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    SE IN ITALIA GLI “YOUTUBER” DI SUCCESSO SONO SOPRATTUTTO BIMBIMINKIA, NEGLI USA VANNO FORTE I “FAMILY VLOGS”, CANALI DOVE UNA FAMIGLIA ESPONE LA SUA NOIOSA NORMALITÀ - MA “L’EMOTAINMENT” PIACE: 3 MILIARDI DI VISUALIZZAZIONI DAL 2010


     
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    1 - LA FAMIGLIA YOUTUBE

    Maria Novella De Luca per “la Repubblica”

     

    Italian family vlogs. Ossia come vivere una normalissima esistenza domestica nello specchio quotidiano di YouTube. Sperando che gli altri, molti altri, s’incuriosiscano delle nostre minute avventure: fare la spesa, ridere di un bebè che spara la pappa sul muro, di un ragazzino che volteggia sullo skate, o del cane di casa che lascia zampate dappertutto.

    la famiglia shaytard la famiglia shaytard

     

    Un tempo si chiamavano filmini domestici, ancor prima superotto, ricordi sgranati di vacanze, di matrimoni, di prime comunioni e di corse sulla spiaggia. Oggi nella virtualmente infinita comunità di YouTube sono stati rinominati “family vlogs”, acronimo di video-blog, diari di vita vissuta, documentari di memorie private, addirittura intime, montate però come fossero delle vere e proprie serie Tv, e poi lanciate nella blogosfera. Anzi, più gli eventi sono normali, banali addirittura, letti sfatti e minestre sul fuoco, ma caratterizzati dagli aggettivi “funny&nice”, più queste “soap” sembrano essere gradite ai nuovi appassionati delle altrui “family life”.

     

    Un po’ come guardare dal buco della serratura nella casa dei vicini. Negli Stati Uniti il fenomeno è milionario, sia per numero di vloggers, sia per i fedelissimi che seguono le clip giornaliere delle due famiglie al top dell’universo vlogs, e cioè gli Shaytard e i Bratayley, capostipiti del fenomeno.

     

    la famiglia shaytard la famiglia shaytard

    E milionario è anche per il giro di affari che i due clan ormai fatturano attorno ai propri eventi domestici (3 miliardi di visualizzazioni dal 2010) grazie agli spot che corredano sempre di più le loro cronache casalinghe. In Italia il fenomeno dei “family vlogs” è soltanto agli albori, non tanto perché da noi la famiglia sia ancora sacra (vedi il dilagare di foto private su Facebook), quanto forse, come suggerisce Paolo Ferri, professore alla Bicocca e grande esperto di “digital life”, «i registi dei vlogs familiari sono degli adulti, e nel nostro Paese YouTube è ancora una sfera dei ragazzi».

     

    Ragazzi da quattro milioni di followers alla Favij, (Lorenzo Ostuni, 20 anni, master di videogame) e fatturati altrettanto pazzeschi, ma il cui pubblico non supera i 15 anni. Girando con pazienza certosina sul web si può incontrare però il pioniere dei vlogger italiani, Ciro Renzi, 735 video caricati, due milioni e mezzo di visualizzazioni in cinque anni, il canale si chiama “Pazzaludavlog”, i numeri sono infinitamente lontani da quelli americani, ma nella nostra statistica cominciano invece ad essere significativi. (Un po’ più folto il gruppo dei vlog di coppia: innamorati giovani e carini che iniziano a filmarsi fin dal viaggio di nozze. Ci sono i “Daily vlog” di Saverio e Lucia, il canale “Loveontheroad” di Massimo ed Elisa).

    la famiglia bratayley la famiglia bratayley

     

    Diverso il caso di Ciro Renzi. Da cinque anni documenta con cadenza quotidiana gli eventi minuti della sua famiglia, composta da Ciro appunto, la bionda moglie serba Jelena e l’amatissimo e unigenito figlio Stefan, sette anni, con tanto di profilo Facebook che ne esalta le doti di baby calciatore.

     

    Racconta Ciro, napoletano di Pozzuoli, che di professione cura il marketing online di studi medici: «Tutto è nato quando ho cominciato a cercare foto e ricordi della mia infanzia, e ho scoperto che mio padre non aveva tenuto né raccolto nulla. E mi sono sentito senza radici. Così ho deciso di filmare la mia famiglia, e conservare tutto su YouTube, perché mio figlio e i miei nipoti potessero sempre ritrovare le loro memorie. Poi ho visto che piano piano sempre più gente si interessava alle nostre vicende, così ho fondato il canale e iniziato a produrre video giornalieri. Certo non siamo gli Shaytard, ma nel nostro piccolo...».

     

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    In effetti alcuni video mostrano cura nel montaggio e nella colonna sonora, in diversi compaiono banner pubblicitari, ma la maggior parte è “nuda e cruda”, cioè tirata via così come viene. «Non lo nego – confessa Ciro – mi piacerebbe che tutto questo si trasformasse in un lavoro, da noi però i family vlogs non hanno ancora attecchito. Ma Stefan sta crescendo e ha già il suo pubblico di coetanei. Magari sarà lui ad avere successo».

     

    Insomma nemmeno troppo velatamente Ciro spera in un futuro da youtuber per il suo ragazzo, e respinge al mittente ogni accusa di nociva sovraesposizione del bambino. «Ma avete visto Facebook? Fotografie, filmati...Io non faccio niente di diverso...».

     

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    La similitudine calza, ma non dirada le ombre. Nei vlogs familiari infatti ci sono moltitudini di adulti che testimoniano (ossessivamente) la propria vita quotidiana di genitori, trasformandosi in attori di reality autoprodotti e a basso costo, ma le vere star sono i loro figli, anche neonati, per cui il pubblico impazzisce. Macro esposizione già stigmatizzata da pediatri e psicologi, che condannano la “messa in scena” senza scrupoli di infanti e bebè, notava qualche settimana fa Le Monde.

     

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    Spiega Matteo Lancini, psicologo e presidente della Fondazione Minotauro. «Oggi sembra caduto il diaframma tra pubblico e privato, tra ciò che conta e ciò che non conta. La gente filma se stessa in ogni condizione: ad una festa di laurea così come davanti alla macchinetta del caffè. Allo stesso livello, con la stessa enfasi. È il semplice documentare se stessi che dà il senso di esistere. Si mette in pubblico tutto: figli, segreti, amori e dolori. Con conseguenze però a volte gravi, sopratutto sui bambini».

     

    In realtà nei vlogs non accade niente, basta seguire per un po’ i Bratayley e gli Shaytard (entrambi vicini alle sette mormoni). E allora come mai tanto successo? Forse perché sembra famiglie-vloggers si divertano, e la loro american way of life, scorra senza i problemi di tutti gli altri. Si ride se la lattina di birra scoppia in faccia al capofamiglia Billy, o se mommy Katie sbaglia la tintura di capelli, o il cane Piper rovescia la bici del postino. Non ci sono le risate registrate, ma si possono immaginare…

     

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    «È soltanto questione di tempo - profetizza Paolo Ferri, che insegna Nuovi media alla Bicocca - di connessioni e di banda larga, e poi i family vlogs arriveranno anche da noi. È inevitabile». Insomma il kitsch è virale. Ma anche terribile. Perché quando in questo nulla virtuale sbarca il dolore vero, la platea di YouTube impazzisce. Succede che qualche settimana fa Caleb, il primogenito tredicenne dei Bratayley muore per cause sconosciute. Per qualche giorno il vlog si interrompe. Poi la famiglia decide di celebrare on line i funerali del figlio. Un’ondata di cordoglio dilaga sul web e le visualizzazioni sfiorano gli 8 milioni.

     

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    Ma, si sa, la Rete è infida. Così, asciugate le lacrime, i fan di Caleb iniziano a far circolare sospetti terribili. Caleb è davvero morto? E per quali cause? Una valanga di odio che ha costretto i Bratayley ad andare in video per testimoniare, con i loro occhi rossi, la reale morte di Caleb, ma soprattutto (onde evitare di perdere sponsor) a rilanciare le clip di quando erano tutti insieme leggeri e felici. I followers erano stati chiari: «Caleb è morto? Pazienza, noi vogliamo continuare a ridere con voi...».

     

    2 - LO SHOW DELLA QUOTIDIANITÀ ULTIMA FRONTIERA DEL REALITY

    Marino Niola per “la Repubblica”

     

    Tutta la vita minuto per minuto, postata su YouTube. Compresi i particolari più insignificanti. Così l’occhio della Rete trasforma l’esistenza di una famiglia come tante altre in un format di successo. Una performance girata, montata e commentata come una fiction.

     

    Che qualcuno ci provi a conquistarsi il suo quarto d’ora di celebrità e il suo quarto di milione di pubblicità è normale. Tutti tengono famiglia. Ma a stupire sono i numeri dell’audience, soprattutto quelli degli States, dove l’ emotainment , la recita delle emozioni, si è emancipata dall’industria dello spettacolo ed è diventata personal business. Basta una videocamera digitale, l’abbiccì del montaggio e la costanza di fare un video al giorno. E il family blog diventa un gioco da ragazzi. Con le loro avventure quotidiane, gli Shaytards e i Bratayley hanno costruito un vero e proprio serial autoprodotto, una sitcom senza copione. Tutto fatto in casa e al momento.

     

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    Le sequenze hanno la stessa casualità della vita. La nascita di un fratellino, il primo giorno di scuola dei bambini, gli innamoramenti adolescenziali, un battesimo, una festina di compleanno. Nulla di più ordinario. Nulla di meno glamour. Tutto come nella realtà, compreso il dolore per la morte di un ragazzino di 13 anni. Che la madre trasforma in una elaborazione digitale del lutto.

     

    È come se la vita anonima acquistasse un senso grazie a una postproduzione che, di fatto, inventa una trama che tiene insieme le opere e i giorni di una famiglia americana. Sembra la versione 2.0 di The Walton, la fortunata serie tv trasmessa negli anni settanta dalla Cbs, che in Italia si chiamava proprio Una famiglia americana.

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    Quella però era ancora una storia analogica, che aveva i tempi e il ritmo della fiction televisiva e un cast di attori professionisti. Invece in questi video blog delle famiglie vere passano un colpo di evidenziatore sulla normalità del proprio quotidiano. Trasformando la community in pubblico. Che visualizza, condivide, commenta, giudica. Insomma partecipa di quella vita, la fa propria, ci si riflette come in uno specchio.

     

    Forse perché l’esistenza di ciascuno di noi è diventata una successione di momenti last minute, che consumiamo di corsa, senza riuscire a dare loro un senso complessivo. E un ordine temporale. Li viviamo e basta. E se proviamo a raccontarli lo facciamo per frammenti staccati, per fotogrammi che hanno la stessa episodicità dei selfie, dei video, delle immagini, dei pensieri che mettiamo in Rete. Nella speranza di ritrovare quella profondità del tempo, quella successione del prima e del poi, che ormai si confondono nel nostro eterno presente.

     

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    È il nostro modo per costruire una cronologia che non abbiamo più a mente. Anche se abbiamo ancora voglia di averla nel cuore. Siamo ben oltre la ricerca di quel quarto d’ora di celebrità cui, secondo il padre della Pop art, nella società dell’immagine tutti hanno diritto. Questi vlog sono in realtà un nuovo modo per costruire dei teatri della memoria. Immagini chiave che contengano il segreto del ricordo. E ci restituiscano la nostra storia on demand.

     

     

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