Serena Sartini per "il Giornale"
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Sono in calo anno dopo anno: i seminaristi in Italia sono sempre di meno. Così come le nascite e i matrimoni, anche le vocazioni scendono. Ma i numeri vanno letti con il tempo che viviamo. Il trend delle vocazioni è in linea con il calo della natalità, delle coppie che decidono di sposarsi e mettere su famiglia: scelte coraggiose e radicali, cambiamenti di vita totali, decisioni non sempre facili da prendere.
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Ad oggi sono 1.804 i seminaristi diocesani che vivono nei 120 seminari maggiori d’Italia, secondo i dati dell’ufficio Vocazioni della Conferenza episcopale: il 28% in meno di 10 anni fa. Nel 1970 erano quasi 6.500. Una fotografia che va analizzata non solo nei numeri, ma con gli occhi e la voce di chi ha scelto di diventare sacerdote. Proprio ora, in un tempo in cui la Chiesa è sotto attacco e attraversa un momento difficile, con un crollo di fiducia dovuto alla piaga della pedofilia e degli abusi sessuali.
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Diventare sacerdote può sembrare a qualcuno una scelta fuori dalla realtà. «Ma non siamo diversi dagli altri», dicono in coro i futuri preti. «Non siamo certo eroi», chiarisce Alex, seminarista a Cremona. «In ogni caso non più di chi sceglie di formare una famiglia». Il seminario vescovile di Cremona accoglie 15 seminaristi, tra cui un diacono che vive in parrocchia.
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«Il più giovane ha vent' anni - spiega don Marco D'Agostino, il rettore -, l'età media è di 25. Li spingiamo ad entrare fin da subito in un'ottica di ministero. Altrimenti, il primo giorno che questi ragazzi usciranno dal seminario che succederà? Tra le iniziative c'è il "Pozzo di Giacobbe" - prosegue don Marco - in cui seminaristi e adolescenti vivono insieme per una settimana al mese; poi gli incontri mensili per gli over 20 e l'adorazione mensile; infine, le attività in parrocchia».
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Eroi controcorrente, dunque? «Tutto tranne questo. Forse possiamo parlare di "merito" nell'aver deciso di iniziare un cammino - ribatte il rettore -, un percorso di servizio per la gente, di aver messo da parte se stessi per mettersi in discussione».
«La mia è una vocazione nata in oratorio - racconta Alex, 27 anni di Castelleone (Cremona) -, sono sempre stato impegnato in parrocchia. Già intorno ai 16 anni ho iniziato a pensare di diventare sacerdote e a 22 anni sono entrato in seminario».
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«VIVERE IL VANGELO»
Ad Assisi c'è il Pontificio seminario regionale umbro Pio XI, unico seminario per l'intera regione, dove si formano i futuri sacerdoti appartenenti alle otto diocesi umbre. Al momento i seminaristi sono 11, oltre a un monaco proveniente da Fabriano. «Non ci sono talent scout che vanno in giro a chiedere chi vuole diventare prete», scherza don Andrea Andreozzi, rettore da due anni.
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«Qui ci sono persone che fanno sul serio e che sono tra noi perché appassionate e cariche di entusiasmo. Il prete non è un sovrano della parrocchia, non siamo indispensabili o più bravi degli altri. Il seminarista non è un santo confezionato - conclude il rettore - e il seminario non è una fabbrica di preti, è un luogo che offre la possibilità di vivere il Vangelo ogni giorno».
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Giuseppe ha 35 anni, la sua è una vocazione tardiva. Tre lauree, assistente docente, allenatore di calcio di bambini. «Nonostante questo, sentivo che mancava ancora un tassello - racconta -. Dopo un periodo turbolento della mia vita, ho deciso di mettermi in gioco partecipando ad alcuni incontri spirituali. Poi quella frase: una cosa sola ti manca "va, vendi quello che hai, poi vieni e seguimi". E ho scelto di entrare in seminario. Il periodo del Covid per me è stato un periodo di grazia. Senza distrazioni ho potuto concentrarmi sulla Parola, sulla mia storia. Ci sono stati alti e bassi, ma tutto concorre al desiderio di diventare non il prete che voglio ma il prete che Dio vuole che diventi».
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Paolo invece sognava di diventare pilota di linea. Un diploma al liceo classico, arbitro federale di pallavolo, e un incontro con il vescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Renato Boccardo, che gli ha cambiato la vita. «Non credo che tutto ciò si possa definire eroismo - sottolinea Paolo -. Eroe è colui che salva da situazioni disperate, è colui che compie imprese eccezionali; il prete, invece, è lì per gli altri tutti i giorni. È lì perché Dio lo ha tratto misteriosamente dal mazzo per servire e non per essere servito».
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A Roma il Pontificio Seminario Maggiore, uno dei primi a nascere con il Concilio di Trento, accoglie al momento 65 seminaristi. Tra loro c'è Marco (il nome è di fantasia), oggi 35 anni, che da maggio del prossimo anno sarà «don». Dopo il liceo, gli studi (non terminati) alla Facoltà di Scienze Politiche, il lavoro prima nel mondo del recupero crediti poi in una società aperta con il fratello in tema green.
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«Mi ero allontanato dalla Chiesa - racconta -, facevo una vita un po' disordinata. Mi piaceva viaggiare, divertirmi, soprattutto non prendermi responsabilità a lungo termine. Ero fidanzato e proprio con la mia ragazza, con cui stavamo pensando all'idea di una famiglia, abbiamo iniziato a frequentare il percorso dei "Dieci comandamenti" di don Fabio Rosini. A quel punto con la mia ragazza ci siamo lasciati, il mio castello, le mie certezze, sono crollate e mi sono domandato in che direzione andava la mia vita. È stata una confessione ad aiutarmi a vuotare il sacco. E ho cominciato un percorso per capire quale fosse la mia strada».
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«La vocazione - prosegue il giovane seminarista - non mi è piombata addosso come una rivelazione mistica. Per me è stata una lunga strada. Come mi vedono gli altri? Qualcuno come un pauroso, scappato dalla vita e chiuso dentro una struttura protettiva. Io mi sento che vivo delle difficoltà come tanti miei amici, non mi sento né agevolato né mortificato rispetto agli altri. Mi sento un giovane normale, non vedo niente di straordinario nella mia scelta. Allora è straordinario anche chi si sposa, chi fa una scelta lavorativa coraggiosa, chi fa figli, chi si trasferisce all'estero».
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Anche Valerio, 33 anni, fa parte del gruppo dei seminaristi romani. Tre anni fa un cambio totale della sua vita. Laureato in ingegneria edile, una fidanzata che amava e con cui pensava di mettere su famiglia; un lavoro sicuro. «Tutto sembrava funzionare - ci racconta -, eppure qualcosa mancava. Non ero felice. Dopo vari incontri e percorsi ho capito che mi stavo trascinando e dovevo fare delle scelte nette e coraggiose. Così ho deciso di abbandonare tutto: ho lasciato la fidanzata, ho lasciato casa, sono entrato prima nell'anno propedeutico e dopo ho lasciato anche il lavoro. Quello che mi sembrava perfetto in realtà non era completo: mancava qualcosa, non c'era quella gioia di vivere che adesso, in seminario, ho».
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IL PESO DELLE PARROCCHIE
Non è più come qualche decennio fa, quando il Sud era fecondo di vocazioni e futuri sacerdoti. Ora la tendenza si è allineata con le altre regioni italiane. Nel seminario maggiore interdiocesano della Basilicata, ad esempio, i seminaristi sono 25, con una età compresa tra i 20 e i 47 anni. «La formazione del seminario maggiore - spiega il Rettore don Angelo Gioia - nasce dal desiderio di garantire una formazione adeguata ai presbiteri e alle loro comunità sacerdotali. Ci muoviamo poggiando su quattro pilastri: umano, spirituale, intellettuale e pastorale, con attività caritative e di servizio presso le realtà parrocchiali».
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Giovanni, 42 anni, dopo la Cresima si era allontanato dalla Chiesa e dalla fede, «attratto dai richiami del mondo», racconta. «Le mie aspettative sono sempre andate deluse, benché avessi una attività lavorativa, progetti per il futuro, una vita tutto sommato agiata. Ma vivevo un grande paradosso: cercavo la pienezza e il vuoto si faceva largo dentro di me. A 35 anni la conversione, dopo la testimonianza di una persona che mi portò alla mente le parole di Giovanni Paolo II durante la Giornata Mondiale dei Giovani del grande Giubileo del 2000: "In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità...". Finalmente la felicità che cercavo aveva un nome: Gesù. Non era più un Dio anonimo ma una persona».
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Anche Molfetta, in Puglia, vive una parabola discendente: «Abbiamo 114 seminaristi, 13 formatori e nove giovani che frequentano l'anno propedeutico - dice don Gianni Caliandro, rettore del seminario di Molfetta -, con un'età media di 26 anni. La maggior parte di loro arriva dalle parrocchie, che hanno ancora una buona presenza di giovani». Ma siamo lontani dai numeri di qualche anno fa, quando nella sola Puglia i seminaristi erano il doppio.