Simona Siri per "la Stampa"
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Somala, nata in un campo profughi in Kenya, trasferitasi negli Stati Uniti all' età di sei anni, Halima Aden è stata la prima modella a sfilare con il hijab - il copricapo delle donne musulmane - sulle passerelle di brand come Maxmara e Alberta Ferretti e anche la prima modella a posare per Sport Illustrated con indosso un burkini.
Salutata dalla stampa di tutto il mondo come la modella che rompeva barriere e abbatteva tabù, Halima negli ultimi anni era diventata il simbolo della "modest fashion" ovvero un modo di vestire conservativo che poteva e doveva adattarsi ai principi della religione islamica. «La cosa più importante per me è rimanere fedele a quello che sono», aveva detto in un' intervista a Vogue un anno fa.
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«L' altra cosa importante è che i brand che mi vogliono siano entusiasti di lavorare con me per quello che rappresento e per quello in cui credo. Non è una strada a senso unico, è una collaborazione a due. Alcuni stylist, ad esempio, mi hanno detto che lavorare con me che porto il hijab è una sfida che li costringe a essere ancora più creativi, a pensare al di fuori delle solite etichette e schemi».
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È quindi con stupore che il mondo della moda si è svegliato ieri non l' annuncio che Halima ha deciso di abbandonare tutto: passerelle, servizi fotografici, pubblicità. Quello che sembrava un perfetto equilibrio tra i suoi valori di donna musulmana e il mondo fashion deve essersi spezzato, anche in modo traumatico. Con una serie di storie sul suo account Instagram seguito da 1,3 milioni di persone, la modella non si è tirata indietro e ha fatto nomi, ha raccontato episodi in cui ci è sentita travolta da una cosa più grande di lei, in situazioni in cui aveva poco controllo di se stessa e in cui si è sentita che stava «perdendo l' anima».
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Tra le campagne per cui ha espresso rammarico c' è un servizio fotografico per il primo hijab in denim di American Eagle. «Perché ho permesso loro di mettermi i jeans in testa quando all' epoca indossavo solo gonne e abiti lunghi?» ha scritto, spiegando che «ero così disperata di avere qualsiasi tipo di rappresentazione che ho perso il contatto con chi ero». Aden ha anche pubblicato un' immagine da un servizio fotografico del 2017 per la rivista Glamour che la mostrava con una fascia verde sotto l' hijab e delle piume intorno al collo.
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«Quel giorno dopo questi scatti tornai nella mia camera d' albergo e singhiozzai perché in fondo sapevo che non era giusto. Ma avevo troppa paura per parlare». E ancora: «Potrebbero chiamarmi domani e neanche per 10 milioni di dollari rischierei di compromettere di nuovo il mio hijab». Ieri, sul suo profilo Instagram c' era un video insieme alla mamma, la persona alla quale deve questa svolta: «Mi ha detto: Halima, ho lavorato duro per crescerti secondo Allah. Lei aveva capito già da tempo, e ha sempre avuto ragione».
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