Fabio De Ponte per “la Stampa”
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Gli Stati Uniti diventeranno il primo produttore al mondo di petrolio entro la fine del 2019.
«Senza rivali». Lo ha annunciato il direttore esecutivo della Agenzia internazionale dell' energia (Iea) Fatih Birol, spiegando che il sorpasso avverrà, se non già quest' anno, «sicuramente l' anno prossimo». A spingere in alto i numeri Usa è la produzione di petrolio di scisto, un combustibile realizzato a partire da frammenti di rocce di una scura pietra sedimentaria, che ha permesso agli americani di scavalcare la soglia dei dieci milioni di barili al giorno per la prima volta dagli anni Settanta, superando l' Arabia Saudita. E quest' anno sarà sfondata quota 11 milioni.
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Una crescita inarrestabile e pressoché quotidiana. Questa settimana, le scorte Usa di petrolio sarebbero, secondo le previsioni, in aumento di 2,7 milioni di barili, il che ha spinto ieri i prezzi verso il basso, di circa un punto percentuale, portando il Wti in area 63 dollari al barile. Anche perché pure Canada e Brasile, ha sottolineato Birol, stanno aumentando la propria produzione.
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Pressioni che indeboliscono l'efficacia dei tagli alla produzione di Opec e Russia, che cercano di tenerli su ottemperando con solerzia all' intesa raggiunta a fine 2016, dopo il crollo delle quotazioni del 2014 (l' applicazione delle prescrizioni ha raggiunto il 133% a gennaio, superando la percentuale richiesta nell' accordo). D' altra parte, anche la domanda sta crescendo: secondo l' Iea, quest' anno la richiesta globale aumenterà di 1,4 milioni di barili al giorno.
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Il che offre qualche motivo di ottimismo dalle parti dell' Opec: «Sono convinto che quest' anno arriveremo a un equilibrio di mercato», ha detto ieri il presidente di turno Suhail Al Mazroui, ministro dell' Energia degli Emirati Arabi. All' inizio di questo mese ha spiegato che l' Opec punta a creare una partnership di lungo termine con i produttori non Opec per dare stabilità duratura al mercato.
A tutt' altro guarda però la Cina, sapendo che il petrolio non potrebbe soddisfare nel medio periodo la sua fame di energia. Tra il 2016 il 2040, secondo le stime dell' Iea, Pechino aumenterà la sua domanda di 790 milioni di tonnellate di petrolio equivalente (mtoe). E ancora di più farà l' India, che l' accrescerà di oltre un miliardo di mtoe.
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Al contrario Europa, Giappone e Usa, consumeranno meno: il calo sarà rispettivamente di 200, 50 e 30 mtoe. E così, se la produzione elettrica cinese passerà - secondo le previsioni - dagli attuali 6.000 Twh a oltre 10.000 (un quarto dei quali già oggi da fonti rinnovabili, progressivamente riducendo l' incidenza del carbone, che pesa invece ancora per il 60%), e quella indiana triplicherà passando da area 1.500 fino a 4.500, gli Usa rimarranno sostanzialmente fermi, muovendosi da poco più di quattromila a neanche cinquemila. Altrettanto farà l' Ue, stabile poco sopra quota 3.000.
Saranno quindi indiani e cinesi ad avvantaggiarsi di più del fatto che il costo del fotovoltaico passerà dagli oltre 350 dollari a Mwh del 2009 a meno di 100 entro il 2022. E non basta: la Cina sta prepotentemente accrescendo la sua capacità nucleare. Nel 2010 disponeva di una potenza di circa 10 Gw, nel 2040 ne avrà a disposizione intorno ai 150. Gli Usa nello stesso lasso di tempo passeranno da circa 110 a poco più di 40.