stato pesante portare avanti i ragazzi con quell'attenzione dei media addosso, ragazzi che magari prendevano a pretesto quelle vicende per lasciare il percorso di recupero», ricorda Rodino. Il reparto punitivo dov'era maturato il pestaggio mortale, avvenuto nella porcilaia, era la macelleria. L'omicidio fu tenuto segreto per quattro anni e il cadavere fatto sparire.
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Oggi però SanPa è un altro mondo e della filosofia del fondatore sono rimasti i principi-base a guidare la vita dei circa mille ospiti attuali: «L'impronta di Muccioli sta nei principi fondanti di rispetto reciproco e di accoglienza che chi viene dalla piazza, i tossicodipendenti, non pratica. Nei primi anni della comunità quell' impronta era fortemente accentuata».
Partita senza alcuna esperienza né competenza specifica - a fine Anni 70 in Italia nessuno sapeva niente di aiuto agli eroinomani, i servizi pubblici erano assenti, tossici e famiglie erano abbandonati al loro inferno quotidiano -, col tempo San Patrignano ha mutato i propri interventi: «I metodi si sono affinati e oggi c'è un vero gioco di squadra rispetto ad allora, quando la guida era una - aggiunge il presidente -. All' inizio da qui si scappava, oggi quasi più nessuno lo fa, e se qualcuno lascia la comunità è libero di farlo».
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Niente di paragonabile al modo in cui Fabio Anibaldi, capo della comunicazione di SanPa ai tempi di Muccioli, fra i protagonisti del documentario Netflix, venne riacciuffato dopo una delle tante fughe: una squadra di SanPa lo andò a prelevare a Milano e lo riportò a San Patrignano, dove smaltì l'astinenza chiuso a chiave in uno stanzino per più di due settimane, come racconta lui stesso. «Difficile oggi spiegare nella maniera giusta - osserva Rodino -. Abbiamo cercato di fare tesoro degli errori, anche per aumentare l'efficacia del recupero».
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L'impronta autoritaria «è sfumata», resta invece il principio per cui «non si deve giudicare nessuno, bisogna rispettare il vissuto di chiunque. Per fare del bene ci vogliono persone per bene, ed è quel che ha prevalso». In questo quadro complesso, la docuserie di Netflix ha riaperto una ferita: «La riapri comunque, qui però il problema è che la storia viene raccontata solo in parte, una parte che esiste e non va rinnegata ma che lascia fuori tante cose importanti». Nel 2020, nonostante il Covid, sono stati reinseriti in società 250 ragazzi: «Da dieci anni facciamo prevenzione nelle scuole. Un tempo si parlava solo di recupero, oggi, molto di più, di reinserimento».
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